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Alzai la testa e, come se qualcuno avesse premuto l'interruttore, smisi di piangere lacrime che non avrebbero di certo riportato in vita la mia amica

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Alzai la testa e, come se qualcuno avesse premuto l'interruttore, smisi di piangere lacrime che non avrebbero di certo riportato in vita la mia amica.

Guardai tutti i presenti, uno ad uno, mentre la rabbia dentro di me cresceva proprio come il vento che sferzava prepotentemente e furiosamente in quella sala o come il terremoto che continuava a scuotere la terra dalle fondamenta.

Devana si allontanò da me, come impaurita da ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.

Lei lo sapeva.

Lei sapeva perfettamente ciò che avrei combinato in quel momento. Sapeva che la mia sete di vendetta non si sarebbe placata fin quando non sarei riuscita a disettarla con il sangue versato degli Dei che mi avevano fatto questo.

Il mio sguardo si concentrò interamente sulla figura imponente ma raffinata della Dea Velisy, in piedi sul piccolo rialzo del pavimento che i Semidei avevano voluto creare a mo' di palco per sorreggere il loro ego smisurato.

La coroncina di ferro e argento era posata sul suo capo e le copriva la parte degli occhi che, a noi comuni mortali o ai Semidei, non era concesso di ammirare. Il suo viso perfetto dalla carnagione diafana era incorniciato da tante ciocche di capelli ribelli mentre, la sua treccia lunga e bianca era sempre al solito posto: posata sulla sua spalla che le ricadeva morbidamente sul busto snello.
Indossava un abito nero quasi simile alla divisa delle Amazzoni con parti in ferro che coprivano polsi, spalle e la vita sottile e una gonna lunga fino al ginocchio.

Ero abbastanza sicura che il disprezzo nei suoi confronti era palese nei miei occhi tempestosi. Anche un cieco avrebbe potuto capire che era lei il bersaglio della mia rabbia incontrollata.

Era stata lei a lanciare un pugnale che avrebbe dovuto essere indirizzato alla sottoscritta.

A quanto pare, avevano deciso di uccidermi proprio durante quella festa, di fronte a tutti. Peccato per loro che non ci fossero riusciti e che Flore, la ragazza che si era sacrificata per me, glielo aveva impedito, salvandomi.

«Non sei riuscita ad ucciderla, mia cara Velisy.» disse Mokosh, apparendo alle sue spalle con un sorrisino malvagio sul volto. «Quella stupida umana ti ha fatto mancare il bersaglio oppure devo dedurre che le tue doti formidabili nelle arti belliche non siano più quelle di una volta?»

Velisy roteò appena il suo capo per guardarlo di sottecchi ed abbassò il braccio, con il quale aveva lanciato il pugnale, e che era rimasto sospreso nel vuoto fino a quel momento. «Avresti potuto benissimo ad annunciarlo tu il pugnale, se avessi previsto che la tua "cagnolina fedele umana" avrebbe rovinato i nostri piani.»

Mokosh rise di gusto. «Avanti, Velisy, non credo che sia necessario che tu te la prenda per questa mia piccola battuta. Sai perfettamente che scherzo e che non mi permetterei mai di mettere in dubbio le tue doti sul campo di battaglia. Ho avuto più volte il piacere di poterla ammirare le tue tecniche in guerra e non vorrei mai essere al posto del tuo nemico in tale circostanza.»

HIPNÔSE  "Il sangue della dea"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora