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Quella sera, le strade del capoluogo emiliano apparvero a Valentino abbastanza silenziose. L'ora di cena era passata già da un pezzo e, come spesso capitava, il giovane era uscito di nascosto subito dopo aver visto il padre mettersi a dormire per la notte.
Sapeva quanto Fabrizio detestasse vederlo uscire a orari improponibili e quanto, soprattutto, odiasse non saperne il motivo: era un uomo autoritario, forse un po' codardo, ma certamente era affezionato al figlio e si preoccupava per lui, comportandosi alla stregua di una mamma chioccia.

Valentino mise le mani in tasca, chinò il capo e continuò a camminare con fare svogliato, dirigendosi verso il suo luogo di rifugio.
Non aveva grandi ricordi di sua madre, però, doveva ammettere che poco aveva percepito la sua mancanza nel corso della propria vita: era stato difficile durante il periodo scolastico trovarsi senza una mamma, soprattutto a ridosso delle festività, delle riunioni di classe, degli incontri tra genitori e insegnanti, all'uscita da scuola. Dentro le mura della sua piccola casa, tuttavia, Valentino doveva ammettere che suo padre aveva fatto un ottimo lavoro con lui, amandolo devotamente, riempiendo i vuoti lasciati da sua madre.

Crescendo, come qualsiasi altro adolescente, aveva iniziato a entrare in conflitto con suo padre; aveva preso a rendersi conto dell'influenza negativa che aveva su di lui il collega di Fabrizio e il loro rapporto aveva cominciato a farsi sempre più teso senza, per fortuna, giungere mai a una rottura definitiva.

Il giovane trasse un lungo sospiro e scosse appena la testa, ripensando a l'ennesima discussione che aveva avuto con lui quella sera. Avevano litigato a causa di Fabio: l'ultimo colpo della banda di Sergio non era andato a buon fine e Stefania, una ragazza del gruppo, era stata acciuffata dalla polizia, intervenuta sul luogo a seguito di una soffiata. Fabrizio, che ben conosceva Fabio e la sua famiglia, aveva saputo del fermo della cugina del giovane, Stefania appunto, e subito era andato fuori di testa: dapprima implorando il figlio di tenersi alla larga dal ragazzo e dalla sua comitiva di amici poco raccomandabili, in seguito prendendo a minacciarlo di buttarlo fuori di casa se avesse insistito nel suo volerlo frequentare.

Valentino non aveva idea se suo padre avesse compreso oppure no il genere di rapporto che lo legava a Fabio, ma il giovane, davanti quelle sue minacce, aveva finito per incaponirsi, contraddicendolo per il semplice gusto di farlo, per non essere costretto a dare ragione all'altro, ammettendo i propri torti.
Perché non voleva lasciare Fabio? Nel porsi quella domanda si lasciò andare all'ennesimo sospiro e prese a salire i gradini che lo condussero al primo piano dell'edificio disabitato.

Quella volta, memore delle precedenti, si guardò attorno con estrema attenzione, ma la sua speranza venne disillusa presto, non trovando Alessandro ad attenderlo da nessuna parte. Rivolse uno sguardo fugace verso il punto in cui sapeva esserci il suo appartamento e notò della luce filtrare oltre le fessure della portafinestra. Una strana tristezza gli appesantì il petto, facendogli passare la voglia di mettersi a cantare: era stato in grado di udirlo oltre la pioggia, ma sapere che non si era presentato lì quella sera, nonostante fosse ancora sveglio, lo deluse più di quanto fosse disposto ad ammettere con se stesso.

Poggiò distrattamente una mano sul pilastro alla sua sinistra, sussultando appena nel sentire qualcosa solleticargli il palmo in maniera diversa dal solito. Rivolse la propria attenzione su quella porzione di struttura malandata e si stupì nel trovare un foglietto di carta affisso sul pilastro.
L'istinto fu quello di ignorarlo: era certo che si trattasse della solita immondizia, oppure di qualche numero di telefono lasciato lì da qualcuno in cerca di compagnia – non sarebbe stata la prima volta che trovava qualcosa di quel tipo dentro l'edificio.

Dopo un po', però, aggrottò la fronte, rendendosi conto che erano passati già un paio di anni da quando non aveva più sorpreso nessuno lì dentro, a eccezione proprio di Alessandro e la curiosità lo spinse a strappare il foglio dal pilastro, per leggerne il contenuto: il chiodo che lo aveva tenuto fermo cadde sul pavimento, rimbalzò con un piccolo suono metallico prima di precipitare nel cortile sottostante. Valentino si sporse un po' in quella stessa direzione, cercando di catturare almeno un flebile raggio di luna con il quale illuminare il foglio. Non pensò neanche lontanamente a utilizzare la torcia del cellulare, perché, ogni volta che l'aveva accesa dopo l'improvvisata di Alessandro di qualche sera prima, gli era sempre tornato alla mente il volto dell'uomo e uno strano imbarazzo si era puntualmente presentato ad accompagnare quel suo ricordo, mettendolo a disagio.

NEVER ENOUGHDove le storie prendono vita. Scoprilo ora