22 - Sogno

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Thor si risvegliò sulla riva di un lago. L'acqua bagnava le sponde, muovendone appena i sassi. Dolorante si alzò, e guardò in direzione di dove prima sorgeva la città di Sokovia. Una strana sensazione prese il sopravvento, mentre l'aria era ancora intrisa della polvere e delle urla dei suoi abitanti. L'eco delle turbine dell'helicarrier rimbombava tenue nell'aria, mentre la sua mente si rilassava al suono di quelle piccole onde che si infrangevano sulla riva. Leggermente confuso, scrutò attentamente tutto ciò che era attorno a lui: alcune delle rovine della città erano atterrate sulle sponde del lago. Altre, invece, si ergevano dalle sue acque, come giganteschi blocchi di pietra. Poi, il suo sguardo venne catturato da una figura che non apparteneva a quel contesto di distruzione. Si alzò e vi si avvicinò con cautela, la vista era ancora leggermente annebbiata, ma subito, riconobbe quelle forme.
«Stark!» urlò il dio del tuono correndo in contro al corpo esanime del meccanico, steso a pancia in giù, le braccia lungo i suoi fianchi.
Thor lo prese per una spalla e girò con cautela, ma il meccanico non reagì. Lo guardò attentamente: le palpebre erano serrate, la bocca chiusa, i capelli intrisi dei piccoli sassolini della riva, un braccio piegato in maniera strana, probabilmente rotto. Del casco non vi era traccia, e il suo viso era ricoperto di piccoli tagli e contusioni. L'armatura, in generale, era malridotta e ammaccata, mentre in alcuni punti, addirittura, non c'era più, lasciando il corpo del meccanico scoperto. Thor si avvicinò al petto del meccanico per sentire il battito del suo cuore, ma era impossibile, la fitta armatura non glielo permetteva. Poi, guardò il reattore, gli diede un paio di colpetti nel tentativo di accenderlo, ma non ci riuscì. Con cautela si avvicinò al volto di Tony per sentire se stesse respirando, ma ancora, non sentì nulla. Preso dal panico e senza pensarci troppo, il dio del tuono si alzò in piedi, cercando di capire dove si trovasse l'helicarrier. Individuato, prese con cautela il corpo del meccanico, quasi avesse paura di svegliarlo, agitò il martello e schizzò in volo. Forse era già troppo tardi, forse Tony questa volta era morto, ma non gli importava. Se c'era ancora una piccola possibilità, una speranza che il suo amico fosse vivo, non se la sarebbe fatta sfuggire.

Steve era salito alla cabina di comando. Come al solito, Fury era davanti all'immensa vetrata, e guardava l'oscurità della notte appropriarsi del cielo, mentre la pioggia batteva sul vetro. Il capitano gli si avvicinò, mettendosi accanto a lui, i suoi passi rimbombavano allo stesso ritmo dei tuoni che sentiva in lontananza.
«Sta arrivando il temporale» constatò Steve.
«Già» disse Fury inspirando.
«Ci sono notizie?» chiese con la voce più ferma che riuscì a fare in quel momento.
«No, ma stanno ancora scansionando la zona» ribatté il direttore.
Fury si girò appena: il capitano guardava il cielo davanti a se, scrutando la forma delle nuvole. Guardava il suo volto e vi leggeva la tristezza, seppur velata. Ma i suoi occhi lo tradirono, risplendendo delle lacrime che cercava in tutti i modi di trattenere.
«Come sta il ragazzo?» chiese il direttore, tornando a guardare il cielo.
Steve sospirò «Non bene. Continuava a piangere e a chiedere se avevamo notizie di Tony. Per fortuna Natasha è riuscita a calmarlo. Adesso sta dormendo».
Fury inspirò, e per quanto fosse bravo a nascondere le sue emozioni, anche lui era preoccupato.
«E tu come stai?».
Steve abbassò la testa e storse la bocca in una smorfia dispiaciuta. Poi, si portò la mano sulla bocca, cercava in tutti i modi di non crollare, ma quel dolore era troppo, non lo sopportava più. E secondo dopo secondo, il suo cuore veniva trafitto da una nuova freccia, mentre le lacrime, adesso, erano diventate incontrollabili.
«Voglio risposte - disse Steve tirando su appena con il naso - voglio solo... che torni da me, in un modo o nell'altro».

Natasha aveva appena messo a letto Peter. Vederlo ridotto in quel modo le spezzava il cuore, e si era ripromessa che nulla lo avrebbe ferito ancora. Lentamente chiuse la porta, cercando di fare meno rumore possibile. Camminava lungo i corridoi di quel velivolo, rimuginante su quale sorte fosse toccata ai suoi compagni di squadra. Camminava persa in quei pensieri che non le davano pace, quando, improvvisamente, un tonfo rimbombò sordo tra le pareti del velivolo. Corse come non aveva mai corso prima d'ora, con quanto più fiato aveva in corpo, fino a che non si scontrò contro qualcuno.
«Nat?».
«Steve! Che cosa ci fai qui?».
«Ero venuto a controllare te e Peter quando ho sentito un rumore provenire dalla piattaforma d'atterraggio».
«Si, l'ho sentito anche io».
Per qualche secondo, i due eroi si guardarono negli occhi.
«Credi che sia...» disse lei.
«Devo esserne certo» rispose Steve con tono fermo.

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