«Ma mi stai ascoltando?» gli disse spazientito Steve
Tony si era assopito, senza volerlo, durante il suo racconto. Con una mano si reggeva la testa mentre l'altro bracco era piegato sul tavolo. Steve gli posò la tazza di caffè davanti «Dai forza, svegliati» gli disse dolcemente.
«Che cos'è?» chiese Tony aprendo gli occhi impastati di sonno e sistemandosi sulla sedia.
«Caffè» gli rispose Steve mentre impiantava l'ultimo pancake.
Tony aggrottò le sopracciglia, contrasse la bocca in una smorfia strana e lo guardò con gli occhi socchiusi e confusi «Da quando sai usare una caffettiera?» gli chiese.
«Esistevano anche nel 1942 sai» rispose con una leggera risata il capitano.
Tony prese la tazza in mano, il profumo del caffè inebriava le sue narici, e veniva contrastato dal dolce odore dei pancake appena fatti. Ne bevve un sorso, e nel farlo, guardò Steve. Quella maglietta blu scuro non lasciava spazio all'immaginazione di Tony, che con lo sguardo, andava a definire ogni singolo muscolo della sua schiena. Notò che si era messo lo straccio sulla spalla, e trovò quel piccolo dettaglio incredibilmente irresistibile. Steve si voltò e mise i piatti in tavola.
«Ecco qui - disse piano posizionando il piatto di Tony davanti a lui - buon appetito» concluse scostandogli i capelli scuri con la mano e dandogli un bacio sulla fronte.
Tony prese il telecomando e accese la TV, mentre con la coda dell'occhio, Steve leggeva distrattamente il titolo della notizia in prima pagina sul giornale ripiegato e appoggiato sul tavolo. Nonostante fossero passati tre mesi dall'attacco a New York, ancora si poteva trovare in prima pagina la foto del loro bacio, mentre nei telegiornali quella era diventata la notizia di punta. Dopo lo scontro e la sconfitta di Loki, gli Avengers si erano temporaneamente divisi, e Tony aveva deciso che Steve sarebbe andato a vivere con lui nella sua villa a Malibù, lontani, quanto più possibile, dai media e dai paparazzi. Ogni mattina, Steve si svegliava prima di Tony. La luce del sole che filtrava attraverso quella immensa finestra che dava sull'oceano, si stagliava contro la figura dormiente del meccanico, steso sotto quella candida coperta bianca che risplendeva di luce propria sotto i raggi caldi del sole sorgente. In quella stanza silenziosa, Steve poteva sentire il verso dei gabbiani nel cielo, e l'infrangersi delle onde sulla scogliera. Come ogni mattina, il capitano lo guardava dormire, il suo candido viso, seppur non fosse più quello di un tempo, lo ipnotizzava, facendolo cadere in un dolce limbo. Quando Tony si svegliava, erano soliti rimanere li, stesi su quel letto, a guardarsi negli occhi, incuranti che la giornata stava per iniziare. Tony si accoccolava tra le braccia di Steve, che lo stringeva forte a se, come se non volesse lasciarlo andare da nessuna parte. Come a dire che Tony era suo e di nessun altro. Il capitano, poi, era solito alzarsi e preparare la colazione, mentre Tony, rimaneva sdraiato sul letto, senza la minima voglia di alzarsi.
«Allora - disse Steve riportando lo sguardo su Tony - dove ti ho perso?».
Tony stava bevendo un sorso di caffè, aprì un occhio e lo guardò, per poi posare la tazza sul tavolo «Più o meno all'inizio» gli rispose.
Steve lo guardò sconcertato «Sei serio?!».
Tony rise di cuore nel vedere l'espressione che aveva assunto il volto del capitano.
«Ti sto prendendo in giro!» gli disse mentre ancora rideva.
Steve lo squadrò, per poi prendere un pezzo di pancake e mangiarlo.
«Non fare l'offeso dai» gli disse Tony mentre tagliava un pezzo del pancake.
Tra i due cadde un pesante silenzio che durò per qualche secondo, ma che a Tony sembrò un infinità. Sapeva che il capitano aveva qualcosa da chiedergli, e forse sapeva anche qual'era la domanda. Steve appoggiò delicatamente le posate sul piatto, Tony seguì quel movimento con gli occhi.
«Non hai dormito nemmeno questa notte?» disse Steve guardando il suo piatto ormai quasi vuoto.
Tony fissò la tazza di caffè che teneva stretta tra le mani. Si, era da qualche tempo ormai, che dormiva poco la notte. Nonostante sapesse che il capitano era lì accanto a lui, e che erano al sicuro da qualunque minaccia terrestre, il tormento che qualcosa potesse accadere da un momento all'altro, non gli faceva fare sonni tranquilli. Aveva visto troppo oltre quel portale, quel l'immensa orda di alieni gli aveva fatto capire che non solo erano deboli come razza, ma che erano completamente impotenti contro una qualsiasi minaccia proveniente dallo spazio, o da qualunque altra parte dell'universo, e nella sua mente si era instaurata la convinzione che se fosse arrivata un'altra minaccia del genere, allora non sarebbero sopravvissuti. Per non parlare della sua apparente morte, che aveva gli instaurato il terrore di chiudere gli occhi. E quel sogno ricorrente lo svegliata nel cuore della notte, sudato e confuso, in preda ad attacchi di panico. In quel sogno, tutto attorno a Tony era scuro, nero, come una notte senza luna. Faceva freddo, dalla sua bocca usciva la condensa dell'aria che respirava e le ceneri di un evidente battaglia volavano nell'aria come fiocchi di neve. All'orizzonte, piccoli focolai sparsi cercavano, senza risultato, di rischiarare quella oscurità. Poi, il suono di grida disperate, mentre difronte a lui, illuminato da una timida luce viola, il corpo senza vita del capitano. In quel sogno, Tony correva da lui, lo prendeva in braccio e disperato, gli accarezzava il volto ricoperto di sangue quando, improvvisamente, Steve apriva gli occhi e gli sussurrava, con la bocca grondante di sangue «Sei stato tu, Tony...». Sconcertato, Tony lo fissava, per poi sentire la terra tremare sotto le sue scarpe, e il suono di passi pesanti dietro di lui. Tutte le volte cercava di voltarsi e vedere a chi appartenessero quei passi, ma tutto ciò che riusciva a vedere era solo un'immensa figura nera possente davanti a lui che, senza preavviso, lo colpiva con un potente fendente. Ma tutte le volte, appena prima che quell'arma lo potesse colpire, Tony si svegliava da quell'incubo.
La prima volta che Tony fece quel sogno, si svegliò urlando. Il capitano allarmato cercò di tranquillizzarlo, mentre Tony, terrorizzato, blaterava un qualche cosa di incomprensibile. Da quella notte in poi, tutte le volte che Tony faceva quel sogno, si alzava dal letto senza fare rumore e guardava le onde del mare baciate all'orizzonte dalla luce della luna, nel disperato tentativo di calmarsi. Sapeva che quel sogno voleva dire qualcosa, forse quella gigantesca figura era la premonizione di una nuova minaccia, forse, più semplicemente, la sua paura di un qualcosa impossibile da sconfiggere, o forse era la sua visione distorta del soldato d'inverno, ma se fosse stato così, non poteva di certo sottrarsi al suo destino. Aveva fatto una promessa a Bucky, lo doveva trovare. Ma in tutto questo, la domanda a cui non riusciva a dare risposta era quella che lo tormentava di più di tutti: perché, nel suo sogno, il capitano era ricoperto di sangue?
«Tony?...» gli disse di nuovo il capitano, svegliandolo dalla sua trance.
Tony alzò la testa di scatto, guardò per un breve secondo il capitano negli occhi per poi abbassare di nuovo lo sguardo.
«Scusa, scusa...» gli disse tornando ad osservare la tazza.
«Hai fatto ancora quel sogno?».
«Si ma... Non lo so c'è qualcosa che mi sfugge... Ma non importa, non stavamo parlando di questo. Allora... Mi stavi raccontando della tua ultima missione con Bucky».
Il capitano lo guardò da prima confuso, per poi riprendere il discorso da dove lo aveva lasciato. Gli raccontò tutto, di come si erano lanciati giù da una montagna ed erano saltati su quel treno, e di come il suo fidato amico, dopo avergli salvato la vita, era caduto senza speranze in quel precipizio innevato. Gli raccontò del dolore che aveva provato, di quanto si fosse sentito impotente, di quella orribile sensazione di sconfitta e delusione per se stesso che aveva sentito dentro di se nel non essere riuscito a salvarlo, e in qualche maniera, il meccanico, si rispecchiò in quelle parole. Si, perché quei sentimenti, erano gli stessi che aveva provato quando non era riuscito a salvare il capitano. Tony fece mente locale, cercando di mettere insieme tutti i pezzi del puzzle. Gli risultava ancora incredibilmente difficile pensare che quel ragazzo che aveva visto cantare spensierato in quel bar, che quell'entità saggia e profonda che aveva incontrato in quel limbo, e che quel soldato privo di scrupoli e di un'anima, potessero essere la stessa persona. Poi, pensò che non aveva ancora avuto modo di spiegare a Steve che cosa aveva visto quando era apparentemente morto, del suo incontro con quella versione mistica di Bucky in quella specie di limbo che ai suoi occhi, sembrava la sua casa. Ma in quella indecisione, Tony aveva deciso di aspettare il momento giusto per raccontargli ciò che era successo, e aveva cominciato a fare le sue ricerche, raccogliendo quanti più dati possibili su tutti gli spostamenti del soldato.
«Mi vuoi spiegare perché ti interessa tanto?» gli chiese Steve.
«Non ti preoccupare - rispose Tony prendendo la tazza di caffè e bevendone un sorso - senso del dovere» concluse.
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Fire on Fire
FanfictionDAL CAPITOLO 5: «Io ti ho odiato Steve - riprese Tony - non ho mai odiato nessuno nel modo in cui ho odiato te. E Dio! Vorrei poterti odiare ancora, ma non posso... Non ci riesco». È il 1991, sono appena iniziate le vacanze di Natale, e gli studenti...