26 - Wakanda

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Il giorno divenne notte, e la notte divenne giorno. Il sole giocava a nascondino tra le fronde degli alberi verdi, mentre il canto degli uccelli, appena fuori la porta di casa, vibrava nell'aria come un eco distante. Bucky si svegliò di colpo, gli occhi fissi ad osservare il freddo soffitto di quella stanza. Si passò una mano sugli occhi, per poi alzarla e guardarla. Quella maledetta mano metallica rappresentava tutto ciò che c'era di malvagio in lui, e la detestava. Se solo avesse potuto, avrebbe vissuto senza quel braccio per tutto il resto della sua vita, ma purtroppo, non poteva. Quel braccio, pur essendo così diverso, era parte del suo corpo e della sua storia, ma oltretutto era anche il suo monito, ciò che rimaneva del famigerato Soldato d'inverno. Si rimise la mano sugli occhi e sospirò. Si vergognava di ciò che aveva fatto, ma sopratutto si vergognava di non aver resistito alla tentazione. "Sei meglio di così" si ripeteva inutilmente. Ma ormai era inutile, ciò che doveva essere, era stato fatto, e nulla avrebbe cambiato il passato. Il soldato si alzò dal pavimento su cui giaceva: pezzi di vetro e viti erano ancora sparse al suolo, alcune, invece, incollate sulla sua schiena. Sentì qualcosa di acuminato sotto il palmo della mano. La alzò e la guardò: un piccolo rivolo rosso gli colò lungo il polso, lasciando cadere qualche goccia di sangue sul pavimento. Un pezzo di vetro gli si era infilzato appena sotto la base del pollice. Lo estrasse con facilità e lo gettò lontano. Il tenue tintinnio di quel minuscolo frammento gli sembrò rimbombare nella stanza come un tuono appena sopra la sua testa. Si guardò attorno, i suoi vestiti non erano molto lontani da dove si trovava, mentre i brandelli di ciò che era la sua maglietta erano sparsi attorno al suo giaciglio. Ne prese uno e lo guardò con occhi vacui, e improvvisamente, tornò il fugace ricordo di quella notte. E gli parve di sentire ancora le braccia del capitano strette attorno al suo corpo, mentre con le unghie gli graffiava la schiena. Scosse forte la testa e gettò lontano quel brandello di tessuto. Voleva cancellare a tutti i costi il ricordo di quella notte, anche se sapeva perfettamente, in cuor suo, che non ci sarebbe mai riuscito. E forse, inconsciamente, avrebbe custodito gelosamente quel ricordo nel profondo del suo cuore, rivangandolo di tanto in tanto in quelle notti solitarie, dove la luna piena regnava sovrana nel cielo tra le flebili stelle, rischiarando il mondo con i suoi pallidi raggi argentati. E forse, in quelle notti, con quel ricordo, si sarebbe sentito meno solo, mentre una lacrima gli avrebbe rigato il viso nel pensare a ciò che gli era sfuggito tra le dita.

La porta del laboratorio si aprì con un sinistro cigolio che trapanò le orecchie del capitano. Si era alzato prima di Bucky, non poteva sostenere il suo sguardo, non ora. Tra le mani teneva una tazza di caffè ormai fredda, il suo sguardo perso tra le acque del lago. Il cuore cominciò a battergli forte nel petto, quasi cercasse un modo per uscire. Steve chiuse gli occhi, appoggiò la tazza sul bancone, le braccia rigide che sostenevano tutto il suo peso. Sospirò cercando di calmarsi. Quella notte, gli incubi erano stati i sovrani della sua mente. Aveva sognato che Tony lo aveva lasciato dopo aver scoperto ciò che era successo con Bucky, e che il capitano si era ritrovato da solo in quella immensa casa. E mentre la disperazione prendeva il possesso della sua mente, un'ombra nera come la notte stessa lo avvolgeva facendolo sprofondare nelle tenebre, che si erano materializzate sotto i suoi piedi. Ma per fortuna, era solo un brutto sogno. Sentì i passi del soldato rimbombare sul pavimento di legno, poi sulle scale, e poi al piano di sopra. Con la coda dell'occhio, Steve poté vedere che Bucky non indossava la maglietta, mentre lunghi graffi rossi gli segnavano la schiena. Imbarazzato, spostò lo sguardo altrove. Voleva dimenticare con tutto il cuore gli avvenimenti di quella notte, ma era una ferita ancora fresca, che forse non si sarebbe mai rimarginata. E ne suo spaziare, si chiese come sarebbe potuta essere la sua vita con Bucky. Si chiese se sarebbe stato ugualmente felice, se non addirittura di più. Si chiese se avesse provato lo stesso amore incondizionato che provava per Tony, se molte delle cose che erano successe, se le sarebbe risparmiate, o se semplicemente ne sarebbero accadute delle altre. Forse, si azzardò a pensare, non sarebbe nemmeno mai caduto nel ghiaccio, e forse, alla prima occasione che avevano, avrebbero disertato per fuggire lontano, e vivere in una casa dispera in mezzo al nulla. E il mondo avrebbe lentamente dimenticato il mito del grande Captain America, e con tutta probabilità, non avrebbe nemmeno mai conosciuto il soldato d'inverno. Diamine, forse, addirittura, Bucky poteva anche avere il suo vero braccio e non quella protesi meccanica. Il capitano alzò la testa e sospirò, era bello sognare un'altra vita, anche solo per qualche piccolo istante. Forse era la vecchiaia, o forse, semplicemente, era la stanchezza, ma non voleva più essere un eroe. L'unica cosa che voleva, era condurre una vita tranquilla, e in quella fantasia, dove accanto a lui vi era il soldato, lo faceva. E il coronamento di quel sogno sarebbe rimasto tale, perché ormai il suo destino era segnato, legato a quello scudo che gli aveva salvato tante volte la vita quante gliela aveva rovinata.

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