Capitolo 27

603 37 15
                                    

Sibilla corse in bagno chiudendo automaticamente la porta dietro di sé, alzando la tavoletta del wc, quasi infilandoci la testa dentro e vomitò.

Solo che non c'era niente da espellere dal suo stomaco, nulla di nulla, era solamente uno dei tanti rigurgiti dovuto alla combo della stagnazione dei succhi gastrici e dei crampi.

Lo sforzo fu così intenso e innaturale che le pizzicò la pelle del volto, le fecero male gli occhi, le bruciò il naso. Quando ebbe finito, però, si sentì meglio... o per lo meno, non percepì più quel malessere che l'aveva assillata fin poco prima.

Sibilla si sciacquò la faccia e si lavò i denti, quindi si osservò interamente allo specchio e non riuscì a vedere nient'altro che un corpo che stava lentamente scomparendo.

Era iniziato da poco dicembre e aveva perso quasi dieci chili, procurandosi un notevole anticipo sulla tabella di marcia delle riprese.

Appena finito il lavoro sul set della trilogia di Hayman – e salutando definitivamente Henry, che si stava finalmente costruendo una vita con una ragazza gradevolissima – aveva iniziato i primi girati su quel set con Anne Flores, a Londra. Una Londra – per quel film – resa caotica, frenetica, all'avanguardia, mai dormiente e avvolta in una mondanità macabra e vacua.

Tutte le scene col suo peso normale erano già concluse in tanti di quei girati che nella fase di montaggio ci sarebbe stato l'imbarazzo della scelta.

Poi aveva iniziato la dieta e l'ultima settimana e mezzo di novembre era tornata a Londra per i girati con una determinata forma fisica. E di «forme» iniziava ad averne veramente poche, anzi, nessuna.

Una mela la mattina, una scatoletta di tonno senza olio a pranzo, e la sera dei fiocchi d'avena da soli, senza nulla di bevanda che li accompagnasse – ad esclusione dell'acqua e di qualche proteina e vitamina in beverone nel corso della giornata. Tutti i giorni così e lei ci stava realmente perdendo la testa.

Sibilla aveva fame come mai nella vita; aveva le forze per fare poco o nulla, le risparmiava tutto il giorno per tenerle per particolari evenienze.

Sibilla stessa come persona stava cambiando: perennemente nervosa, scocciata, scettica, sospettosa polemica e molto, infinitamente cattiva.

La fame l'aveva resa incline ad una cattiveria troppo gratuita, soprattutto nei confronti di Giuseppe, che era colui che – inevitabilmente – le stava più accanto di ogni altra persona. Sibilla se ne rendeva conto di quanto ingiusta e ingrata fosse nei suoi riguardi, si ritrovava a chiedergli scusa molto spesso, ma con una certa sufficienza che non riusciva a spiegare a se stessa. Giuseppe iniziava a stancarsi: non lo biasimava del tutto. Lei stessa si detestava, ma era troppo orgogliosa per ammetterlo,

Aveva rinunciato a qualsiasi tipo di uscita pubblica con lui, come quella sera, ai giardini del Quirinale, dove una mostra d'arte contemporanea avrebbe riunito inevitabilmente molti ospiti e cariche istituzionali, tra cui Giuseppe che le aveva chiesto di accompagnarlo, ma lei aveva rifiutato.

Aveva declinato quell'invito tra sbuffi vari e vittimismo, seppur non del tutto infondato: Giuseppe sapeva che in quelle occasioni c'erano sempre delle cene deliziose e Sibilla impazziva, perdeva realmente la testa, le veniva da piangere e urlare silenziosamente, ma allo stesso tempo apprezzava come suo marito cercasse di starle accanto e di averla con sé nonostante il suo caratteraccio.

E l'orgoglio – spuntato così soverchiante quasi dal nulla – le ostacolava ogni forma di spontanea e naturale gratitudine che l'aveva sempre caratterizzata e distinta fra la gente.

Quella sera Sibilla gli aveva piantato un muso veramente incredibile e lui se n'era andato al Quirinale sbattendo la porta di casa, esasperato come poche volte nella vita.

In quei giorni felici arrivati con teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora