Capitolo 25

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Sibilla saltò sul masso, reggendosi sulle gambe e sciogliendo il busto, facendolo ricadere un poco all'indietro, pesando equilibratamente sul bacino. Alzò un braccio e portò la mano sulla fronte, con un gesto distratto, rimanendo costante e salda nella sua posa, sentendo la luce dei fari scaldarla più di quanto non facesse il calore serale romano.

Di sottecchi vide un suo collega inginocchiarsi poco distante da lei, a terra, rivolto al pubblico e con le mani tese davanti a lui.

Lentamente le luci proiettate sullo sfondo del Foro di Cesare scemarono come anche i fari puntati addosso, sempre di più, lentamente, fino a spegnersi del tutto, lasciando che le luminarie di Via dei Fori imperiali e dell'Altare della Patria riflettessero il riverbero tutt'intorno.

Gli spettatori diedero iniziò ad uno scroscio di applausi e pochi istanti dopo si riaccesero le luci; anche la gente posata alla balaustra della strada rialzata era in fomento per la fine dello spettacolo.

Sibilla si sciolse dalla sua posa e – come gli altri attori e attrici – afferrò la mascherina che gli operatori di scena le passarono, affiancandosi poi ai suoi colleghi.

S'inchinarono insieme, più e più volte, ricambiando gli applausi al pubblico che era stato ordinato e rispettoso delle norme restringenti.

Era bello lavorare, sentirsi viva su quel palcoscenico antico migliaia di anni, in uno spettacolo che aveva scritto lei stessa in fretta e furia con un collega, finanziato con pochi fondi, il cui ricavato sarebbe stato devoluto in beneficenza – o almeno era così per il compenso di Sibilla, per sua volontà.

Aspettarono ancora, per lunghi minuti, poi la folla iniziò ad uscire dal foro e tutti gli attori si ritirarono «dietro le quinte» allestite fuori dal palcoscenico naturale e architettonico, un poco nascoste al pubblico. Si sistemarono e dopo i saluti di cortesia alle autorità presenti, le attrici e gli attori con i quali Sibilla era stata a stretto contatto per settimane le si avvicinarono:

"Andiamo a mangiare qualcosa, vorresti venire con noi?" chiesero. Erano usciti tante di quelle volte che sicuramente declinare quella sera non sarebbe stato così maleducato, soprattutto perché Sibilla si era spinta veramente al limite e più volte le era mancato il fiato. Testardamente aveva continuato senza dire nulla a medici e operatori competenti, faticando ogni tanto e tradendo la sua stessa parola che aveva garantito a Giuseppe.

Gli sforzi fisici iniziavano ad essere nuovamente naturali, ma associati ad un pelo di stress e nervosismo erano insidiosi come nei mesi precedenti e i colpi di coda del virus le facevano visita facilmente.

"Questa sera salto, ragazzi" sorrise tristemente "Sono veramente esausta. Vado a salutare la gente là fuori e poi torno a casa... mi sono tirata un po' per il collo"

"Tranquilla, ci vedremo nei prossimi giorni, buona serata!" la salutarono quindi Sibilla chiuse i suoi effetti nello zaino, se lo mise in spalla e andò verso l'uscita, raggiungendo la folla che l'aspettava.

Si trattenne a lungo per concedere un selfie a tutti con grande simpatia e disponibilità, ad ascoltare quello che i fan le avevano da dire, per poi concedere un pensiero ad ognuno; si levarono anche alcune domande che la fecero sorridere: «come sta Giuseppe a Bruxelles?" gli chiese un signore, «siamo tutti col Presidente e con lei, Sibilla» disse un altro, molto caro.

In mezzo a così tanta gente – nonostante il distanziamento – c'era da impazzire ogni santa volta, ma il suo sacrificio era nulla quando vedeva i sorrisi delle persone, per i ricordi fotografici agognati che portavano via con loro.

Una volta «libera» prese la moto che aveva lasciato in un luogo apposito lì vicino e tornò a casa, lavandosi e sprofondando nel materasso. Accese il telefono e la prima cosa che controllò furono i messaggi. Tra quelli di Arianna, di sua madre e di alcune amiche, scorse quello di Giuseppe che aprì immediatamente:

In quei giorni felici arrivati con teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora