18 - Quiete

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Dopo quella notte, magica come poche lo erano state nella loro vita, Steve e Tony tornarono a casa. Il viaggio di ritorno fu breve, anche se a Peter sembrò durare un'infinità. Tornati a New York, Tony non ci mise molto a prendere la decisione di abbandonare il suo attico alla Stark Tower, e a ricominciare, con la sua nuova famiglia, in un posto tutto loro, che finalmente potevano chiamare casa. Dopo qualche mese arrivò la primavera, e desiderosi di poter ricominciare da capo, Tony e la sua nuova famiglia, si trasferirono in una casa immersa nella natura, in riva ad un lago che, in qualche maniera, gli ricordava la vista dell'oceano dalla sua villa a Malibù. Peter e Tony si abituarono presto a quella tranquillità, dimenticando come fosse vivere con il costante frastuono di passi e voci che rimbombavano per tutta la torre. Ma sopratutto, per la prima volta da quando aveva memoria, il meccanico non sentiva più nessun rumore invadere la sua testa, imbevendosi della tranquillità di quel posto, e del cinguettio degli uccelli che veniva trasportato dal vento. Steve, invece, si sentiva in pace. Finalmente, aveva un posto da chiamare di nuovo casa, e poteva imbeversi della calma di quel posto, osservando l'acqua risplendere sotto la luce del sole, e le fronde degli alberi appena scossi dal tiepido vento primaverile. Li, in quella pace che sembrava quasi surreale, sentì come se il suo cuore, in quel momento, fosse al posto giusto per la prima volta dopo molto tempo. La vita gli aveva portato via tante, troppe cose, prendendolo a calci nei denti in diverse occasioni. Il destino lo aveva messo a dura prova, e proprio quando stava per arrendersi, la fortuna ci mise il suo zampino, mettendolo sulla strada che lo avrebbe riportato da Tony. E adesso non era più costretto a vagare di città in città come un cane randagio, ora aveva una casa, un figlio, e suo marito al suo fianco. Si, quell'anno, poco dopo il loro trasferimento nella loro nuova casa, Steve e Tony convolarono a nozze, e quello, fu il giorno più felice della loro vita. Alla cerimonia c'erano tutti, perfino Bucky e il vecchio che aveva curato le mani di Steve. All'inizio, il capitano non fu convinto di invitare l'amico nel giorno più importante della sua vita, ma per quanto possa essere sorprendente, fu proprio Tony ad insistere.
«Se non fosse stato per lui, non saremmo arrivati fino a questo punto» continuava ad insistere il meccanico, ma Steve non ne era comunque convinto.
Tony voleva rivedere il soldato d'inverno, aveva molte cose da dirgli, parole che si ripeteva in testa quotidianamente per non dimenticarle. Ma tutto cambiò quando quel giorno, lo vide. Non era come se lo ricordava, il viscido assassino dei suoi genitori, il bastardo che gli aveva portato via Steve. Per quanto freddo potesse ancora risultare a prima vista, Bucky era... diverso. Si, in qualche maniera, gli sembrò come se stesse guardando un cucciolo smarrito, mentre osservava il soldato chiaramente a disagio, continuare a guardarsi intorno, nel tentativo di cercare qualcuno, o un modo per evadere da quel luogo. Ma improvvisamente, i suoi occhi si fermarono su quell'unica persona che non aveva il coraggio di affrontare. Tony era li, in mezzo alla sala gremita di gente che correva da tutte le parti, un bicchiere di champagne mezzo vuoto in mano. La cerimonia sarebbe iniziata di li a poco, i preparativi erano ormai quasi giunti al termine, ma Tony era immobile, mentre con gli occhi lo fissava incuriosito. Si voltò un secondo per appoggiare il bicchiere sul tavolino appena dietro di sé, si sistemò la giacca dello smoking, si voltò e si diresse verso il soldato. Bucky era impietrito dalla paura, e anche se la sua faccia dimostrava pura impassibilità, sentì come se le sue gambe si fossero bloccate. Sapeva che cosa aveva fatto a Stark, sapeva di avergli ucciso i genitori e di avergli portato via il capitano, ma sapeva anche che, qualunque cosa gli avrebbe fatto, se la meritava e l'avrebbe accettata, costi quel che costi.
Con passo furioso e deciso, Tony si diresse verso il soldato, ormai era a poco più di trenta centimetri da lui. Lo guardava con occhi carichi di disprezzo. Lo odiava come poche persone al mondo, e dentro di lui sentiva l'irrefrenabile impulso di prenderlo a cazzotti fino a fargli sputare tutti i denti. Il meccanico strinse forte la mano a pugno mentre guardava il suo volto, ma Bucky teneva la testa bassa, non aveva il coraggio di incrociare il suo sguardo. Dall'altra parte della stanza, Steve, che era appena entrato, guardava quella scena. Era pronto a scattare e ad intervenire al minimo segnale di una guerriglia tra i due, ma qualcuno lo stoppò prendendolo per l'avambraccio. Steve si voltò, era Natasha che, curiosa quanto lui, era rimasta in disparte ad guardare.
«Aspetta - disse la donna - non intervenire, non ancora».
Steve la guardò negli occhi, e gli sembrò come se lei vedesse qualcosa che lui, ancora, non riusciva a vedere. Ma Natasha non sapeva niente, aveva solo fiducia. Si, fiducia che Tony sarebbe andato oltre a ciò che era successo, e in qualche modo a loro sconosciuto, avrebbe perdonato e accettato Bucky nella sua vita.
Tony guardava il soldato con disprezzo «Guardami» disse rabbioso.
Il soldato non alzò la testa, non ancora.
«James Buchanan Barnes, sii uomo e guardami» sibilò, allora, furioso il meccanico.
Bucky obbedì, alzando lentamente la testa e guardandolo negli occhi. E le vide, quelle fiamme di cui Steve gli aveva sempre tanto parlato, cariche si passione, di sentimento. Ma quelle fiamme, ora, bruciavano di pura rabbia, odio, disprezzo. Ma questo era ciò che Bucky credette di vedere. Si, perché la realtà era ben diversa. Quando il soldato alzò gli occhi, e le sue iridi azzurre incontrarono  quelle nocciola del meccanico, una strana sensazione si instaurò nel cuore di Tony. Improvvisamente, tutta la rabbia che aveva in corpo svanì, e tutte quelle parole che fino ad adesso si era ripetuto nella mente, si dissiparono in un dolce nulla. Gli occhi del soldato erano diversi, e gli sembrò come se li stesse guardando per la prima volta. Era uno sguardo che non gli aveva mai visto, almeno, non nella realtà. Si, perché quegli occhi appartenevano al vecchio Bucky, quello che Tony aveva avuto il piacere di conoscere molti anni fa, in quella visione onirica di ciò che pensava fosse il paradiso.
«Tony io...» provò a dire Bucky.
«Non dire niente - lo zittì il meccanico - Steve mi ha detto tutto. E per quanto mi costi dire quello che sto per dire... Non hai nulla di cui scusarti, non questa volta».
Bucky lo guardò sconcertato. Come poteva, Tony Stark, averlo perdonato per ciò che gli aveva fatto.
«Ma io... Ho ucciso i tuoi genitori... E ti ho portato via Steve...» disse confuso e con voce bassa il soldato, mentre con gli occhi guardava il bavero della giacca dello smoking del meccanico.
Tony sospirò, voltò la testa di lato e, nel farlo, intravide Steve e Natasha che li osservavano da in lontano.
«No - disse voltandosi verso il soldato - Non hai ucciso tu i miei genitori, è stata l'HYDRA, ed è stata una scelta di Steve andare via con te, quindi... non hai niente da farti perdonare. Nessun rancore soldato» disse porgendogli la mano.
Bucky guardò quella mano da prima incredulo di quel gesto, era difficile per lui concepire quel gesto, come aveva fatto a perdonarlo così facilmente? Ma la afferrò e la strinse, guardando il meccanico in quegli occhi color nocciola e sorridendo. Tony accennò appena un sorriso, era sorpreso tanto quanto Bucky del gesto che aveva appena compiuto, ma ne era fiero. Certo, sarebbe dovuto passare del tempo prima che riuscisse a guardare il soldato d'inverso negli occhi e non provare quella appena percettibile sensazione di volerlo prendere a pugni, ma questo era un passo avanti, e un problema del Tony del futuro. I nervi di Steve si rilassarono, mentre Natasha tirò un sospiro di sollievo «Visto? - disse la donna sorridendo -Ti devi fidare di Tony».
La cerimonia fu incantevole. L'intero parco fu gremito di gente, anche se, in quel piccolo frangente, un briciolo di malinconia travolse il cuore del meccanico. Aveva sempre sperato che il giorno delle sue nozze, Jarvis potesse essere presente, e guardarlo con quello sguardo fiero che solo lui era in grado di fare. Ma quello era un desiderio che non si sarebbe potuto avverare. E mentre Tony era intento a pronunciare i suoi voti nuziali, accadde qualcosa che ancora adesso non si riusciva a spiegare. Per un breve, fugace secondo, gli occhi di Tony vennero catturati da una figura che non apparteneva a quel pubblico. Li, seduto in una sedia lontana, Tony vide Jarvis, il maggiordomo, o per lo meno, credette di vederlo. Ma era li, Jarvis era li. Forse aveva sentito le sue preghiere, o forse aveva seguito l'eco del suo cuore, ma in qualche modo, lo spirito dell'uomo era presente. E il cuore di Tony, nel vedere quella eterea figura, fu ricolmo di gioia, ma per quanto il suo cervello combatteva contro la convinzione che quella altro non era che un miraggio, il suo cuore lo implorava di credere a quella illusione, perché ne aveva bisogno. Si, ne aveva bisogno, più di quanto non potesse immaginare. Sapere che la persona che più contava nella sua vita, che gli aveva sempre dato così tanto senza mai chiedere nulla in cambio, che lo aveva sostenuto in ogni su decisione e lo aveva guidato, passo dopo passo, nella vita, portandolo ad essere l'uomo che era ora, era li e lo stava guardando nel giorno più bello ed importante della sua vita, gli donava un senso di pace che non sapeva descrivere. E alla fine, pronunciarono quelle magiche parole, che li legavano l'uno all'altro, in quella che sarebbe stata la loro vita, fin che morte non li separi.

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