Capitolo 16

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Sibilla schivò di striscio le gambe di Giuseppe, reggendo ugualmente con sicurezza il vassoio appena preparato con la carta assorbente.

"Oddio, scusa" si sporse lui, chinato sotto il tavolo per sistemare il gancio che permetteva di allungarlo di qualche centimetro "Tutto a posto?"

"Tutto alla grande" si voltò lei, in fretta, raggiante e sorridente come mai; proseguì verso il cucinotto, soffermandosi per un momento accanto all'albero di Natale, ad osservare una foto di Giuseppe da bambino, in braghette corte e col cappellino in testa, mentre carezzava il muso di un asinello. Un momento dopo affiancò Lillina, fasciata in una camicetta broccata e in eleganti pantaloni di flanella, con davanti un grembiule "Ecco qui il vassoio"

"Oh, grazie Sibilla" lo prese, posandolo vicino alla pentola con l'olio che friggeva "Cara però non voglio che lavori, oggi siete ospiti e tu sei arrivata da poco da Londra, sarai sicuramente esausta. Per favore" la rimproverò amorevolmente, prendendole le mani e carezzandole il volto.

"Signora Lillina non si deve affatto preoccupare. Non dovete sobbarcarvi tutto il lavoro lei e il signor Nicola: io e Giuseppe lo facciamo volentieri e poi ci si diverte tanto tutti insieme"

"Non mi dare del «lei», ti prego" la supplicò bonariamente, carezzandola ancora.

"Ci proverò, davvero" sorrise a trentadue denti, guardandola e rivedendo lo stesso meraviglioso sguardo di Giuseppe. Le risultava ancora difficile darle del «tu», non tanto per la mancanza di un buon rapporto tra loro, anzi, ma per una semplice questione di rispetto dalla quale non riusciva a discernere il suo linguaggio.

Proprio in quel momento arrivò il suocero, Nicola – un poco innervosito per il disguido tecnico del tavolo – a dare manforte a Giuseppe, dicendogli esattamente come fare mentre sbracciava un poco. Osservando quel simpatico quadretto, sorrise spontaneamente. Sibilla era felice di essere lì, di vivere quella normalità e reciprocità familiare che raramente, fin da bambina e ragazzina, aveva fatto parte della sua vita.

Poco più tardi arrivarono anche Maria Pia, suo marito e la figlioletta di dieci anni, quindi pranzarono tutti insieme, e quel Natale trascorse così diversamente e gioiosamente rispetto a tanti altri che Sibilla a stento riusciva a credere di essere lì. Inglobata ed accolta in quella famiglia, si sentiva amata ed apprezzata; trascorsero molte ore a parlare del passato, dei ricordi più belli e di aneddoti interessanti, come quello di Giuseppe da bambino quando, in una sola serata, aveva imparato ad andare in bicicletta senza le rotelle, martoriandosi le ginocchia senza tregua; da lì nacque una grande passione. Di alcuni suoi vizi di quando era piccolo, che smossero non poca ilarità a tavola facendolo arrossire più volte o di quando, da ragazzino appassionato di calcio, aveva giocato per la prima volta in porta – senza guanti – e gli era arrivato un pallone sul mignolo sinistro, fratturandoglielo. Solo allora Sibilla riuscì a spiegarsi il motivo per il quale non riusciva a piegarlo del tutto.

L'ambiente si rivelò molto diverso invece appena pochi giorni dopo, a casa dei genitori di Sibilla, a Bologna.

Giuseppe si era dimostrato entusiasta di fare la conoscenza di sua madre e di sua sorella, irreprensibilmente meno invece di suo padre: dopo tutto quello che le aveva fatto e che Sibilla gli aveva descritto affinché conoscesse e sapesse tutto della sua vita, Giuseppe non era esattamente invogliato di fare la sua conoscenza. Era certa che Giuseppe non nutrisse chissà quale stima e rispetto nei riguardi di quell'uomo violento, e non lo biasimava affatto per quello.

"Sibilla non ha mai avuto quel minimo di ritegno che le donne dovrebbero avere" sibilò suo padre Andrea, seduto sgraziatamente nella poltrona. Sul volto di Federica, sua madre, calò una maschera d'indignazione, senza però proferire alcuna parola, come d'altronde faceva da una vita intera.

In quei giorni felici arrivati con teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora