»29«

1.1K 123 90
                                    

Quelle mura fredde, scure e di pietra stavano opprimendo il povero Izuku che si trovava rannicchiato sulla branda impolverata. Era stato portato in quella piccola cella e lasciato solo. Sentiva i propri respiri disperdersi in quella stanza e il suo cuore battere contro la cassa toracica e riempirgli le orecchie rendendo il mondo esterno ovattato.

Sospirò tremando e si rese conto che la temperatura in quel posto era più bassa rispetto a quel tepore che rendeva la sua stanza un po' più accogliente.

Non aveva sonno, non aveva fame o sete, si sentiva vuoto, inutile, quasi un fantasma. Avrebbe voluto poter parlare con i suoi amici, avrebbe voluto poter vedere la luce delle stelle, ma in quella cella c'era solo una piccola finestra, alta e chiusa da sbarre di ferro.

Si strinse le gambe al petto e affondò il viso tra le ginocchia piegate. Cercò di ricacciare indietro le lacrime, odiava mostrarsi debole, anche se si trovava da solo in quella cella, non avrebbe potuto dire in che momento si sarebbe presentato il capitano o le sue guardie.

Cercava di contare i secondi e i minuti, ma arrivato al terzo minuto aveva perso il conto e a quel punto non sapeva già più da quanto tempo si trovasse in quella cella fredda e isolata.

Allungò il braccio e afferrò quello che doveva essere un cuscino, ma che in realtà era solo una vecchia federa riempita di vestiti strappati. Si portò il cuscino al viso e ne sentì la puzza, quell'odore pungente gli fece lacrimare gli occhi o forse semplicemente non riusciva più a trattenere le lacrime. Affondò gli occhi umidi e la bocca contratta nel cuscino e vi soffocò un urlo disperato.

Nessuno lo avrebbe sentito in quel modo e nessuno si sarebbe reso conto della sua sofferenza, in quel momento poteva pensare solo a quello, perché se solo avesse cominciato a pensare che entro tre giorni sarebbe morto, probabilmente sarebbe impazzito completamente.

Lanciò lontano quel cuscino non appena si inumidì delle sue lacrime e si mise in piedi. Si avvicinò alle sbarre della cella e le afferrò con rabbia, le strinse talmente forte che le nocche divennero bianche. Non provò a scardinare le sbarre o a evadere, sapeva dell'impossibilità di trovare una via di fuga, ma sentire il freddo del ferro sui palmi lo manteneva lucido quel tanto che bastava per riuscire a ripetersi nella mente i nomi dei suoi amici e a pensare a loro come compagni in salvo perché avevano scoperto solo lui.

Si girò verso il letto e lo guardò schifato, consapevole che prima o poi la stanchezza avrebbe preso il sopravvento e lui si sarebbe dovuto sdraiare di nuovo su quelle lenzuola lerce.

Le visite non erano permesse, lui lo sapeva benissimo. Tempo prima era stato rinchiuso un suo amico in quella stessa cella o forse quella accanto, lui non lo sapeva, perché appunto non gli era stato permesso di vederlo.

Si chiamava Sero ed era stato un compagno fedele e silenzioso. Non lo aveva conosciuto bene come aveva fatto con Shoto e Denki, ma aveva potuto dire più volte che era una brava persona. Purtroppo, durante uno scontro aveva ucciso un hunter per proteggere un bambino lupo e quel suo gesto non era mai stato accettato.

Izuku ricordava benissimo ciò che aveva provato nel vedere l'esecuzione di quel suo amico. Disprezzo nei confronti degli hunters, odio per ciò che facevano e ribrezzo per l'idea che un suo compagno venisse ucciso per aver salvato un bambino.

Aveva visto l'esecutore, nonché il capitano, avvicinarsi a Sero, che si trovava bendato e ignaro di ciò che stava per accadere. Il capitano aveva afferrato una pistola contenente un singolo proiettile e aveva poggiato la canna dell'arma sulla fronte imperlata di sudore del ragazzo. Aveva sentenziato il motivo della condanna e poi, senza esitazione, aveva premuto il grilletto facendo ricadere indietro il corpo senza vita del giovane hunter definito traditore.

Natural enemiesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora