39. Il silenzio della pioggia

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Oscurità. Il piccolo coniglietto vagava e vagava per i meandri della sua stessa mente. Cercava una via d'uscita ma non la trovava; attorno a lui il nulla. Gridava, con tutta la voce che aveva ma nessuno lo sentiva, nessuno sarebbe venuto a salvarlo.

Vide in lontananza una piccola porta, corse verso di lei, chiusa. Iniziò a bussare con il pugno e intanto chiedeva aiuto ma era del tutto inutile, nessuno sarebbe venuto a salvarlo.

Dei passi. Si voltò di scatto, era arrivato. Batté ancora su quella piccola porticina di legno, sentiva gli occhi pizzicare, stava per scoppiare piangere. Lo stava venendo a prendere. Era lì, a pochi passi metri da lui. Non si sarebbe salvato. Non voleva andare da lui, gli avrebbe fatto del male.

«Piccolino...Dove sei?»

Eccolo. Smise di bussare, non aveva senso continuare, sapeva che nessuno sarebbe venuto a salvarlo, si arrese. Ma non voleva il burattinaio, aveva paura di lui. Si rannicchiò, si fece piccolo piccolo con la speranza di non essere visto. Il cuore gli batteva all'impazzata, voleva fermarlo pur di non subire quelle torture. Sussurrava parole senza senso, con la speranza che tutto quello non fosse reale. Troppo tardi.

Qualcosa si posò sulla sua spalla, il primo tentacolo nero e ricolmo di catrame lo aveva preso. Non si mosse, aveva deciso di non opporre resistenza, tanto era già in trappola.

Ne arrivarono altri, si attorcigliavano attorno alle braccia, gambe, vita e alla fine al collo. Lo trascinarono via con forza, la porticina si faceva piccina piccina, finché non scomparve del tutto.

Lacrime segnavano il viso del coniglietto; lacrime piene di dolore e sofferenza.

Fu messo in ginocchio con le braccia alzate, mentre la testa penzolava. Dal corpo partivano degli spasmi, l'oscurità stava entrando dentro al suo corpo, lentamente e dolorosamente. Il drago fu ucciso e il coniglietto rinchiuso in una piccola e stretta gabbia, per poi essere gettato in un angolo oscuro della mente.

Una risata malefica si librò in quello spazio indefinito. Il burattinaio stava ammirando la sua bellissima creazione, quella era arte pura.

Si mise dietro al giovane, la mano destra gli accarezzò il collo. Arrivò al mento, costringendolo ad alzare la testa. Oscurità. Dolore. Manipolazione.

L'indice andò in cerca di quelle labbra carnose e peccatrici, le accarezzò. Gli infilò il dito dentro alla cavità orale, la vittima lo doveva leccare.

Qualcosa di ruvido e bagnato gli toccò l'orecchio, il burattinaio voleva gustarsi la sua creazione. Il corvino chiuse gli occhi, le lacrime avevano smesso di cadere da tempo, gli occhi erano diventati due pozzanghere piene di catrame, voleva morire.

«Sei mio!» gli venne sussurrato all'orecchio. Apparteneva al burattinaio. 








Jungkook era ancora in piedi, stava per scoppiare ma non poteva farlo, doveva resistere. Si morse con tutta la forza che aveva fino a farlo sanguinare, la prima goccia rossa scendeva lungo il suo mento.

Prese il suo anello, quello con il drago che gli aveva regalato Taehyung, la sua promessa di matrimonio. Lo lanciò a terra con tutta la forza che aveva. Non se lo merita, soprattutto dopo quello che gli aveva detto. Era tutta colpa sua. Tutto quello che era successo era solo colpa sua, aveva scelto il potere e adesso ne avrebbe dovuto pagato le conseguenze.

Posò le mani sui capelli, cominciando a tirarli appena, sensi di colpa. Gridò. La voce uscì violenta dal suo corpo. Fuoco, la gola gli stava andando letteralmente a fuoco da quanto stesse urlando. Angoscia e sofferenza vennero buttate fuori tutte in una sola volta.

Sarang & Kal ~ SequelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora