Il cielo era grigio, la pioggia batteva ritmicamente sugli ombrelli neri, per poi cadere a terra, e bagnare l'erba appena tagliata. Un piccolo gruppo di persone si era riunito sotto a quella pioggia, riparate da quegli stessi ombrelli neri che sembravano come una macchia di petrolio nel mare. Le poche sedie disposte erano ormai zuppe di acqua, mentre un fazzoletto bianco stava cadendo a terra. Poi, una dopo l'altra, quelle stesse persone se ne andarono, tutte, tranne due. Un giovane ragazzo, senza ombrello e senza un fazzoletto per asciugare le lacrime che si mischiavano alle gocce di pioggia sul suo viso, stava lì, in piedi, davanti a quella fossa scura, buia, profonda. Le gocce cadevano lungo le sue guance, mentre alcune si incastravano nelle sue sottili labbra rosa. I capelli, ormai bagnati, erano intrisi di minuscole goccioline che cadevano sul suo vestito nero, mentre una lacrima, adesso, si univa ad una goccia di pioggia, cadendo a terra. Appena dietro di lui vi era un uomo, anche lui triste, ma per il ragazzo. Aveva un ombrello in mano, e avvicinandosi a lui con passo lento, gli offrì riparo. Il ragazzo non sentiva più la pioggia battere sulla sua testa, e notò la leggera, quanto sfocata, ombra dell'uomo dietro di lui, proiettata sull'erba appena tagliata.
«Signor Stark?».
Tony esitò per qualche secondo nel rispondere al ragazzo. Gli sembrava così piccolo, così innocente, eppure, la vita gli aveva voltato le spalle ancora una volta. Il meccanico fece un leggero sospiro, come avrebbe potuto, adesso, affrontare lo sguardo devastante di quel giovane.
«Dimmi Peter».
«Crede che abbia sofferto?».
«No».
Tony fece un piccolo passo avanti, e Peter sussultò appena rizzando la testa, nel sentire la mano del meccanico stringersi sulla sua spalla bagnata.
Il ragazzo si voltò lentamente e lo guardò fisso negli occhi. Tony inspirò leggermente, scioccato dal indescrivibile sguardo di dolore negli occhi rossi e ricolmi di tristezza di Peter.
«Che cosa farò adesso?» gli chiese il ragazzo in preda alla disperazione.
«Non lo so Peter, ma troveremo una soluzione. Insieme» gli rispose Tony.
Peter si gettò addosso al meccanico, alla ricerca di quell'abbraccio di cui aveva disperato bisogno.Si aggrappò alla giacca dei seta di Tony, mentre la disperazione prese possesso di lui. Ancora una volta, era rimasto da solo, e ancora, avrebbe dovuto combattere contro questo demone. Tony conosceva bene quella sensazione. Nella sua vita aveva perso molte persone a lui care, e sapeva benissimo cosa stesse provando il ragazzo nel seppellire sua zia. Quella solitudine malinconica, profonda, viscerale, che quasi lo risucchiava nel suo baratro trascinandolo giù, nelle viscere della bestia, senza rivedere più la luce. Conosceva bene quel sentimento, perché lui stesso lo aveva provato, e sapeva che uscirne sarebbe stato difficile, se non impossibile. E alla fine, non ne era ancora uscito. E sapeva che proprio come lui, anche Peter, adesso, avrebbe avuto un fantasma in più a tormentare i suoi sogni. Tony gli accarezzò delicatamente la testa, mentre il ragazzo, con la faccia sprofondata nella giacca del meccanico, piangeva a dirotto, stringendo forte un lembo del vestito.
«Andiamo a casa» disse piano il meccanico guardando e toccando i morbidi capelli bagnati del giovane.
Capiva quel dolore, lo sentiva come fosse stato suo. Ed era impossibile non compatire il povero ragazzo. Tony guardava gli alberi in lontananza, e ripensava al suo passato. In qualche maniera, in quell'istante, la sua memoria lo riportò a quel giorno in cui seppellì i suoi genitori, e gli sembrò di essere tornato piccolo, indifeso.
Un'altra lacrima cadde al suolo, e mentre i due si allontanavano, Peter diceva, ancora una volta, addio a tutto ciò che era stata la sua vita fino a quel momento.Passarono i mesi, ormai era ufficiale, Peter Parker era a tutti gli effetti diventato il figlio adottivo di Tony, anche se in realtà, lo era già da tempo. Finalmente il ragazzo era tornato a sorridere, anche se spesso lo si poteva vedere guardare malinconico fuori dalla finestra. Ma Tony sapeva che ci voleva ancora del tempo. Era ancora una ferita fresca, che forse non si sarebbe mai rimarginata. Ma lo doveva ammettere, Peter era più forte di quanto sembrasse, e sapeva che, in un modo o nell'altro, l'avrebbe superata. Ma il ragazzo non era il solo a soffrire. Anche Tony, nonostante non lo volesse dimostrare, soffriva ancora per Steve, e sentirlo vagare per i corridoi di quell'attico, faceva salire l'angoscia nel cuore di Peter, che tendeva le orecchie e pregava la sua buona stella che Tony non si attaccasse di nuovo alla bottiglia, o peggio. Dal suo canto, Tony sapeva che doveva essere forte adesso, per tutti e due. Doveva mettere da parte la sua inumana tristezza, ed essere il sostegno di cui Peter aveva bisogno. Non c'era spazio per il suo cuore infranto, non adesso. O almeno, questo era quello che si era imposto di credere. Si, Peter non poteva assumersi la responsabilità di sorreggere Tony, così preferiva fingere, e con il calare della notte, stringeva forte il cuscino tra le sue braccia, e guardava malinconico il buio di quella stanza, sperando che l'indomani, fosse un giorno migliore. Peter, però, si era accorto del suo inganno, e dopo tutto quello che aveva sofferto, voleva rivedere Tony di nuovo felice. Sapeva che l'unico modo, era trovare Steve, e forse sapeva a chi chiedere aiuto.
Quel giorno, Peter si incontrò con una vecchia conoscenza del suo mentore, dandosi appuntamento in una piccola caffetteria vicino alla Stark Tower. Peter tamburellava con le dita sul tavolino, mentre si guardava attorno, e con gli occhi cercava quella chioma di capelli rossi come il sole al tramonto.
«Peter» disse una voce dietro di lui.
Il ragazzo si voltò «Sei arrivata» disse guardando Natasha con un enorme sorriso in volto.
Natasha ricambiò quel sorriso, e senza scollargli gli occhi di dosso, si sedette al tavolo insieme a lui.
«Allora, di che cosa volevi parlarmi?».
Peter incrociò le mani appoggiando gli avambracci sul tavolino e portando il busto in avanti «Di Tony» disse guardandola stranamente serio.
Natasha non aveva mai visto quello sguardo negli occhi del ragazzo, così serio che quasi gli fece accapponare la pelle.
«Che cosa è successo?» gli chiese lei preoccupata.
«Dobbiamo trovare il capitano».
«Perché?» chiese lei incuriosita e stupita dalla richiesta del ragazzo.
«Perché non voglio più vederlo triste».
Natasha lo guardò con occhi dolci e malinconici «Peter, non è così facile. Non si sono lasciati nei migliori dei modi, e Steve ha tradotto la fiducia di Tony».
«Si ma...» provò a dire Peter, ma Natasha lo interruppe.
«Peter, ci sono cose di loro due che ne tu ne io possiamo capire. E anche se lo trovassimo come pensi di farlo convinto a tornare? E come credi che reagirebbe Tony? Non puoi semplicemente andare là e sperare che vada tutto bene».
«Vale la pena provare!» rispose Peter guardandola fissa negli occhi.
«Peter...» provò a dire Natasha.
«Io non voglio più vederlo con una pistola puntata alla testa! - urlò Peter sovrastando la voce di Natasha - Non voglio più sentirlo piangere nel cuore della notte. Non voglio più vederlo guardare per perso fuori dalla finestra, e non voglio più vederlo bere come se non gli importasse di se stesso. Io voglio che Tony torni a sorridere, che torni ad essere l'uomo che vedevo alla televisione. Tu sei l'unica persona che conosco che possa aiutarmi a rintracciare Steve, senza di te non c'è la posso fare. Aiutami, ti prego...».
Lei lo guardò con occhi sgranati e la bocca leggermente aperta. Non lo sapeva, non aveva la minima idea che pochi mesi prima, Tony aveva tentato di suicidarsi. Quella, fu una notizia che cambio totalmente le carte in tavola. La loro, adesso, era una corsa contro il tempo, dovevano trovare il capitano a tutti i costi. E Peter aveva ragione, lei era l'unica a poterlo aiutare in questa impresa.
«D'accordo Peter - disse Natasha dopo un sospiro - lo troveremo».
Peter la guardò con occhi lucidi ma carichi di speranza, mentre un dolce sorriso luminoso era comparso sul suo viso «Grazie Natasha».
Il resto della giornata passò in maniera tranquilla. Tony era rinchiuso nella sua officina a ultimare la sua nuova armatura, mentre Peter era rinchiuso in camera sua a finire i compiti. Improvvisamente, i suoi sensi di ragno vibrarono, mentre sentì il distinto rumore degli attrezzi in metallo che cadevano a terra. Fulmineo, Peter si alzò e si diresse dal meccanico. Ancora, la preoccupazione che avesse fatto qualcosa. In un secondo, la mente di Peter impazzì, colpevolizzandosi di qualunque cosa fosse successa a Tony. Si, era colpa sua, lo aveva perso di vista, e se adesso avesse trovato il corpo del meccanico riverso in una pozza del suo stesso sangue, sarebbe stata solo colpa sua. Peter aprì di scatto la porta, facendola sbattere violentemente contro la parete «Sigron Stark!» disse ad alta voce e con il fiatone.
Tony girò di scatto la testa, guardando con occhi sorpresi il ragazzo, evidentemente preoccupato «Peter, tutto ok? Perché hai il fiatone?» gli chiese guardandolo incuriosito.
«Io... - Peter rimase li per un secondo, guardando gli attrezzi a terra, e tirando un sospiro di sollievo - Niente» rispose facendo per andarsene.
«Peter, vieni qui» disse Tony dopo un breve sospiro.
Peter si bloccò, lentamente si voltò ed entrò con passo incerto e a testa bassa nell'officina. Tony lo guardò incuriosito, ma con occhi dolci, mentre il ragazzo si sedeva su uno sgabello li vicino.
«Che cosa succede?» gli disse con un tono stranamente dolce, perfino per lui.
«Io... Davvero Signor Stark, non è niente».
«Peter».
Peter lo guardò. Negli occhi del meccanico vi era vera e sincera preoccupazione. Forse, quella era la prima volta che vedeva uno sguardo del genere in quelle iridi, e forse, meritava di sapere la verità, ma non tutta.
«Io sono preoccupato» disse quasi sotto voce il ragazzo.
Tony lo guardò. Quelle tre semplici parole erano sincere, incredibilmente profonde. Era evidente che lo fosse, e aveva tutte le ragioni per esserlo, ma Tony non poteva immaginare l'immenso dolore che aveva scatenato nel cuore del ragazzo con le sue azioni.
«Peter, tranquillo. Quello che è successo... Ormai è acqua passata. Ho sbagliato e mi pento terribilmente di quello che ho fatto, ma non lo farò più. È una promessa».
Peter alzò lo sguardo dispiaciuto e si morse appena il labbro inferiore, cercando di credere alla bugia che Tony gli aveva appena detto.
«Va bene signor Stark» disse accennando appena un sì con la testa.
«Hey, cosa abbiamo detto al riguardo del chiamarmi signor Stark?» gli disse Tony con un leggero risolino e un mezzo sorriso alla bocca.
«Giusto - disse lui in un sospiro - hai ragione Tony» concluse guardandolo e sorridendogli.
Tony gli sorrise in risposta per poi tornare a ciò che stava facendo. Peter si alzò e andò a curiosare, per poi perdersi nel guardare Tony armeggiare con la sua armatura.
Peter rimase li per qualche ora, aiutando il suo mentore del perfezionare la sua nuova creazione, poi si alzò, e con passo lento tornò nella sua camera. Chiuse la porta dietro di se e si appoggiò con la schiena contro di essa. Chiuse gli occhi, inspirò profondamente, ed espirando, appoggiò la nuca sul legno duro della porta. "Mi ha mentito" pensò il ragazzo, mentre lentamente apriva gli occhi e guardava il panorama fuori dalla finestra.
"Bugiardo".
In un batter d'occhio, il mondo di Peter era stato stravolto, completamente ribaltato. E come i granelli di sabbia in una clessidra rotta, la sua esistenza gli stava scorrendo tra le dita, implacabile, indomabile. Avrebbe voluto fermarla, avrebbe voluto riavvolgere il nastro e ricominciare da zero, ma non poteva, non sapeva come fare. Quella sera, dopo cena, Peter lavò i piatti, poi si diresse in camera sua, ma si bloccò nel guardare Tony seduto sul divano. Malinconico, il meccanico teneva in mano un bicchiere di whisky praticamente vuoto, e perso nei suoi pensieri, guardava le luci della città che brillavano vibranti, stagliate contro il nero di quella notte, scura come la pece. In quei momenti, la sua mente vagava di pensiero in pensiero, di progetto un progetto, di ricordo in ricordo, e come un mare in tempesta, implacabile sotto la mano di un semplice uomo, Tony non riusciva a fermarsi. La sua mente continuava a lavorare, a pensare, e magicamente, tutti i rumori che lo circondavano si amplificarono, diventando sempre più forti, più assordanti. Sentiva tutto, percepiva tutto, il clacson delle macchine in strada, gli ingranaggi dell'ascensore che scendeva, il rimbombo dei tacchi di una donna che camminava lungo il corridoio. Odiava tutto questo. Odiava sentire tutto, vedere tutto, e non riuscire a scovare, nel mezzo di quel caos che lo circondava ogni giorno, il solo volto che voleva veramente vedere. Quella magnifica maledizione era quanto di più detestasse della sua vita. L'incapacità di domare la tempesta, di placare quel caos. Di riuscire a sentire, finalmente, la pace. E insieme a quei pensieri, il costante ronzio di quelle voci nella sua testa non gli dava tregua, incapace di pensare, di concentrarsi. Quelle voci erano come un assordante frastuono, come il tuonante rimbombo dei lampi di un temporale sopra la sua testa. Avrebbe voluto farle smettere, voleva che per una singola volta, sentisse un dolce silenzio nella sua testa. Ma era chiedere troppo, un lusso che non gli era concesso. Così, sorso dopo sorso, quei suoni lentamente si placarono, svanendo in un dolce nulla, assordante come mille voci. Forse, sentire quel vuoto nella sua testa, era la cosa che gli faceva più male. Ai suoi occhi, quell'immensa sala era buia ed immersa in un silenzio penetrante, sferzato soltanto dal rumore dei taxi che appena si riusciva a sentire. Peter, dalla sua stanza, sentiva appena il rumore della bottiglia di vetro battere dolce contro il bicchiere. Guardava il soffitto della sua stanza, come se fosse alla ricerca di una qualche risposta. Avrebbe voluto parlargli, dirgli che presto le cose sarebbero andate per il meglio, che avrebbe smesso di piangere. Avrebbe voluto dirgli che voleva trovare il capitano, così che finalmente, lo vedesse sorridere di nuovo. Ma non poteva, non voleva rischiare. Così, lentamente, Peter si addormentò, e Tony, con la vista offuscata e il passo incerto, si diresse verso la sua camera, si sedette pesantemente sul letto, e si lasciò prendere tra le braccia di Morfeo, colto da un sonno profondo. L'indomani sarebbe stato un giorno come tanti altri per il meccanico, ma questo, forse, non si poteva dire per Peter.
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Fire on Fire
FanfictionDAL CAPITOLO 5: «Io ti ho odiato Steve - riprese Tony - non ho mai odiato nessuno nel modo in cui ho odiato te. E Dio! Vorrei poterti odiare ancora, ma non posso... Non ci riesco». È il 1991, sono appena iniziate le vacanze di Natale, e gli studenti...