Finale alternativo (parte terza)

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Erano morte altre cinque persone insieme a Sibilla: tre ragazzi e due ragazze. Una carneficina, una tragedia inaccettabile e atroce. Quelle perdite avevano lasciato una ferita talmente profonda nella città di Roma che difficilmente si sarebbe rimarginata.

Si erano spezzate vite giovanissime, dai diciotto ai venticinque anni.

Era morta Sibilla.

In quelle ore il sentore di alcuni tumulti si era fatto sempre più palpabile, incombente, e infatti erano sorti alcuni scontri sotto la sede del partito estremista dal quale provenivano i carnefici di quella strage.

I conoscenti delle vittime si erano appostati là sotto e nel giro di poche ore anche i più invasati dei movimenti estremisti opposti avevano cavalcato l'onda del rancore. Urlavano e chiedevano lo sgombero immediato e che l'inasprimento delle leggi Scelba e Mancino venisse attuato quanto prima possibile per sciogliere i partiti di estrema destra.

In alcune zone della città stava realmente scoppiando il caos... e Giuseppe non riusciva a sentirlo, a processarlo e comprenderlo. Non interamente.

Da quando aveva lasciato l'ospedale si era concentrato con ogni briciolo di forza e volontà pur di non pensare ai dottori che aprivano il corpo di Sibilla per prenderle gli organi. Era un gesto nobile e interamente apprezzabile, ma lui aveva lo stesso i conati del vomito.

Nonostante in quel preciso istante si trovasse dietro la sua scrivania a Palazzo Chigi, con dei documenti che necessitavano di una firma impellente, Giuseppe non riusciva a muovere un solo dito.

Respirava rumorosamente, con le mani sui poggioli della poltrona, a fissare quei fogli e con l'immagine di Sibilla che gli assaliva i pensieri.

Non aveva nemmeno più lacrime da versare: se ne stava lì, immobile e silenzioso, immerso nel suo dolore e in quel vuoto sordo del suo studio. Almeno per qualche minuto... che durò troppo poco.

Bussarono alla porta e lui li lasciò entrare: portavoce, collaboratore e altri funzionari.

"Presidente..."

Presidente... Presidente... Presidente...

Era da ore e ore che lo assillavano di continuo.

Ma cosa diavolo volevano da lui? Ma non lo capivano che era morta sua moglie? Che Sibilla non faceva più parte di quel mondo? Che non l'avrebbe mai più stretta tra le braccia? Che non l'avrebbe mai più vista varcare la soglia con quel suo sorriso adorabile e raggiante? Che non sarebbe stata lì con lui, a crescere insieme la loro piccola Isotta?

Chiuse le palpebre e inspirò profondamente, portando due dita alla radice del naso, sfregando per mitigare il mal di testa che lo martellava violentemente.

"Presidente, ci servirebbe la delibera per i funerali di stato dei giovani" disse il suo portavoce, mestamente.

Quello era stato in tutto e per tutto un attacco terroristico, e i protocolli erano chiari: esequie statali, senza tanti preamboli. E lui avrebbe dovuto partecipare.

In mezzo a quelle vittime e a quel rito ci sarebbe finita anche Sibilla, e lui si sentiva in colpa.

La morte di lei gli pesava insostenibilmente e insopportabilmente sul cuore e sulla coscienza, ingabbiando tutto in uno spesso velo nero di morte e colpevolezza che gli toglieva il fiato, gli faceva palpitare il cuore irregolarmente.

Giuseppe, in più occasioni, si era detto più che favorevole all'inasprimento delle leggi Scelba e Mancino; era stato lui a dare pieno sostegno alla Ministra dell'Interno per la missione di salvataggio «Apriti mare». Continuava a ripetersi di aver praticamente condannato a morte Sibilla con le sue stesse mani, anche se si trattava di un attacco terroristico sì mirato, ma non a lei in particolare. Nessuno aveva saputo della sua partecipazione alla presentazione dei ragazzi, nessuno era a conoscenza della sua presenza in Piazza Campo de Fiori, eppure era stata brutalmente e vilmente assassinata.

In quei giorni felici arrivati con teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora