Capitolo 70- Ti farò uscire di qui, promesso!

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-Signorina Fiamma, c'è la signorina Virginia.- La voce di Filomena mi richiama alla realtà, costringendomi a distogliere lo sguardo dalla strada, che sto fissando da circa un'ora da dietro il vetro della finestra della mia stanza. Continuo a fissare il marciapiede da cui Niccolò mi lanciò i sassolini, da cui mi disse che mi amava per la prima volta. Passo ore a fissare Roma dalla mia camera, dato che non mi è permesso uscire per visitarla, confondendomi in mezzo alla folla di turisti. Lancio uno sguardo allo specchio, nella speranza vana di essere almeno presentabile. I miei capelli sono raccolti in uno chignon spettinato ed indosso ancora la tuta con cui ho dormito la scorsa notte. Nelle ultime sere mi sono addormentata senza rendermene conto, cadendo nel sonno stremata nel bel mezzo di una crisi di pianto. Il mio umore subisce ormai dei grandi sbalzi: in alcuni momenti cerco di farmi forza, di guardare avanti, di cogliere i lati positivi di tutta questa situazione, ma ciò che poi mi torna improvvisamente in mente è il fatto che ho perso l'unica persona che mi amava per ciò che sono.

-Ehi, Stella dei Parioli! Ti stai riprendendo?- Virginia appare da dietro la porta della mia camera, richiudendola dietro di sé. Penso che la sua espressione leggermente schifata sia dovuta alle occhiaie miste al mascara colato, o in generale alla mia condizione a dir poco disperata. E pensare che indosso anche una tuta di Gucci, ma questo è uno dei casi in cui neanche un marchio riesce a nascondere il tuo stato d'animo.

-Dal trauma cranico o dal cuore spezzato?- Riporto lo sguardo fuori dalla finestra, nonostante non stia più fissando un punto preciso del panorama. Intuisco che abbia appoggiato la sua borsa e la busta di carta che teneva in mano da qualche parte senza fare rumore, dato che si presenta davanti a me a mani vuote.

-Inizierei con il trauma cranico: per il cuore spezzato ci sono più cure di quante immagini.- Mi obbliga a voltarmi verso di lei, che si trova in piedi davanti alla poltrona su cui sono seduta. Sospiro, mentre invade il mio cervello la speranza di svegliarmi dall'incubo che sto vivendo. Tutti vorrebbero avere la possibilità di partire per Milano, dove frequentare un'università prestigiosa, ma il mio pensiero fisso si chiama Niccolò.

-Mi hanno impedito di vederlo, Virginia.- Socchiudo gli occhi, cercando di non piangere. Sono chiusa in casa da quasi dieci giorni, dopo aver trascorso qualche giorno in ospedale per riprendermi da quello spiacevole "incidente", se così vogliamo chiamarlo. La versione ufficiale è che ho sbattuto in un lampione per schivare un auto che stava parcheggiando. Sono quelle storie inventate dagli uffici stampa della gente importante, giusto per mettere a tacere voci pericolose.

-Era il minimo, pensando ai tuoi genitori... È già tanto che non abbiano pagato qualcuno per espropriare il suo appartamento e lasciarlo in mezzo a una strada.- Accarezza il velluto rosa cipria della poltroncina, sulla quale si è appena seduta, ritrovandosi di nuovo di fronte a me. Io sono ferma qui da non so quanto e non credo lo farò fino a domani, per andare a scuola.

-Non farmici pensare... Non so neanche come comportarmi: i miei genitori hanno fatto in modo che io non riesca più a contattarlo, nè con telefonate nè con messaggi. In più mi impediscono di uscire anche a prendere un giornale.- Non riesco a spiegare a parole quanto bisogno avrei di parlare con Niccolò, anche di chiudere il nostro rapporto, se necessario. Vorrei solo avere la possibilità di guardarlo negli occhi un'ultima volta, perché le relazioni non si chiudono con un "Ti amo" detto da dietro la porta di una stanza di ospedale.

-Sarebbe strano vederti ad un'edicola, dato che è sempre stata Filomena a comprarti le riviste. A parte questo... Ci facciamo un bell'aperitivo?- Si alza in piedi, dirigendosi verso la mia scrivania, sulla quale ha appoggiato la borsa e la busta che aveva in mano prima.

-Sono praticamente agli arresti domiciliari, non lo hai ancora capito?- Le chiedo, senza capire chiaramente cosa abbia in mente, dato che oltre ad avere un aspetto inquietante, sono anche obbligata a non lasciare casa mia. Addirittura i miei controllano il tempo che Alessandro impiega per portarmi da casa a scuola ed io non posso che sentirmi un animale in gabbia: sono agli arresti domiciliari, condannata per essermi innamorata di un ragazzo non abbastanza ricco di San Basilio.

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