7 - Il ritorno

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In un batter d'occhio, tutto era diventato scuro, poi invaso da mille colori, e poi di nuovo scuro. In fine tutto divenne calmo, silenzioso, e questo faceva male. Tony non voleva riaprire gli occhi, non voleva affrontare in faccia la cruda verità.Voleva rimanere ancora per qualche secondo, vittima delle sue illusioni, ignaro per qualche istante, che il sole era tornato a splendere nel cielo. Una lacrima trovò la sua via attraverso le palpebre serrate, solleticandogli dolcemente la guancia. Poi, lentamente si tolse il casco: l'odore di polvere e metallo inebriò le sue narici, e il silenzio disturbato dal cinguettio degli uccellini, e dai discorsi dei giardinieri appena fuori dove si trovava, pervase le sue orecchie. Improvvisamente sentì la mancanza di tutti quei rumori fastidiosamente continui che componevano quello scenario urbano a cui si era abituato. Ancora, però, non voleva aprire gli occhi. No, sarebbe stato un dolore insopportabile, un qualcosa da cui, con tutta probabilità, non si sarebbe mai ripreso. Qualcosa dietro di lui si mosse, facendo tintinnare le viti che aveva lasciato sparse sul tavolo da lavoro. Un topo forse, ma non gli importava. Ancora non voleva aprire gli occhi, ancora non era pronto. E per un breve istante, pregò che tutto quello fosse un brutto sogno, da cui si sarebbe risvegliato da un momento all'altro, e che al suo fianco, su quel morbido letto dalle lenzuola candide, avrebbe ritrovato lui, pronto a consolarlo, stretto nel suo abbraccio. E nella sua testa, il riecheggiare di quella voce, che pronunciava piano il suo nome.
"Tony".
Lentamente riaprì gli occhi, realizzando dove si trovava. Tutto attorno a lui era rimasto immutato dal giorno della sua partenza, tutto era rimasto esattamente come lo aveva lasciato. La luce filtrava pallida attraverso le piccole fessure degli scuri e le pesanti tende bianche ricoperte di polvere. Ma davanti a lui, il vuoto. Si, un vuoto infinito e profondo, simbolo della disperazione e della tristezza che di lì a poco, avrebbero segnato indelebilmente il suo cuore e la sua anima. Il casco, che fino a poco prima teneva saldamente in mano, cadde a terra producendo un metallico rumore sordo, che rimbombò per tutto il garage. Cadde sulle proprie ginocchia, fissando disperato e sconcertato, quel vuoto davanti a lui. Senza più la forza di piangere, arrabbiato con il mondo e con se stesso per ciò che aveva fatto, urlò disperatamente chinandosi in avanti, premendo forte la testa contro il pavimento, e battendo violento il pugno a terra.

La porta dell'entrata scattò improvvisamente. Ciò che Howard si ritrovò davanti fu la figura di suo figlio, li sulla soglia di casa, che fissava rassegnato il pavimento.
«Tony» disse il padre, guardandolo incuriosito.
Tony non rispose, ma alzò di scatto la testa, fulminandolo con lo sguardo. Con passo deciso, si diresse verso le scale, tirando una spallata a suo padre che, sorpreso, lo guardava salire la rampa. Di solito, si sarebbe limitato ad abbassare lo sguardo e a schivarlo, per cercare di non scatenare una faida, ma adesso era come se questo non gli importasse più.
«Anthony Edward Stark, torna qui!» gli urlò suo padre, ma ancora una volta, il ragazzo lo ignorò.
Come suo solito, Tony si andò a rintanare in soffitta, sommerso dai ricordi di altre persone. Si mise accanto alla finestrella da cui si vedeva tutto il giardino, appoggiò la testa alla cornice di questa e osservò i giardinieri mentre lavoravano. Nulla riusciva più a dargli conforto, tanto meno quella soffitta. Le lacrime cominciarono a farsi spazio nei suoi occhi, e tutti i suoi pensieri erano inevitabilmente rivolti a Steve.
Sua madre era diretta in camera da letto, quando improvvisamente udì rimbombare nel corridoio, il singhiozzare di un ragazzo provenire dalla soffitta.
«Tony?» lo chiamò sua madre.
Tony alzò di scatto la testa, osservando là porticina chiusa, timoroso che la potesse aprire.
«Tony posso salire?».
Sua madre era gentile e premurosa con lui, sapeva che Tony era un ragazzo dalle mille doti, semplicemente, come suo padre, aveva un carattere difficile.
Tony esitò per un istante, per poi alzarsi e far scendere la scala. Maria la salì, e non appena dentro la soffitta, vide suo figlio rintanato in un angolo, accanto ad una finestra impolverata.
La donna si fece aria con la mano, la polvere lì dentro era davvero troppa. Lentamente si avvicinò al ragazzo: il sole illuminava perfettamente il suo viso, mettendo in risalto gli occhi rossi e le lacrime che gli avevano segnato le guance.
«Tony...» gli disse dolcemente Maria, mentre si sedeva accanto a lui.
Lentamente gli mise le mani attorno alle spalle e se lo portò vicino al petto, stretto in un candido abbraccio materno. E per quanto questo era ciò di cui Tony aveva più bisogno ora, comunque non erano le braccia della persona che voleva sentire strette a se. Nuovamente, Tony si lasciò andare ad un pianto disperato, carico di odio e di dolore.
Incapace di comprendere, Maria si limitò a coccolarlo come solo una madre sa fare, guardando il panorama che si presentava davanti ai suoi occhi, circondato da quella piccola finestra.
«Tesoro, mi puoi spiegare che cosa succede?» gli chiese sua madre.
Senza più lacrime da versare, Tony decise finalmente di rivelarle il motivo di tanto dolore «Ho dovuto dire addio ad una persona a cui volevo molto bene».
«E chi era la fortunata?» chiese lei.
«Non era una ragazza» rispose Tony.
Confusa da quell'affermazione, guardava suo figlio che, con gli occhi puntati verso il pavimento, finalmente aveva deciso di dire tutto.
«Era un ragazzo» disse in fine.
Sua madre lo guardò, all'inizio allibita, ma poi comprensiva. Se a suo figlio piacevano gli uomini, di certo questo non era motivo di odio.
«E perché gli hai detto addio?» gli chiese lei.
«Perché era la cosa giusta da fare».
Maria scorse una lacrima sul suo viso. Con un tocco gentile della mano la asciugò, e poi lo strinse forte a se. Tony ricambiò quell'abbraccio, era caldo e puro, esattamente come quelli di Steve.
«Tesoro mio, qualunque cosa tu decida, sappi che io sarò sempre al tuo fianco. A me non importa chi ti piace, uomo o donna che sia, io voglio che tu sia felice, è questo che conta».
Quelle parole così sincere, pure, materne, riuscirono stranamente a concedere un po' di pace al cuore tormentato di Tony, ridonandogli, forse, un briciolo di felicità che, di lì a poco, gli sarebbe stata portata nuovamente via. Si, perché suo padre, diretto verso il suo studio, aveva potuto udire l'intero discorso. E se l'odio che provava prima già non era abbastanza, adesso il suo era puro disgusto per il figlio.

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