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Il locale in cui Valentino avrebbe dovuto presentarsi per un colloquio di lavoro non aveva affatto l'aspetto di qualcosa di storico: quando Caterina gli aveva comunicato che si trattava di uno dei più antichi pub della città, il giovane aveva dato per scontato che si sarebbe trovato a varcare la soglia di un posto vecchio.

In realtà era un pub come tanti altri: non si riusciva a comprendere appieno se il proprietario avesse deciso o meno di seguire uno stile preciso per il suo arredamento, dato che ogni oggetto lì presente rimandava a cose assolutamente diverse tra di loro. L'intera tappezzeria si contraddistingueva a causa dei colori scuri che erano stati scelti: le sedute erano di un caldo rosso mattone, le tende nere; ma le pareti e la pavimentazione contrastavano il tutto con i loro colori chiari. Ogni angolo pareva essere stato riempito da un souvenir proveniente dalle parti del mondo più disparate: maschere, vasi, calamite, foto, statuine, ventagli. Non mancava nulla lì dentro, anzi: c'era decisamente troppo.

Soltanto dopo un po' il giovane si accorse del palco in un angolo della grande stanza principale, posto sotto una cupola di mattoni grezzi.
Sospirò distogliendo l'attenzione dalle grandi casse, dal microfono, dalla batteria, dalla chitarra posta sul suo appoggio e dalla pianola, scuotendo piano la testa: da quando aveva beccato Alessandro baciarsi con quell'uomo una costante sensazione di gelo pareva avergli indurito le corde vocali. Parlare gli faceva male, deglutire era un po' come stare lì a ingoiare miliardi di aghi e ogni volta gli si riempivano gli occhi di lacrime.

Credeva che quella sua reazione fosse abbastanza stupida e insensata: lui e Alessandro non stavano insieme e l'uomo era perfettamente libero di fare e frequentare quello e chi voleva.
"Allora... perché fa tanto male?", si domandò e non poté fare nulla per trattenere quell'unica lacrima ribelle che riuscì a sfuggire ai suoi occhi. Si asciugò la guancia con un gesto sbrigativo della mano. Il locale era quasi deserto, a eccezione di un uomo intento a sistemare dei cavi sul palco e un altro che gli stava andando incontro – Valentino sperò che quello non si fosse accorto di quella sua piccola debolezza.

-Sei Valentino?- gli chiese l'uomo e il giovane si sforzò di sorridergli, annuendo e porgendogli una mano in segno di saluto. -Bene, ti aspettavo. Caterina mi ha parlato di te: io sono Tommaso- si presentò quello.

Tommaso aveva un sorriso rassicurante e uno sguardo molto calmo: i suoi occhi chiari parevano accarezzare con gentilezza ogni cosa e Valentino tentò di dimenticarsi di Alessandro per un po', cercando di concentrarsi su quell'opportunità che gli si era presentata.
-Allora... Caterina dice che hai una voce spettacolare- continuò Tommaso, incrociando le braccia sul petto e il giovane si trovò a tossicchiare subito dopo che la saliva gli era andata di traverso: non ricordava affatto di avere mai cantato per Caterina. Era sicuro che lei non avesse la più pallida idea di quali fossero le sue reali doti canore.

-Tutto okay?- gli domandò l'altro e Valentino si affrettò ad annuire nel tentativo di rassicurarlo. -Bene. Il tecnico dovrebbe avere finito. Scegli un brano: se sai suonare uno strumento, lì troverai una chitarra, una batteria e una pianola con le quali potrai accompagnarti, se vuoi, oppure puoi cantare senza base-
-Non so suonare strumenti- mormorò Valentino con un po' di imbarazzo e l'uomo si strinse nelle spalle.
-Abbiamo i nostri musicisti. Era per la prova. A me basta che tu sappia cantare: questo è un posto frequentato da gente particolare e noi preferiamo cambiare spesso il solista, orgogliosi di vederlo salire sulla cresta del successo, che fare brutta figura davanti ai nostri clienti-
-Ho capito-
-Bene- Tommaso batté le mani tra di loro, sfregandole appena, per poi indicare, al giovane, il palco.

Valentino annuì e incominciò a provare un panico sempre maggiore: ogni passo che faceva il suo cuore pareva battere più velocemente e la gola gli si serrava sempre più, rendendogli difficile persino respirare.
Quando si trovò davanti al microfono non fu in grado di staccare gli occhi dal pavimento: immaginò come doveva apparire in quel momento, con gli occhi spalancati per il terrore, pallido e tremante. Un brutto rospo che si apprestava a cantare, forse...
Ogni cosa, ogni suono, pensiero, oggetto: tutto sembrava sfocarsi e nella sua mente continuavano a riaffiorare immagini di quel pomeriggio.
Pareva che si trovasse costretto a visualizzare soltanto quello, come se fosse un filmato mandato in loop.
Picchiettò il microfono con due dita e sussultò terrorizzato nel sentire il riverbero del suono espandersi per tutta la stanza. Avrebbe dovuto cantare ogni sera lì, fare sentire a tutti la sua voce?

NEVER ENOUGHDove le storie prendono vita. Scoprilo ora