Ethan
Entro in cucina e vedo due buste della spesa a terra e il contenuto rovesciato per tutta la stanza, ma al centro di questa ci trovo mia madre distesa e priva di sensi, la sua pelle è pallida.
Mi butto letteralmente su di lei «Mamma! Ei mamma svegliati!» le do dei leggeri colpetti sul viso ma non si muove di un centimetro.
Divento pallido, sudo freddo e non so grazie a quale forza prendo il cellulare e chiamo il 911 riuscendo a parlare anche se la mia mente al momento è offuscata.
Non riesco a pensare in modo lucido, vedo solo mia madre distesa a terra e non so cosa fare.
«Signore, mi sente? Presto saremo lì, intanto per favore non toccate vostra madre, potrebbe essere troppo pericoloso!» dice l'uomo che ha risposto al cellulare e sotto la sua voce sento le sirene dell'ambulanza.
«Si va bene» dico per poi attaccare.
Porto lo sguardo su mia madre e mi fa davvero paura, sembra morta. Senza rendermene conto ho le lacrime agli occhi, non posso perderla ora, no cazzo! Non le ho detto addio, non l'ho abbracciata, non sento la sua voce da tutto il giorno porca puttana e potrei non risentirla più!
Sento l'ambulanza nelle vicinanze e subito mi alzo in piedi e mi asciugo le lacrime, vado ad aprire la porta e pochi secondi dopo sono davanti casa.
Prendono una barella dal retro e velocemente entrano in casa, poi delicatamente la prendono e la poggiano subito sulla barella.
Tutta la scena accade così velocemente da non rendermene nemmeno conto.
«Lei è il figlio?» mi chiede uno dei tre infermieri mentre gli altri due portano mia madre sull'ambulanza.
«Si, sono quello che ha chiamato» rispondo meccanicamente.
«Bene, deve venire con noi» dice lui e non me lo faccio ripetere due volte.
Salgo in ambulanza e mi metto vicino a mia madre e noto che le hanno messo una flebo.
«Ce la farà?» chiedo all'infermiere che sta scrivendo qualcosa su un blocco di carta.
Alza lo sguardo su di me e mi guarda da sotto le sopracciglia scure e doppie. È un uomo abbastanza giovane e ha un accenno di barba, mi ispira fiducia.
«Sarò sincero, il suo caso è complicato e il battito è debole ma non possiamo fare molto ora. Dobbiamo portarla in ospedale e se serve dovrà andare in sala operatoria»
Mia madre in sala operatoria, non ci credo, sto per sentirmi male.
Vorrei tanto chiamare Ashley e chiederle di venire qui e starmi vicino perché ho bisogno di lei ma non posso, merda.
Arriviamo in ospedale e di corsa andiamo al terzo piano, ma quando sto per seguirli dietro a una porta bianca loro mi obbligano a stare sulle poltrone ad attendere mentre portano lei chissà dove.
Mi siedo su una di quelle svogliatamente e mi prendo la testa tra le mani poggiando i gomiti sulle ginocchia.
Mia madre sta combattendo lì dentro per la vita e la morte e io me ne sto con le mani in mano: non so cosa pensare, cosa fare...
Poi mi ricordo che tra poco Matias esce da scuola, devo andarlo a prendere ma non posso mica portarlo qui? Gli prenderebbe un colpo e non riuscirei a calmarlo, però forse dovrebbe venire perché se sono le ultime ore di nostra madre lui deve esserci.
Mi avvicino a una donna dietro a un bancone, è più anziana e ha i capelli bianchi legati un uno chignon disordinato.
«Mi scusi, se esce qualche medico per la donna che è appena entrata, può dire che il figlio è andato a prendere il fratello a scuola?» le chiedo cortesemente.
«Certamente! Nessun problema» risponde sorridendomi e la ringrazio, poi vado velocemente verso l'ascensore e premo per il piano terra.
Devo dire che per essere un ospedale del Bronx, è ben strutturato. Sembra quasi uno normale.
Velocemente entro in macchina e in pochi minuti sono davanti scuola di Mat dove trovo lui già fuori ad aspettarmi.
«Ciao fratellone!» dice entrando in macchina.
«Ei piccolo, com'è andata oggi?» gli sorrido nonostante il mio dolore al cuore.
«Benissimo! Dov'è mamma? Le ho fatto un disegno!» dice emozionato e i suoi occhioni brillano sotto la luce del sole.
«A proposito di mamma, lei non si è sentita bene» inizio a dirgli e la sua espressione confusa mi fa intuire che non ha capito in che senso 'si è sentita male'
Come posso dirglielo senza farlo preoccupare.
«Ha la febbre?» dice ingenuamente e mi viene da ridere leggermente.
«No, mamma è in ospedale» dico accarezzandogli la guancia morbida.
I suoi occhi ora sono sofferenti e mi si spezza il cuore a vederlo così.
«Sta morendo?» dice sull'orlo delle lacrime.
Cazzo «No! Ma cosa dici, Mat! Mamma tornerà da noi e tornerà a farti mille domande sulla tua fidanzatina» gli do un pugnetto scherzoso sulla spalla che lo fa ridere. «Che dici, andiamo da lei?» gli dico e lui annuisce freneticamente.
Gli lascio un bacio sulla fronte e metto in moto.
Più guardo Mat e più mi rendo conto di non sentirmi pronto per accudirlo da solo, ho bisogno di mia madre. La voglio con me.
Arriviamo in ospedale e quando arrivo al nostro piano sembra tutto come prima.
«Ragazzo, non è uscito nessuno dalla stanza» mi avverte la donna e la ringrazio sospirando.
Mi siedo sulla sedia scomoda di prima e faccio mettere Matias sulle mie gambe, le sue braccia vanno a finire attorno al mio busto e mi stringe a lui. Gli accarezzo i capelli e non so per quanto tempo rimaniamo così, in silenzio.
Per non pensare ho analizzato la stanza e solo ora mi rendo conto di quanto sia triste e fredda: alla sinistra della porta d'ingresso c'è il bancone con la signora di prima e di fianco a lei c'è un lungo corridoio pieno di stanze per i ricoverati, dalla parte opposta il muro è occupato dalle poltroncine blu (dove sono io) attaccate letteralmente al muro bianco e alla mia destra, infondo alla stanza, c'è la misteriosa porta dove hanno portato mia madre.
Non c'è un quadro attaccato alle pareti o un misero poster, niente di niente.
Quando prendo il cellulare noto di avere un messaggio in segreteria di oggi pomeriggio, mi riprometto di ascoltarlo più tardi e porto lo sguardo sull'orario: le otto di sera.
Merda, è già tardissimo e non è successo niente!
Porto lo sguardo su Matias e noto che si è addormentato, povero piccolo.
Mi alzo delicatamente tenendolo in braccio in modo da non farlo svegliare, vado verso la donna che per tutto il tempo batteva lettere sulla tastiera del computer.
«Mi scusi, ma sa dirmi cosa c'è in quella stanza?» le chiedo cortesemente.
Lei porta il suo sguardo stanco su di me ma nonostante ciò mi sorride dolcemente «quella è la stanza dove portano i casi delicati, se ci mettono molto vuol dire che la situazione è particolare. Deve sapere che quando portano un paziente in quella stanza è perché devono lavorare duro per salvargli la vita» dice
Le sue parole mi fanno gelare il sangue nelle vene, a mia madre rimaneva ancora un mese, non posso credere che la sua ora sia già arrivata.
«Le consiglierei di tornare a casa, sono quasi sicura che la situazione andrà avanti per le lunghe» dice lei dispiaciuta.
In effetti Matias e io dobbiamo cenare, anche se io mangerò ben poco, ma poi credo che dovrò lasciare lui dalla nonna anche questa sera.
«Va bene, più tardi torno. Trovo sempre lei qui?»
«Si, ma forse farà meglio a tornare domattina, non crede?» mi chiede guardandomi negli occhi e vedo che le faccio un po' pena.
«No, passerò la notte qui. Comunque non riuscirei a dormire» rispondo
Lei comprensiva annuisce «Allora ci vediamo dopo, caro» dice e io la saluto per poi avviarmi al piano terra e poi in macchina.
Quando arrivo davanti casa, scuoto Mat per svegliarlo. «Ei piccolo, siamo a casa. hai fame?» gli chiedo e lui assonnato annuisce.
«Dov'è mamma?» chiede aprendo gli occhi e portandoli su di me.
«Lei è ancora lì, più tardi torno io da mamma però tu stanotte stai da nonna ok?» gli dico.
«Ma perché!» urla contrario.
Ecco che caccia quel caratterino insopportabile...
«Non voglio obiezioni Matias, stanotte stai da nonna» dico guardandolo serio e lui controvoglia annuisce.
Entriamo in casa e in cucina trovo ancora la spesa per terra. Raccolgo tutto e metto la roba nei vari scaffali, poi velocemente preparo un panino con mortadella e formaggio per Mat mentre io prendo solo una mela. Ho lo stomaco chiuso.
Nel frattempo chiamo la nonna per dirle tutto e le è preso un colpo alla notizia, ma ho dovuto obbligarla quasi a non andare in ospedale perché deve tenere Matias, però le ho promesso che la avviserò di tutto.
So che le ho chiesto tanto, insomma sua figlia rischia di morire, però ho bisogno di rimanere solo lì e inoltre non voglio che Matias e la nonna passino una notte in ospedale. È mia madre e voglio occuparmene io.
Forse il mio ragionamento non fa una piega ma stare tutti e tre in ospedale potrebbe solamente farci stressare di più.
«Dai Mat, fai veloce, prendi quello che ti serve e andiamo» dico pulendo il suo piatto e il bicchiere nel lavello.
«Non so cosa devo prendere di solito lo faceva mamma» dice.
Ecco che mi si stringe il cuore, questo è un assaggio di quello che sarà se mamma non dovesse farcela.
«Ok allora ti aiuto io» dico a voce bassa e lo accompagno in camera sua.
Prendo un borsone e metto dentro della biancheria intima pulita, il pigiama blu scuro, lo spazzolino dello stesso colore e il suo pupazzo senza il quale non riesce a stare senza la notte.
Non ho mai capito perché è così legato a quel pupazzo: è un koala grigio chiaro con il musetto e la coda bianca, gli occhi e il naso sono tre puntini neri fatti con del semplice filo. So che lo ha avuto da nostra madre quando ha compiuto quattro anni e da allora non se ne è più separato.
«Ok allora andiamo» dico.
Spengo tutte le luci e usciamo di casa chiudendo la porta a chiave. Entriamo in auto e do la borsa a Matias per poi mettere in moto.
«Sali anche tu da nonna? Dice che è da tanto che non ti vede» dice Mat a bassa voce, probabilmente non vuole farmi arrabbiare perché ha notato che sono già nervoso di mio.
Non voglio che abbia paura di me, sa benissimo che tengo a lui più di me stesso.
«Magari salgo a salutarla due minuti, ma poi devo andare da mamma, ok?» gli sorrido e lui ricambia annuendo.
Chissà ora Ashley cosa starà facendo... so che Jack voleva vederla, mi ha fatto non so quante domande su come arrivare alla Juilliard. Non poteva semplicemente cercare su internet? Comunque spero che abbia passato una giornata migliore della mia e che ora sia già a casa.
Basta devo smetterla.
In pochi minuti io e Mat siamo fuori la porta ad aspettare che la nonna ci apra e quando lo fa saluta Matias abbracciandolo forte. «Amore della nonna!» dice dandogli un bacio sulla guancia.
Poi porta lo sguardo su di me «Ethan, tesoro mio, quanto tempo!» mi abbraccia forte e io impacciato ricambio.
«Dai nonna, non è passato così tanto tempo» dico quando scioglie l'abbraccio.
«A me sembra un'eternità! Forza entrate, vi preparo una tazza di tè caldo» velocemente si incammina verso la cucina mentre io mi chiudo la porta alle spalle.
«Non serve nonna, grazie. Devo andare da mamma e comunque non riuscirei a mettere niente nello stomaco» mi siedo frustrato sul divano del salotto di casa sua.
L'arredamento è il solito che hanno tutte le nonne, ti fa sentire a casa anche se non ci vivi: appena si entra ci si trova nel salotto e nella sala pranzo che sono praticamente nella stessa stanza, mentre dietro una porta a destra dell'ingresso c'è la cucina.
Sempre guardando dall'ingresso, a sinistra la parete è occupata da un divano marrone scuro a tre posti e alla sua sinistra si trova un tavolino del medesimo colore con sopra un vaso di fiori. Di fronte al divano c'è il tavolo da pranzo rotondo in legno scuro e il muro a sinistra è occupato per metà da un'enorme parete attrezzata, sempre in legno scuro, e con due porticine al centro in vetro dove ci sono bicchieri in cristallo che nonna usa per eventi importanti; l'altra metà del muro è per la porta che conduce alla camera da letto dove ormai nonna dorme da sola già da alcuni anni. Infine, sulla parete di fronte al divano, dietro al tavolo da pranzo, c'è un televisore da trentacinque pollici.
Nonostante la troppa presenza di marrone, è una casa bella e accogliente.
«A proposito caro, come sta la mamma?» dice lei preoccupata sedendosi accanto a me.
«Non ho capito molto, i medici dicono che è grave, aveva il battito debole, e la tengono non so dove da tutto il pomeriggio. Sto impazzendo nonna, non so cosa fare» butto la testa indietro chiudendo gli occhi e sbuffando.
Per fortuna Mat è andato a lavarsi, non voglio che senta come sta la mamma perché se dovessero salvarla lo avrei fatto stare in ansia inutilmente.
«L'unica cosa che puoi fare ora è starle vicino e sperare, tesoro» mi poggia una mano sulla guancia e l'accarezza. Mi era mancato un po' quel calore che solo una nonna può darti.
«A proposito, mi dispiace di averti chiesto di non venire ma sai non voglio che Mat-» lei ferma subito le mie scuse.
«Lo so, Ethan, tranquillo. Hai ragione, è meglio se rimango a casa con lui. Anche se non starò in ospedale le sarò comunque vicino e questo Il Signore lo sa» dice sorridendomi e mi sento obbligato a ricambiare.
Non sono un credente e lei lo sa bene, da ragazzino ha provato a farmi cambiare idea ma dopo che mio padre ci ha lasciati non avevo davvero più motivo per crederci.
Perché un Dio lascia che certe cose accadano? Io non mi sono mai sentito protetto dalla sua ala, se così posso dire. Probabilmente, se esiste, deve aver dimenticato della mia esistenza, non è possibile che tutte le disgrazie capitino solo a me!
«Allora vado, ok? Ho bisogno di stare lì, se esce qualcuno dalla stanza dov'è ora voglio saperlo e voglio che mi dicano come sta»mi alzo dal comodo divano consapevole di dover tornare su quelle sedie dure e fredde.
«Vai, non ti fermo. Ti prego tienimi aggiornata!» mi abbraccia calorosamente e io ricambio rispondendo: «Certo nonna».
Saluto anche a passare Mat che aveva appena finito la doccia e si stava mettendo il pigiama, poi con l'ansia addosso entro in auto e corro verso l'ospedale dove passo tutta la notte sveglio senza avere notizie di lei.
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E poi sei arrivato tu...
RomantikAshley Parisi è una ragazza italiana, simpatica e vivace che è appena uscita da una relazione di ben cinque anni e non riesce ad andare avanti. Ethan Scott è il solito ragazzo bello e dannato, una testa calda con un passato che lo tormenta e con un...