Capitolo 7

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Mancava poco prima che Giuseppe arrivasse a Bologna e Sibilla non stava più nella pelle.

Non si era agghindata come a teatro, no, era complessivamente vestita con più semplicità e comodità: una gonna semplice, una camicia chiara e un cardigan abbinato, molto pregiati nel tessuto.

Nelle ultime due settimane lei e Giuseppe si erano sentiti per telefono quasi tutti i giorni: sebbene lui non sopportasse molto le piattaforme di messaggistica istantanea si era adeguato a quel metodo di comunicazione, tuttavia c'era stata qualche sporadica chiamata.

Per quanto assurdo, ridicolo e infantile potesse sembrare, Sibilla non riusciva ancora a capacitarsi di aver allacciato un'interazione più consistente con un uomo, una "frequentazione" di quel genere.

E con che uomo.

Era da vertigine emotive, Giuseppe. Così flessibile e condiscendete quando si trattava della vita quotidiana da essere adorabile, serio e rigoroso invece quando parlava dei suoi lavori che quasi metteva in soggezione.

Talmente erano tante le cose che aveva fatto e studiato che Sibilla a volte si sentiva completamente inadeguata per un uomo simile: era come raffrontare un altopiano qualsiasi con la vetta dell'Everest.

Giuseppe se la prendeva molto quando Sibilla si poneva in quei termini, davvero non riusciva a tollerare che lei si sminuisse a tal punto e puntualmente faceva vertere la conversazione in tutti quegli ambiti forti sui quali lei poteva contare, argomentare e discutere – che, oggettivamente, non erano pochi.

Avevano tanti innesti culturali in comune sui quali disquisire e Giuseppe le aveva fatto notare come le carenze soggettive venissero completamente supplite dall'altro. Lei, a quell'affermazione, aveva percepito un brivido di piacere giù per la schiena, inebriante e irretivo.

Sibilla aspettava impaziente davanti al portone massiccio di casa sua quando Giuseppe sbucò fuori da via de' Poeti per arrivare nella sua, via Rolandino.

"Ciao Giuseppe" si diedero due baci sulle guance "Che bello rivederti"

"Ciao Sibilla" la sfiorò sul braccio e ricambiò il saluto "Sono veramente felice di essere qui" si guardò un poco intorno, mirando le architetture romaniche della chiesa di San Domenico proprio alla fine della strada, al centro della piazza omonima.

Tra una chiacchiera e l'altra si avviarono verso la mostra su Marc Chagall, poco distante da lì, quindi iniziarono il loro giro, apprezzando anche le belle installazioni digitali a supporto della mostra.

Finirono la visita in poco meno di un'ora dopo, in perfetto orario per pranzare, poi avrebbero terminato la giornata passeggiando per le vie del centro meno frequentate, pregustandosi la magia dei portici colorati.

Le peripezie virtuosistiche della tromba di Chet Baker col suo trio permeavano delicatamente il reparto giorno del loft di Sibilla; in quel preciso istante Giuseppe rise sommessamente, richiamando la sua attenzione.

"Cosa c'è?" gli chiese lei, ridacchiando.

"Sono estasiato dai tuoi squisiti tortellini e sto guardando quella statuetta ricoperta di oro, messa come soprammobile nella libreria per separare il reparto letteratura italiana da quella straniera" rise ancora, concentrandosi subito dopo al suo piatto di tortellini che Sibilla aveva preparato con estrema minuzia.

Tra le altre cose, nella vita normale della gioventù, aveva imparato a spadellare e a destreggiarsi tra i fornelli molto bene. Aveva un approccio molto scientifico con l'arte culinaria, tuttavia c'erano alcune pietanze talmente classiche che il modus operandi empirico era l'unico con il quale riuscisse a cucinare. Complessivamente pasticciava sempre un po', ma il risultato era quasi sempre notevole.

In quei giorni felici arrivati con teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora