Capitolo 11

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Finalmente a Bologna era giunto un gennaio gelido, degno di quel nome, brumoso, umido e desolato nella landa padana; le colline molli sullo sfondo erano ora ghiacciate, fredde, cupe e distanti.

L'inverno, dopo le vacanze di Natale, era sempre stato indigesto e deprimente per Sibilla, fintanto che non fossero sbocciati i primi fiori e germogli a marzo.

Le riprese del film erano finite da due mesi ormai e lei si era presa un periodo di pausa per dedicarsi a qualche ricerca, alla musica, alla lettura e ad alcuni raffronti-convegni con grandi attori teatrali.

Il film girato circa un anno prima, Smothered, era uscito a metà dicembre in tutto l'occidente; in oriente arrivò solo col Natale. Aveva avuto un enorme successo, la critica era stata particolarmente e sensibilmente generosa con i voti, senza contare che il film era ancora in proiezione da un mese, incrementando sempre di più gli incassi già alle stelle.

Sibilla, per promuoverlo, aveva fatto numerose interviste in giro per il mondo, assentandosi da casa per pochi giorni e poi tornando più stanca che mai.

Quando andò a Londra per un'intervista alla BBC, si incontrò con Henry, siccome avevano continuato a sentirsi: era stato carino e gentile come sempre, sembrava essersi affezionato a lei e per quel motivo, Sibilla, cercava di non dargli troppe confidenze.

Conosceva molto bene la delusione e il dolore di un cuore spezzato.

Quando era fuori casa tutto il mondo le era appresso, tutti quanti volevano sapere, vedere, ascoltare tutto di lei, famelici e bramosi di carpire quante più informazioni possibili. Eppure, quando Sibilla si chiudeva la porta di casa dietro le spalle, si ritrovava sola più che mai.

Quel sabato sera aveva cenato leggero e decisamente presto rispetto alle sue ordinarie abitudini; forse era stato il gelo imminente a costringerla a coricarsi quanto prima. Prima si lavò e si mise al pianoforte poco più di un'ora per studiare il Phœbe dell'Opera 30 di Mélanie Bonis: un pezzo tecnicamente non troppo impegnativo, ma ugualmente esigente.

Il sonno quella sera non arrivava. Sibilla si alzò dallo sgabellino del piano e guardò fuori dalla terrazza: aveva iniziato a nevicare molto forte, i fiocchi scendevano furiosi, grandi come palline da golf, rendendo il capolavoro del complesso morfologico urbano di Bologna degno di una fiaba medievale, soffusa tra antiche leggende e creature mitologiche.

Attizzò il fuoco nel camino e si adagiò sulla chaise longue accanto, coprendosi con una calda e morbida coperta in tartan e continuando la sua seconda lettura – a distanza di anni – del Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline.

Passarono parecchi minuti e la neve aveva iniziato a coprire tutti i tetti, le strade erano già imbiancate e il cielo era una commistione di riflessi di colore, in bilico tra l'arancione del riflesso dei lampioni della città e il candore dei nugoli bassi.

Il citofono suonò all'improvviso, facendola trasalire appena: erano le undici di sera passate.

"Ma che cavolo...?" borbottò tra sé e sé, dirigendosi verso la porta "Chi è?" chiese fermamente, presumendo già uno stupido scherzo di ragazzini.

Ci fu un momento di silenzio, ma era chiaro che qualcuno fosse lì. Sibilla iniziò a preoccuparsi e alzò il dito vicino al pulsante per chiamare i soccorsi immediati.

"S-Sibilla" gracchiò una voce tra le interferenze "Sono Giuseppe... e non ne sono orgoglioso".

Non riuscì a controllarsi e posò la fronte contro il muro, del tutto inerme e impreparata a quella visita che mai si sarebbe aspettata. Da tempo si era rassegnata all'assenza di Giuseppe nella sua vita, con tutto il dolore che ne derivava.

In quei giorni felici arrivati con teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora