Capitolo 10

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"Sicura, eh?" le chiese Fellowes, seduto dietro la regia "È la quarta volta che lo rifacciamo, se sei stanca puoi staccare, c'è qui Alison pronta al posto tuo"

"Posso farcela" rassicurò Sibilla, rivolgendosi a tutta la troupe; aveva imparato apposta certe acrobazie proprio per quel film. Calò il silenzio e lei salì le scale della piattaforma: il green screen rifletteva la luce dei fari, quasi accecandola.

Arrivata in cima, gli addetti le legarono l'imbragatura in vita – che poi sarebbe stata rimossa a computer in postproduzione – e si assicurarono che i moschettoni fossero ben saldi.

"Pronta?" le chiese il regista e lei, senza distogliere lo sguardo dalla balaustra di fronte, alzò il pollice.

"Tre... Due... Uno... Azione!"

Sibilla prese la rincorsa e saltò in lungo, aiutata dal cavo sospeso. Era un salto molto lungo e il punto di appoggio aveva un dislivello di due metri più in basso rispetto a dove Sibilla aveva staccato i piedi; era ancora in aria, pronta ad atterrare sulle mani per far passare le gambe nel poco spazio a disposizione tra le spalle e la balaustra, ma qualcosa andò storto.

Qualcosa andava storto ormai da settimane.

Si accumulò troppo peso sul polso destro, quindi cedette e si scaravoltò su se stessa, battendo fortemente la spalla e cadendo esattamente dalla parte opposta della balaustra, nel vuoto. Urlò dal dolore, ma le si spezzò quasi immediatamente il fiato in gola.

Istintivamente mosse il braccio sinistro e afferrò la parte bassa della balaustra, sforzandolo all'inverosimile e rimanendo appesa saldamente, ma subito si sentì sollevare per il bacino dall'imbragatura. Tutta la troupe aveva urlato e solo allora metabolizzò di non riuscire a muovere la spalla destra.

"Tiratela giù! Subito!" urlò il regista e proprio in quell'istante il collega di Sibilla, Henry Bonneville, si sporse dalla balaustra allungandole un braccio.

"No! Fermo!" le urlarono gli infermieri lì presenti "Non toccarla!".

L'agitazione era palpabile nell'aria, dovunque, e Sibilla si sentiva terribilmente in colpa per essere stata così testarda da proseguire in quella scena che implicava tanta concentrazione. Troppa concentrazione. E lei non riusciva più ad averne.

Si detestava per quello, in tutta la sua vita era sempre riuscita a discernere ogni tipo di situazione, anche le più drammatiche e disperate, a partire dai sorrisi sinceri e veri che riusciva a fare al Liceo o fuori con gli amici anche se era stata da poco malmenata da suo padre. Si era sempre sentita molto forte e resiliente per quello, era uno dei pochi tratti che apprezzava di sé, ma Giuseppe le aveva sferrato un colpo troppo basso, l'aveva devastata completamente.

E lei, stupida che era stata, glielo aveva concesso. Gli aveva dato l'opportunità di ferirla.

Più volte si era data della patetica, ma in realtà era un'autentica idiota. A tutto tondo.

L'imbragatura iniziò a girarsi e lei si ritrovò a testa in giù come una scema, costretta a tenersi stretto il braccio infortunato per non farlo ricadere seguendo la forza di gravità e ritrovarsi ad urlare come un'ossessa per il dolore – e magari complicare e disastrare la situazione più di quanto non lo fosse.

Gli addetti sulla piattaforma iniziarono a tirare la corda, quindi lentamente risalì nel vuoto. Gli infermieri erano già saliti sulla balaustra e l'afferrarono per i fianchi, molto delicatamente. Le sciolsero l'imbragatura, la misero in posizione di sicurezza e la osservarono complessivamente.

"Grazie, ragazzi" disse lei e loro le sorrisero distrattamente.

"Dove ti fa male?"

"La spalla destra, non riesco a muoverla... anche dalle costole, mi brucia un po' la pelle"

In quei giorni felici arrivati con teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora