L'indomani, Tony guidò fino a casa, mentre Steve, avvolto nella sua giacca, dormiva beato sul sedile posteriore. Il sole aveva appena cominciato ad albeggiare, e i suoi raggi illuminavano perfettamente i capelli biondi del capitano, rendendoli più luminosi che mai. Avevano deciso di passare la notte li, dentro quell'auto parcheggiata a lato di una strada deserta, a guardare la luna riflettersi sull'acqua, persi nei loro sguardi che valevano più di mille parole. E nelle loro menti ringraziarono ancora la loro buona stella per quella seconda opportunità che gli aveva concesso, e pensarono che mai potesse esistere un momento più perfetto di quello. Quella notte, poi, Steve riuscì finalmente a dormire, stretto tra le braccia del suo amato, al riparo e al caldo dal suo stesso passato che costantemente lo perseguitava in sogno. Tony, per quanto poco, provò a dormire, ma l'idea di riavere Steve nella sua vita, e il timore che al suo risveglio, tutto questo potesse rivelarsi solo un sogno, non gli fece chiudere occhio. Li, sui sedili posteriori di quella macchina, guardava con occhi dolci e pieni di amore il delicato viso del capitano mentre dormiva, e accarezzava i suoi capelli baciati dalla luce della luna. E improvvisamente, il suo sguardo venne catturato da una stella cadente che falciò il nero orizzonte, e le giurò che mai avrebbe abbandonato di nuovo il capitano. Mai avrebbe fatto di nuovo del male a Steve. Si, avrebbe preferito morire piuttosto che ferirlo ancora. E rivolgendo ancora il suo sguardo al capitano, si chiese se anche lui avesse provato il suo stesso dolore. Se anche lui avesse passato le notti insonni a piangere, e avesse pregato il suo buon dio di strappargli la vita dal corpo, recidendo finalmente, quell'insopportabile dolore. Ma ora, quelle domande non avevano più posto nel cuore di Tony, e se mai avesse voluto rivolgergliele, di sicuro questo non era il momento. Aveva ancora molte, troppe cose da spiegare a Steve, e nella sua mente cominciarono a frullare migliaia di giustificazioni che rasentavano il ridicolo. Ma sapeva che il capitano meritava di conoscere la verità, e gliela avrebbe detta a qualunque costo, anche se ai suoi occhi sarebbe risultato un pazzo. E giurò a se stesso che per lui avrebbe messo da parte tutto ciò che gli aveva detto suo padre, fregandosene dell'immagine pubblica, dei suoi soci in affari, o di ciò che il mondo avrebbe pensato di Iron Man una volta scoperta la verità. E così fece. Arrivati a casa, Tony svegliò dolcemente il capitano, che con gli occhi ancora impastati dal sonno, si guardava attorno confuso.
«Dove siamo?» disse il capitano alzandosi leggermente indolenzito.
«A casa» rispose Tony guardandolo e sorridendogli.
"Casa..." Pensò il capitano, mentre scendeva da quella macchina "È da parecchio tempo che non sento questa parola". In effetti, da quando era partito per la guerra, il capitano non aveva più voluto mettere piede nella sua vecchia casa, complici, esattamente come per Tony, i fantasmi del suo passato. Si, entrare in quel posto gli faceva male, il ricordo dei suoi genitori lo tormentava costantemente, e i loro fantasmi tornavano a farsi presenti in ogni suo gesto. E dopo l'avventura con Tony, quella era diventata inabitabile, e insieme al dolore provato da quell'abbandono, aveva deciso di chiudere per sempre la porta, e gettare la chiave in un vecchio fossato lontano, durante la sua missione in Italia. Ma adesso che Tony era ritornato nella sua vita, forse aveva di nuovo un posto da chiamare casa, ma era veramente così? Alla fine, il capitano era un uomo fuori dal tempo, in un mondo nuovo a lui sconosciuto, ma allo stesso tempo familiare. Steve prese la giacca da sopra di lui e la guardò, era una giacca in pelle nera, ad occhio molto costosa, e di sicuro non era sua. Scese, e appena fuori la macchina, si guardò intorno. Quella che Tony chiamava "casa" altro non era che un'immensa villa dalla forma peculiare.
«Capitano? - lo chiamò Tony svegliandolo dalla sua trance - tutto okay?».
«Si...» rispose Steve, ma non era veramente tutto ok, e questo Tony lo aveva capito.
Tony si avvicinò a lui «Steve, qualunque cosa stia succedendo, io sono con te. Lo sai vero?».
Steve lo guardò negli occhi e sorrise «Lo so Tony».
«Forza, entriamo» disse in fine Tony facendogli strada.Appena dentro la porta, la villa di Tony risultò immensa. Ad accoglierli vi era una stanza enorme, circondata da una immensa vetrata da cui si poteva vedere l'oceano. Davanti a questa, un gigantesco divano bianco e un tavolino rotondo. A lato, un enorme scalinata con una cascata artificiale portava al piano superiore o a quello inferiore.
Tony guardava Steve che, imbambolato, fissava tutto intorno a se.
«Ti piace?» gli chiese.
«È... Molto grande» rispose Steve.
«Si - rispose Tony battendogli la mano sulla schiena - lo è. Vieni, ti mostro il resto».
Tony si avviò verso la scala, ma la sua strada venne bloccata da Pepper che, furiosa, aveva aspettato in piedi tutta la notte il suo arrivo.
«Dove diavolo era finito?!» urlò lei.
«Si calmi signorina Potts, non è la prima volta che sparisco per tutta la notte» rispose Tony con pacatezza, mentre si avviava verso il piano superiore, seguito dal capitano.
«Almeno avrebbe potuto avvisare!».
Tony si voltò, scese i due scalini che aveva fatto, appoggiò le mani sulle spalle di Pepper, e guardandola negli occhi, le disse «Signorina Potts, lei è stanca. Perché non si prende una giornata di riposo mh? Vada a casa, si faccia una bella doccia calda, si rilassi un po', magari guardi un bel film! Che ne pensa?».
«Si - rispose lei sospirando - credo che sia una buona idea. Sarà in grado di gestire tutto da solo?».
«Non si preoccupi, ora vada» rispose lui accompagnandola alla porta.
La aprì, guardò Pepper salire sulla macchina e partire. Poi richiuse la porta e voltandosi verso il capitano, disse «Dove eravamo rimasti?».
Tony si bloccò per un secondo nel vedere il capitano li, seduto sulle scale, a guardarlo con un mezzo sorriso. La luce del mattino che filtrava attraverso il vetro lo illuminava alla perfezione, e metteva in risalto la sua figura. La sua pelle candida era luminosa, bagnata dalle microscopiche goccioline della cascata di fianco a cui stava, mentre il sole faceva il resto. Tony si avvicinò a lui senza staccargli gli occhi di dosso. Riaverlo nella sua vita valeva tutto. Era valso tutti quegli anni di dolore, tutte quelle notti passate a piangere contemplando il fondo di una bottiglia ormai vuota, tutto quel vuoto che aveva sentito dentro. E vederlo lì, seduto su quelle scale ad aspettarlo, distrusse anche l'ultima briciola di incertezza che aveva nel suo cuore. Adesso Tony ne era certo, tutte le volte che si sarebbe girato, lo avrebbe ritrovato li, ad aspettarlo.
«Va tutto bene Tony?» gli chiese il capitano.
«Certo - rispose lui, uscendo da quella trance - vieni. Ti facci vedere di sopra».
Tony gli mostrò ogni stanza, concludendo il piccolo tour nella camera da letto.
«Quindi tu ti svegli tutte le mattine con questo?» chiese Steve guardando il magnifico panorama fuori dalla vetrata.
«Beh, se il mio si può definire dormire, si» brontolò Tony.
«Che vuol dire?» gli chiese il capitano voltandosi.
«Nulla, lascia stare. Storia lunga. Allora... Che ne pensi?».
«Beh, è molto grande, difficile pensare che ci abiti da solo» gli rispose il capitano guardandosi attorno.
Tony sorrise. In effetti, la vecchia casa del capitano era molto più piccola, e sicuramente pensare che li ci abitasse una sola persona, poteva essere abbastanza spiazzante per lui.
«Vieni - disse Tony - non hai ancora visto il pezzo forte».
Scesero al piano di sotto. Steve guardava incuriosito Tony che, tutto eccitato, scendeva le scale di corsa e si affrettava ad aprire la porta. Non appena questa fu aperta, ad accoglierli una serie di luci che si accesero una dietro l'altra, illuminando così quello che aveva tutta l'aria di essere un laboratorio. Si, Steve si ricordò del vecchio laboratorio di Howard alla base militare, e in questo vi trovò delle similitudini, anche se, a suo dire, quello di Tony era molto più tecnologico. Si guardò intorno, quel luogo era immenso, difficile credere che lo usasse una persona sola. Poi, infondo alla parete, delle strane armature rosse.
«Che cosa sono quelle, Tony» gliene Steve avvicinandosi.
«Le armature di Iron Man» gli rispose Tony.
«È chi è Iron Man?» chiese Steve con una leggera risata.
Tony gli sorrise, ma non gli rispose. No, perché lo sguardo del capitano venne catturato dal suo scudo, appeso come un trofeo di caccia su una parete poco illuminata.
«Quello è...» disse, ma si bloccò.
«Si Steve, è il tuo scudo. - disse Tony mentre saliva su una sedia per tirarlo giù - È l'unica cosa che mi è rimasta di te dopo che...» Si bloccò nel porgerlo al capitano.
«Dopo che cosa?» chiese lui prendendolo in mano.
Tony sospirò mentre guardava triste quello scudo stretto tra le sue mani. Tirò su con il naso «Anche questa, è una storia lunga» gli rispose nostalgico.
Steve si guardava intorno incapace di comprendere, mentre la voce di Tony diventava solo un brusio di sottofondo.
«...eve... - sentì appena il capitano - Steve».
Si voltò, Tony gli prese le mani e lo guardò negli occhi.
«Sei sicuro di stare bene?».
«Si, io... - il capitano si fece cupo in volto - Tony, mi devi spiegare che cosa sta succedendo».
Tony sospirò abbassando la testa, poi la rialzò e gli sorrise.
«Jarvis, mostra al capitano che cosa hai trovato».
Steve appoggiò lo scudo su un tavolo lì vicino e improvvisamente, davanti ai suoi occhi si accese il monitor del computer, rivelando migliaia di informazioni racchiuse in cartelle, ma uno in particolare attirò la sua attenzione. Sotto quella piccola figura vi era scritta una didascalia "Ritrovamento capitano Steve Rogers, nome in codice: Captain America". Tony la aprì, e davanti agli occhi del capitano comparve quello che aveva tutta l'aria di essere un fascicolo top secret. Steve notò che sui fogli digitali vi era un simbolo strano a forma di aquila, ma sopratutto, la sua attenzione venne attirata da una foto. Questa lo ritraeva steso inerme e ricoperto di ghiaccio. Lesse attentamente ciò che vi era scritto a lato, e non poté crederci. Quell'uomo con la benda sull'occhio non aveva mentito, aveva veramente dormito per settant'anni. Ma ancora, questo non fece che procurare più dubbi ed insicurezze nel cuore del capitano che, confuso, si girò verso Tony in cerca di risposte. Tony ormai aveva capito, questo non sarebbe bastato a dissipare tutte le sue incertezze.
«Mi dispiace Steve. Sto cercando di trovare le parole giuste per farti capire cosa sta succedendo, ma non le trovo».
«Ho dormito, questo l'ho capito. Ma una cosa mi sfugge...».
Tony lo guardò incuriosito, poi il capitano riprese «Se ho dormito per settant'anni, tu come...».
Tony sospirò «Vieni, ti devo mostrare una cosa» gli disse in fine.
Finalmente gli divenne chiaro ciò che doveva fare. Abbandonarono quel luogo e si diressero di nuovo in macchina. Una volta saliti, Tony avviò il motore e partirono. Il capitano guardava il panorama circostante, completamente diverso da ciò a cui era abituato. Degli enormi palazzi in mattoni, o dei fumi delle fabbriche che impestavano l'aria rendendola irrespirabile non vi era più traccia. Tutto intorno a lui era diverso, bello e piacevole. Presto, si ritrovarono davanti ai vecchi cancelli arrugginiti e ricoperti di piante di una villa spettrale e disabitata. Tony scese dalla macchina, aprì i cancelli per poi rimontare e fermarsi. Fissava con occhi inquieti ciò che aveva davanti a sé. Si, erano anni che non tornava in quel posto, e rivedere quella casa che ora aveva assunto lo stesso aspetto con cui l'aveva sempre vista, lo paralizzava. E improvvisamente, il ricordo dei traumi e degli abusi subiti riaffiorarono nella mente del meccanico, mentre i fantasmi di sua madre e di Howard ritornarono ad infestare il suo cuore. Tony strinse forte le mani sul volante, deglutì e nel farlo, contrasse i muscoli della mandibola. L'inquietudine aveva preso il sopravvento del suo cuore e della sua mente, mentre i sentimenti di quel maledetto giorno in cui ricevette quella telefonata, riaffiorarono. Il capitano lo guardava incuriosito, non riusciva a capire cosa stesse succedendo dentro la testa di Tony, ma qualunque cosa fosse, lo faceva soffrire. Si accorse che i suoi occhi erano lucidi, mentre il fuoco che li caratterizzava si andava man mano spegnendo. Lentamente, Tony premette l'acceleratore, e arrivarono davanti alla porta d'ingresso. Li, scesero dalla macchina, Tony si mise le mani in tasca e osservò la facciata della villa. Qui i suoi ricordi cominciarono a riaffiorare, e improvvisamente gli tornò alla mente Howard che, con gli occhi carichi di delusione, lo guardava come se si vergognasse di lui. Ma adesso sapeva il motivo dietro quello sguardo, e di certo, questo, non cambiava le cose. Detestava suo padre, lo odiava con tutto se stesso, e il male che gli aveva fatto negli anni era qualcosa di imperdonabile.
«Che cos'è questo posto?» chiese il capitano.
«Vieni» Tony tirò su nervoso con il naso, tirò fuori un mazzo di chiavi dalla tasca e aprì il portone.
La casa era buia, impolverata e ricoperta di ragnatele. I pochi mobili rimasti e i quadri erano coperti da un telo bianco, mentre la luce filtrava flebile attraverso le pesanti tende, donando al tutto un aspetto ancora più spettrale. Il cigolio della porta riecheggiò nella stanza, mentre il suono dei loro passi risuonò fin sopra le scale. Il capitano entrò con cautela, guardando il meraviglioso soffitto decorato e lo splendido lampadario di cristallo, mentre Tony vi entrò a testa bassa, come era solito fare. Per un breve istante fu come se potesse percepire la presenza di Howard aleggiare nella stanza, e giurò che poteva sentire i suoi passi scendere quelle maledette scale. Il capitano era impegnato ad esplorare i locali di quella vecchia villa, mentre Tony, perso nel viale dei ricordi, guardava quei vecchi muri ammuffiti. Si, la sua mente era pervasa dai ricordi delle numerose litigate con suo padre, ma anche di quei dolci momenti passati in compagnia di Jarvis e sua madre. E senza rendersene conto, salì le scale e si ritrovò al piano superiore. Questo era ancora più spettrale di quanto non rammentasse, e il ricordo di Howard che lo trascinava per il polso e lo rinchiudeva in camera sua, non facevano altro che rendere il tutto ancora più spaventoso. Sovrappensiero, guardava ogni singolo angolo di quel corridoio, e improvvisamente si ritrovò davanti alla porta dello studio. Tony si immobilizzò, fissava con occhi sgranati e impauriti la maniglia della porta. Avrebbe voluto aprire quella stanza, avrebbe voluto rivedere, un'ultima volta, quel luogo così angusto, di cui il solo pensiero gli faceva accapponare la pelle, ma non poteva. No, perché anni prima l'aveva fatta chiudere per sempre, e aveva affidato a Jarvis il compito di custodire la chiave. Senza nemmeno farci caso, prese con una mano la maniglia. Non seppe nemmeno lui il perché di tale gesto, ma questa, contro ogni previsione, scattò. Tony alzò di scatto la testa e guardò la porta sorpreso. Si chiedeva perché fosse aperta, forse qualcuno era entrato in casa? No, non aveva senso. Le altre porte erano chiuse, e i vetri delle finestre erano intatti, come faceva quella singola stanza ad essere aperta? Lentamente aprì la porta, Tony poteva sentire i passi del capitano al piano di sotto, ma questo non gli importava. Deglutì rumorosamente, entrare in quella stanza voleva dire affrontare ancora una volta il suo passato, e forse, ancora, non era pronto. L'anima di quel giovane ragazzo viveva ancora in lui, e i segni di quei torti subiti erano ancora visibili sulla sua pelle. La sua mente e il suo cuore combattevano contro il suo istinto, cercando in tutti i modi di non farlo entrare in quella stanza, ma Tony, comunque, vi entrò. La porta si aprì lentamente, rivelando ai suoi occhi ciò che non si sarebbe mai aspettato. Lo studio era rimasto immutato, esattamente come se lo ricordava. Jarvis aveva ricomprato tutti i mobili che quella maledetta notte Tony aveva distrutto, e aveva fatto si che venissero tutti ricoperti da un telo bianco. Il camino era lindo, e Tony avrebbe giurato di poter sentire ancora lo scoppiettio della legna che bruciava. Tirò via con forza il telo che stava sopra il divano e, osservandolo, lo accarezzò. Si, la mente di Tony venne sfregiata da quel singolo ricordo che ancora lo tormentava. E più pensava a quella sera in cui litigò ferocemente con suo padre, e a quella moltitudine di parole che avrebbe voluto dire, ma che comunque aveva taciuto, più la rabbia in lui aumentava. Avrebbe voluto distruggere di nuovo tutto dentro quello studio, si, lo avrebbe fatto, ma pensò che comunque non sarebbe stato giusto. Non tanto per cercare in qualche modo di preservare la testimonianza di ciò che era Howard, o il suo misero ricordo, no, non lo voleva fare per Jarvis. Aveva passato la vita in quella casa, curandola in ogni minimo dettaglio, e distruggere nuovamente tutto ciò che aveva fatto, sarebbe stato un insulto alla sua memoria, e questo Tony, non lo poteva permettere. Camminò sovrappensiero per lo studio, guardando e osservando ciò che era stato l'inferno per lui al tempo, e improvvisamente si ritrovò davanti alla scrivania. Prese il telo e lo tirò via, si, era ancora quella maledetta scrivania. Anche se non era più la stessa, il ricordo faceva comunque male, e il vederla intatta non faceva altro che accentuare quel dolore. La sfiorò con le dita, mente con gli occhi la guardava disgustato. Quante volte, da ragazzo, avrebbe voluto distruggerla, quante volte avrebbe voluto bruciare tutti quei fogli. Si, quel singolo oggetto era legato al suo più grande dolore, e il solo pensare alla sua esistenza, lo faceva ribollire di rabbia. E mentre, incantato, fissava imperterrito il legno scuro di quella scrivania, realizzò che tornare in quella casa era stato un errore. Troppi ricordi, troppo dolore trasudavano ancora da quelle mura spoglie e ricoperte di muffa. Troppe urla spaventate riecheggiavano nella sua mente, troppi pianti rivivevano nei suoi pensieri. Preso dalla rabbia, Tony tirò un pugno alla scrivania, mentre tremante, cercava in tutti i modi di contenersi. Poi, il suo sguardo venne catturato da una piccola busta, nascosta sotto ad alcuni libretti. Curioso, Tony la prese in mano e la guardò. Era una busta piccola, ingiallita e rovinata. Sopra, oltre ad alcune macchie di caffè, vi era scritto il suo nome a penna, e questo lo sorprese. La guardò attentamente e ne riconobbe la scrittura, era quella di Howard, e inevitabilmente si domandò perché vi fosse una lettera indirizzata a lui. La curiosità era troppa, ma comunque non la aprì. No, preferiva non sapere cosa contenesse, almeno non adesso. Sentì i passi del capitano risalire le scale, velocemente ripose la lettera nella tasca interna della giacca e guardò fuori dalla finestra. Da li si vedeva perfettamente il garage dove passava gran parte delle sue giornate quando ritornava per le vacanze, e il vialetto che portava all'ingresso. "Quel maledetto vialetto" pensò, mentre nella sua mente tornò il ricordo di quell'ultima volta che salutò sua madre. Se solo avesse saputo sarebbe andato con lei, e avrebbe condiviso, così, il suo destino. Ma questo era un pensiero che apparteneva al passato, ad un tempo in cui era da solo, di quando l'idea di togliersi la vita gli aveva sfiorato più volte la mente. Ora aveva il capitano, e per quanto potesse sembrare poco affidabile, Tony di certo era un uomo di parola, e avrebbe mantenuto a costo della sua vita le promesse fatte a quella stella.
«Questa casa è enorme! - disse Steve appena fuori lo studio - chissà a chi apparteneva!» concluse entrando.
Steve si bloccò all'ingresso. Come una stupenda visione, Tony era li, in piedi davanti a quell'immensa finestra. Era messo di tre quarti e, con le mani in tasca, dava le spalle alla porta. Il sole lo illuminava in maniera impeccabile, e per quanto poco, il capitano vide la sua espressione concentrata e pensierosa, forse a tratti malinconica. La luce definiva perfettamente la sua figura, magra e muscolosa, e al cuore di Steve venne un sussulto. Forse, pensò, che aver dormito per tutto quel tempo era un prezzo che valeva la pena di essere pagato per avere ciò che aveva ora. Lentamente, entrò nella stanza, Tony stava guardando qualcosa fuori nel giardino, ma Steve non seppe mai dire cosa. Poi, un asse del pavimento scricchiolò, Tony girò la testa e lo guardò, il sole illuminava il lato della sua faccia, mettendo in risalto le sue iridi. Per Steve, fu come una visione celestiale, un angelo sceso in terra, ed era tutto suo. Qualcosa si mosse dentro di lui, qualcosa di profondo, viscerale, un istinto che mai aveva aveva sentito prima d'ora.
«Capitano - disse Tony incuriosito dall'espressione che aveva assunto il suo viso - tutto bene?».
Steve abbassò la testa imbarazzato, cercava con tutto se stesso di reprimere quell'istinto primordiale che aveva dentro di lui. Se solo avesse voluto, sarebbe di nuovo saltato addosso a Tony, e si sarebbero lasciati andare li, in quella casa impolverata. Ma non voleva infangare la sacralità di tale atto, così, dopo un lungo respiro, gli disse «Si... Era solo...».
«Solo che cosa?» chiese Tony avvicinandosi a lui e appoggiandogli una mano sul braccio.
«Niente, mi chiedevo chi abitava in questa casa».
Per un secondo, il volto di Tony diventò cupo, mentre i suoi occhi fissarono un punto indefinito del pavimento. Poi, si voltò, guardò ancora fuori dalla finestra e si portò una mano sulla tasca dove aveva riposto la lettera, la strinse forte e sospirò. Steve aggrottò le sopracciglia e lo guardò incuriosito, ormai era chiaro che qualcosa tormentava l'animo di Tony.
«Io» rispose in fine il meccanico.
Il capitano lo guardò e capì. Adesso gli era chiaro perché Tony si stava comportando in quella maniera, perché, all'improvviso, era diventato così cupo e nostalgico. Quella era la sua casa d'infanzia. Quei muri, quelle sale, quei quadri lo avevano visto crescere, ma ancora, Steve non sapeva la verità. No, non sapeva che quelle stesse stanze erano complici di violenze perpetuate sul suo giovane corpo e sulla sua brillante mente, testimoni silenziose di un passato che voleva a tutti i costi dimenticare, ma che comunque continuava a farsi presente. E improvvisamente, Tony si voltò, accogliendo la visione di Steve con un sorriso amaro.
«Vieni» disse in fine Tony uscendo da quella stanza.
Percorsero il lungo corridoio, fino ad arrivare sotto ad una piccola botola, da cui pendeva una cordicella usurata. Tony prese una sedia lì vicino, vi montò sopra, prese la cordicella e la tirò. Davanti al capitano scese una vecchia scala di legno marcia e dal terribile odore di muffa.
«Dopo di te» disse Tony scendendo dalla sedia.
Il capitano fece una smorfia strana, poi, cautamente, salì la scala seguito da Tony. Appena in cima, Steve venne accolto da una soffitta enorme, polverosa, piena di scatoloni malriposti e quadri impolverati. Tony, appena dietro di lui, la guardò. Se non fosse stata per la polvere, questa era esattamente come se la ricordava. Ogni cosa era rimasta immutata negli anni, tutti gli scatoloni erano rimasti al loro posto. Tutti, eccetto uno. La scatola dove Tony aveva trovato il vecchio taccuino di Hank era stata spostata e lasciata aperta.
«Che cos'è?» chiese Steve guardandosi attorno.
Nostalgico, Tony si avvicinò a quella scatola, si chinò e prese tra le mani un vecchio quaderno «Il luogo dove tutto ha avuto inizio» disse.
Lo aprì e lo sfogliò. Era un suo vecchio quaderno di scuola, probabilmente, uno degli inseparabili ricordi di Jarvis, che gelosamente teneva custodito in soffitta.
«Tony...» disse il capitano confuso.
«Ti ricordi cosa ti ho detto la prima volta che ci siamo visti?» gli chiese Tony riponendo il quaderno e girandosi verso di lui.
«Mi hai puntato una pistola contro e hai cominciato a blaterare qualcosa su tuo padre» rispose Steve mentre lo osservava prendere una vecchia sedia impolverata e sedersi.
Tony si mise a cavalcioni su quella sedia, appoggiò le braccia sullo schienale e si portò una mano sulla bocca. Pensieroso, guardò fuori dalla finestra, da lì poteva vedere perfettamente il suo garage. Sospirò rumorosamente con il naso, mentre con la bocca si mordeva la pelle delle nocche.
«Tony...» disse ancora il capitano.
«Il mio nome...»disse Tony, ma si fermò.
Sospirò ancora, raccolse in se tutto il coraggio che il suo corpo conteneva, non importa come, non importa cosa sarebbe successo, Steve doveva sapere la verità.
«Il mio nome è Anthony Edward Stark, mio padre... Era Howard Stark».
Improvvisamente, il capitano sgranò gli occhi e sentì il pavimento mancare sotto i suoi piedi. Il suo cervello stava andando in tilt, come era possibile che Howard fosse suo padre? La prima volta che lo aveva visto, Tony non aveva più di vent'anni, e Howard era nel fiore della sua gioventù, come poteva essere suo figlio? Steve guardava Tony che, preoccupato, accorse in suo soccorso nel vederlo accasciarsi a terra.
«Steve? Steve!» disse Tony cercando di metterlo seduto.
«Tu... Ma come...» cercò di dire il capitano, inutilmente.
Tony gli prese il volto tra le mani e lo guardò. Nei suoi occhi, ora, la paura. Si, paura di ciò che non riusciva a comprendere, di ciò che ancora sfuggiva al suo intelletto, incapace di ragionare, di capire. E più ci pensava, più il capitano ne era terrorizzato. Steve lo fissava, e nel mezzo della propria confusione, scorse la preoccupazione negli occhi di Tony. Si, una preoccupazione viscerale, profonda. Forse, pensò Tony, questa volta aveva esagerato. Alla fine, si era dimenticato che il capitano veniva da un'altro tempo, e forse queste cose erano troppo complicate da capire per lui.
«Steve riprenditi!» gli disse Tony scuotendolo.
Il capitano chiuse gli occhi, respirò profondamente. Tony tolse le mani dal suo volto e lo guardò ancora preoccupato. Sperava, pregava, che Steve non si alzasse e lo abbandonasse, che gli avrebbe dato modo di spiegare.
Lentamente, il capitano aprì gli occhi «Stark... - cominciò - Ora mi devi spiegare che cosa succede» gli disse guardandolo dritto negli occhi.
Tony sentì una fitta al cuore. Sentirlo chiamare così proprio da lui, dalla persona che amava più di qualunque altra cosa al mondo, gli faceva male, troppo male. Il capitano lo fissava con occhi che sapevano di ghiaccio, freddi e furenti, e in quel breve istante, Tony si convinse che Steve, ora, lo odiava per ciò che aveva fatto. Lentamente abbassò lo sguardo, poi guardò fuori, verso quel vecchio garage. Le lacrime cominciarono a farsi spazio nei suoi occhi, e forse capì che avrebbe dovuto dare ascolto a quella sua piccola vocina nella sua testa, che gli diceva a squarcia gola di non dirgli la verità, di non far capire al capitano cosa fosse successo in quel lontano 1942. E improvvisamente realizzò, che la sua più grande paura ora stava diventando realtà davanti ai suoi occhi, e la preoccupazione che il capitano, in un modo o nell'altro, sarebbe uscito di nuovo dalla sua vita, gli martoriava l'anima.
«Seguimi» gli disse rassegnato, mentre nervosamente tirava su con il naso, e si avviava verso la botola.
Steve lo guardò mentre si avvicinava a quella scala. Vide Tony scendere le scale, e per un breve istante scorse le lacrime che cercava di trattenere con tutte le forze. Forse la sua reazione era stata esagerata, forse avrebbe dovuto reagire diversamente, ma come biasimarlo? Si era svegliato da appena due giorni, e tutto attorno a lui era mutato in maniera irreversibile. Si, tutto ciò che conosceva non esisteva più. Tutto, eccetto Tony. Lui era la sua unica sicurezza in un mondo sconosciuto, e in qualche maniera, ora, non lo era più. Ma non per questo, i suoi sentimenti verso di lui erano mutati, semplicemente, Steve voleva capire. E sapere che in qualche maniera Tony aveva viaggiato nel tempo, non faceva altro che confonderlo ancora di più. Ma il capitano aveva notato perfettamente le lacrime negli occhi di Tony, e l'espressione rassegnata comparsa sul suo volto. Scesero le scale, percorsero nuovamente quel corridoio e si diressero in giardino. Appena fuori la villa, Steve notò che il sole era alto nel cielo, forse erano rimasti in quella casa più di quanto non sembrasse. Tony, invece, con le mani in tasca e la testa bassa, si diresse a passo lento verso il vecchio garage. Ancora non riusciva a capacitarsi di ciò che aveva fatto, ancora non voleva crederci. Aveva appena commesso il suo più grande errore, e se Steve se ne sarebbe andato, allora Tony l'avrebbe fatta finita. Il capitano lo guardava, avrebbe voluto dirgli che andava tutto bene, che non c'era nulla di cui preoccuparsi, che lo avrebbe amato comunque, non importava chi fosse o cosa avrebbe fatto, e glielo avrebbe detto, solo, non ora.
![](https://img.wattpad.com/cover/233185795-288-k1172.jpg)
STAI LEGGENDO
Fire on Fire
FanfictionDAL CAPITOLO 5: «Io ti ho odiato Steve - riprese Tony - non ho mai odiato nessuno nel modo in cui ho odiato te. E Dio! Vorrei poterti odiare ancora, ma non posso... Non ci riesco». È il 1991, sono appena iniziate le vacanze di Natale, e gli studenti...