10. The Ghost of You

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Corse finchè non ci ritrovammo sul retro del locale, io ero scioccato, ubriaco, il vento che si scagliava sulla mia faccia mentre correvamo mi bruciava la pelle, mi congelava.
Finalmente ci fermammo, e a quel punto Frank mi lasciò il braccio e si sedette, tirandomi giù per la gamba.
Mi guardò, lo guardai. Lui rise.
Tentai di parlare, di insultarlo, eppure non riuscivo a parlare, le mie labbra erano indolenzite dal freddo della serata.
Non avevo più le forze di fare nulla, me ne accorsi in quel momento. Ero improvvisamente stanco, solo che non riuscivo a sopportare la presenza di Iero accanto a me.
Ma che gli era preso? Perché mi aveva portato fuori dal locale? Chi gli aveva dato il permesso?
«Cosa... hai da ridere?»
«Solo la tua faccia..». Disse, con la testa rivolta verso il basso e un leggero sorriso rimasto sulle labbra. Il suo viso, l'espressione che aveva, aveva qualcosa di dolce.
Era imbarazzato, io aggrottai le sopracciglia. Non capivo se aveva fatto qualcosa di strano, sembrava dovesse iniziare a confidarmi la sua storia d'amore.
«Gerard sai che il tuo amico si accorgerà di come sei ridotto?». Raymond era ubriaco, però le cose se le sarebbe ricordate, se mi avrebbe visto in quel modo.
«Ma tu che c'entri con me, con lui?».
«Niente.»
Feci per alzarmi e andarmene, però Frank Iero mi fermò e, guardandomi con un'espressione dura... scoppiò a ridere.
«Ti preoccupi tanto per me? Ma guardati. Sei ubriaco anche tu, vai a fare il babysitter a qualche altro.»
«Non mi preoccupo per te, mi preoccupo per la tua salute.»
«Eh?».
In quel momento sembrò volesse zittirsi, mangiarsi la lingua, ritirare quello che aveva detto.
Che ne sapeva Iero di questa storia? Chi si era permesso di raccontare qualcosa di me? 
«Eh!?». Ripetei, arrabbiato. Le mie goti erano rosee per via dei due bicchierini, ma adesso lo erano ancora di più perché mi ero scaldato per la rabbia.
Cosa sapeva? Mi dava ai nervi il solo pensiero che Frank Iero sapesse qualcosa di troppo su di me. Avrebbe potuto spargere la voce, girare la punta del coltello verso di me.
«Niente, niente. Sei un alcolizzato, no?».
Non risposi. Spalancai gli occhi, arrabbiato. Serrai la mascella e continuai a guardarlo negli occhi, finchè i miei non bruciarono.
Gli puntai un dito contro, l'espressione accigliata. Con uno sguardo gli dissi tutto, e me ne andai. Lo avvisai di non avvicinarsi più a me, che se l'avrebbe fatto sarebbe finita male.
Avrei dovuto essere più prudente, dirgli di far cessare la minima voce che girava su di me, minacciarlo di non dire nulla del mio passato, anche se credeva fosse ancora il mio presente.
Però non mi importava, non me ne importava nulla, Frank Iero non contava nulla. Ma quella frase detta da lui aveva aperto qualcosa nel mio petto, come una vecchia ferita. Mi sono sentito spoglio delle mie difese, dei miei segreti, perché ero convinto che andasse tutto bene.
Stava andando tutto bene, poi ho incontrato Frank Iero.
Però non avevo intenzione di cercare un rimedio. Non sapevo nemmeno se ce ne fosse bisogno infondo, ma ero preoccupato del fatto che avrebbe potuto dire a tutti quello che ero stato.
Avrei lasciato che le cose andassero come dovevano andare, consapevole di essere ignaro del futuro, consapevole di rischiare. Perché, più dimostri di aver paura, più giocano.

***

«Gee, mio dio scusami, non mi sono accorto della tua assenza. Sono davvero un pessimo amico... Non hai bevuto, vero? Quando sei tornato a casa?».
«Più che amico mi sembri mia madre adesso.» Accennai una sottospecie di risata forzata, prima di sospirare. «Ho bisogno del tuo aiuto per una cosa. Vieni da me?».
«Certo.»

Raymond si accomodò sul mio letto e io mi passai una mano fra i capelli. L'espressione del mio migliore amico era altamente confusa, però rimase in silenzio finchè non mi decisi a parlare.
«Ho bevuto, Iero mi ha visto, mi ha chiamato alcolizzato.»
«Eh!? Come cazzo ti ha chiamato?!».
Sollevai le sopracciglia. Ero sorpreso del fatto che avesse preso le mie difese, che non si fosse incentrato sulla prima parte del problema.
«È venuto a sapere da qualcuno che bevevo.»
«Chi...». Assottigliò gli occhi, dopo alzò lo sguardo e lo puntò nei miei occhi. La sua espressione, i suoi occhi, erano glaciali.
«Robert.»
«Ro...bert?». Robert mi aveva sputtanato? Aveva davvero raccontato a tutti del mio passato? E di quello che avevamo fatto insieme? O magari quella parte l'aveva saltata, e lui non mi aveva mai portato sulla brutta strada. Lui era il bello, io l'esempio cattivo.
L'ha fatto solo perché lo stavo evitando?
«Nessun'altro.»
«Perchè?».
«Gerard... nemmeno Brendon sa tenere la lingua al suo posto. Gli avevo detto le cose come stavano tra te e Robert, penso proprio che lui gliele abbia rinfacciate. Non per fare un torto a te, ma per litigarci, per farlo soffrire. Senza pensare però alle conseguenze...».
Mi alzai di scatto. «Devo parlarci.»
Ray mi guardò dal basso con le mani intrecciate tra loro, chiedendosi palesemente quali intenzioni avessi.
«Devo parlare con Robert.»

Andai a cercare Robert per tutta la struttura dell'università. Non avevo idea di quali abitudini avesse, di dove andasse nel pomeriggio. Provai nella biblioteca, magari stava studiando lì, ma non c'era.
Alla fine lo trovai, nel bagno maschile del primo piano.
Non dissi nulla, non lo chiamai, semplicemente lo presi dalla spalla e lo feci voltare.
«Dobbiamo parlare.» Lo guardai, freddo, lui non sembrava sorpreso, quasi come se si aspettava che io fossi lì, come se sapesse che volevo parlare con lui.
«Okay».
Tolsi la mano dalla sua spalla e mi avvicinai al lavabo, dove mi appoggiai di schiena, con entrambe le mani sui bordi e le braccia tese. Guardai per un momento il pavimento, dopo alzai lo sguardo e lo puntai nel suo, con prepotenza.
Lui sosteneva il mio sguardo senza problemi, finchè io non parlai.
«Che sei andato a dire in giro?». Chiesi, acido, facendo un'espressione disgustata. Lo vidi sorridere appena.
«Chi ti dice che sono stato io?».
Sbuffai una risata, sarcastico. Era ovvio, no? L'aveva detto Ray, quando io non ci avevo pensato. In effetti, chi avrebbe potuto parlare di me, dei miei problemi? Chi altro si sarebbe permesso di farlo?
«Anche se fosse?».
«Che vuol dire "anche se fosse"!?». Sbottai, infastidito all'inverosimile da quel suo comportamento. Mi sembrava di essere tornato a quattro anni fa, quando assistii ai suoi cambiamenti per via dell'alcol.
Magari aveva bevuto anche lui, però una volta cominciato, lui non si fermava, a lui non è mai importato delle conseguenze, di quello che poteva far subire agli altri.
«Non ho niente da dire, ciao.» Fece per andarsene, ma io lo fermai. Gli afferrai un braccio e lo tirai verso di me. Robert però mi diede una gomitata, che mi colpì sul petto, così, girandosi, riuscì a darmi un pugno in faccia.
In quel momento esplosi. Esplosi dalla rabbia. Non avrebbe dovuto farlo, toccarmi, non si sarebbe dovuto permettere di fare anche questo.
Lo guardai per un momento, tutti i pensieri brutti che mi travolgevano la testa. Dopo però agii di conseguenza alle sue azioni, e allora iniziammo a picchiarci seriamente.
«Non sei mai cambiato! Fai schifo, e continuerai a farlo»
«E tu sei un fottuto, stronzo ipocrita!!»
Non risposi, non avevo niente da dirgli, non avevo la voglia di insultarlo, soltanto perché le mie parole non avrebbero fatto effetto. È sempre stato così con lui, in qualsiasi contesto, o un litigio, le parole offendevano solo me, io ci rimanevo male, ma a lui non era mai fregato nulla. Ma in questo caso, quelle parole dette da lui non le sentivo nemmeno; l'ipocrita era lui.
«Cristo santo, al posto di tuo padre, mi sarei sentito fortunato a crepare, invece che starti accanto».
Non ci vidi più.
Quelle parole mi rimbombavano in testa, qualsiasi suono si intensificò nella mia mente.
Un brivido, un buco nel petto. Un pugno. Glielo sferrai con tutta la forza che avevo in corpo, con tutta la violenza possibile. Dalla sua bocca cominciò a uscire sangue, ma io non avevo placato la mia rabbia.
Continuai a picchiarlo finchè non si buttò a terrà e strisciò come un verme sotto il lavabo di quel bagno. A quel punto rimasi lì, fermo in piedi, a guardare avanti a me.
Il mio corpo ancora rabbrividiva, alla facilità, la crudeltà di quella parola.
Al posto di tuo padre mi sarei sentito fortunato a crepare.
Invece che starti accanto.
Mio padre mi voleva bene, anche se non facevo mai abbastanza per lui. Però lui non doveva nominarlo, per nessun motivo al mondo, e invece l'ha nominato nel peggiore dei casi. L'ha nominato come morto. L'ha nominato come qualcuno che c'era prima, adesso no, e quindi poteva parlarne così, con facilità. Ma io non gliel'ho permesso, e dovetti trattenermi tanto, tantissimo, a non piegarmi e afferrarlo per pestarlo di nuovo.
La mia mente ebbe un crollo emotivo, io lo ebbi, ma non avrei mai dato a quel bastardo la soddisfazione di vedermi crollare. Non per orgoglio in quel caso, ma volevo fargli capire che... che non poteva farmi... soffrire.
Eppure stavo piangendo.
Piangevo come un bambino, ma in silenzio.
Questa volta non vedevo più nulla per via delle lacrime, che avevano inondato i miei occhi, e che scendevano copiose su tutto il mio viso, finendomi sul collo, sulla maglietta che le assorbiva piano.
Me ne andai senza un'altra parola, corsi per il corridoio, senza curarmi delle persone che mi stavano guardando, solo volevo raggiungere in fretta la mia stanza, e sperai con tutta l'anima di non vedere il mio compagno di stanza.
Infondo non era colpa sua, se mi aveva chiamato così, sì, non era stato prudente, ma non voleva farmi del male.
Solo dopo che uscii dal bagno, dopo che mi calmai, riuscii a vedere il viso di Robert. Me lo ricordai. Attimi prima non lo stavo guardando, quando mi aveva detto quelle cose, quando l'ho picchiato. Avevo visto solo del sangue, lo avevo ancora sulle mani, ma non ricordavo di averlo conciato in quel modo violento.
Non che me ne pentii, affatto, l'avrei anche ucciso in quel momento, e senza farmi scrupoli.
Il discorso di mio padre era un punto debole, per me, mio fratello, e soprattutto mia madre. Di lui non si parlò mai più, a parte il giorno del suo compleanno o del loro anniversario. Faceva davvero male parlarne, Mikey piangeva ogni volta,  insieme a mamma, e io lo facevo quando nessuno era presente. Aveva puntato al mio tasto dolente, e l'ha pagata.
Arrivai davanti alla porta della mia stanza e mi fermai. Presi un lungo respiro prima di entrare, dopo lanciai la cartella sul letto, mi tolsi la giacca e lanciai anche quella.
Frank Iero era lì, ma io non volevo guardarlo.

𝐘𝐨𝐮'𝐥𝐥 𝐑𝐞𝐛𝐞𝐥 𝐭𝐨 𝐀𝐧𝐲𝐭𝐡𝐢𝐧𝐠Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora