Capitolo 39

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Nota importante a fine capitolo, vi prego di leggerla!
Paola xx

39 - epilogo
(Nessun punto di vista)

Tre mesi non erano mai stati così lunghi, faticosi, e sofferti agli occhi di Harry. Erano sembrati più tre anni, tre anni pieni di agonia e sbronze per cercare di dimenticare. Harry sapeva bene che ubriacarsi non gli sarebbe servito, non avrebbe aggiustato le cose, ma in quell'arco di tempo tornava ad essere "felice", o almeno lo pensava.

Il caldo sole d'agosto splendeva alto nel cielo, riscaldando il leggero vento che spirava da sud. Controllò l'orario sul suo orologio: il suo volo per New York ci sarebbe stato nel tardo pomeriggio, perciò non avrebbe dovuto preoccuparsi di arrivare in ritardo.

Harry alzò gli occhi verso il palazzo bianco che era la clinica, il vento spettinò i suoi capelli lasciati crescere negli ultimi mesi. Titubante fece dei passi verso l'entrata, stringendo fra le dita quel grande mazzo di rose rosse e quel pezzo di carta ruvida infilato in una busta, poi sigillata con della cera e lo stampo del suo anello di famiglia. Harry sfiorò la cera rossa e fece in modo che i sensori avvertissero la sua presenza, così da fare aprire le porte in vetro scorrevoli della clinica.

Il giovane Styles, che oramai poteva definirsi un uomo, era riuscito a laurearsi secondo i tempi in lettere e filosofia, raggiungendo il massimo dei voti. I suoi genitori, sua sorella e sua nipote Anastasia avevano passato assieme a lui la giornata della laurea cercando, almeno quel giorno, di farlo estraniare dal mondo.

Un'infermiera fece un cenno ad Harry quando lo vide passare davanti la reception; ormai quasi tutti, lì dentro, conoscevano a memoria le guance solcate e gli occhi spenti di Harry. Per non parlare dei numerosi tatuaggi che aveva continuato a farsi.

Il riccio attraversò il corridoio e si fermò davanti l'ascensore; iniziò a picchiettare la punta di uno dei suoi Boots neri sul pavimento nell'attesa. Solo pochi secondi dopo una mano si posò sulla sua spalla. Harry voltò la testa velocemente.

«Figliolo,» Era il medico di Beverly. «Anche oggi in ospedale?»

Harry annuì ed entrambi fecero un passo all'interno dell'ascensore. «Parto per New York questa sera. Mi sembra il minimo salutarla...»

«Oh già, il tuo libro..» Il medico fece un cenno. «Beverly sarebbe fiera di te, lo sai?»

Harry scrollò le spalle e chiuse gli occhi, non volendo pensarci. Le sue orecchie si concentrarono sulla lieve melodia che fuoriusciva dalle casse presenti nell'ascensore. Infilò la mano libera nella tasca dei suoi inseparabili jeans neri e pressò la schiena contro la parete metallica, inclinando la testa.

Il medico scese al primo piano, Harry proseguì fino al secondo.

Le porte si aprirono lentamente. Gli occhi di Harry si fissarono sul pavimento bluastro senza che facesse un passo. Quando le porte dell'ascensore stettero per richiudersi, il riccio fece un passo avanti ed abbandonò quel posto.
Camminò piano, tranquillo, nessuno gli correva dietro.
Salutò anche l'infermiera di quel piano, e si fermò qualche metro prima del vetro che lo separava da Beverly.

Alla fine in quei tre mesi era riuscito ad entrare nella stanza, a sfiorare la sua amata senza che questa reagisse. Ci era riuscito con i giorni di visita, e anche questo era uno di quelli.

Scosse la testa e prese un grande respiro. Raddrizzò la schiena e superò il vetro, camminando direttamente nella stanza. Una vecchia signora in camice bianco lo guardò prima di rivolgergli un sorriso.

«Oh, tu sei Harry, non è così?»

«Si.»

«Oggi sostituisco il Dr. Philips, sono la Dott.ssa Margot. Beverly sembra stare meglio, non sei contento?»

The showgirl [h.s]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora