Sulla terra, tutto sembrava essersi assestato. Steve e Bucky erano riusciti ad evacuare la maggior parte delle persone. Erano feriti, stanchi, ma pur sempre vivi. Il capitano si guardava attorno, una nube di polvere impregnava l'aria stantia, sporcando di grigio tutto ciò che trovava davanti a sé.
«Ci penso io» disse Bucky aiutando il capitano a tirare su una ragazza caduta a terra per una ferita alla gamba. Steve sospirò esausto e si guardò attorno. Quella situazione aveva un qualcosa di surreale, inquietante. Si, erano riusciti nel loro intento, il prossimo scontro si sarebbe svolto a Wakanda, lontano da New York, ma soprattutto, da Peter che ora, si trovava al sicuro tra le mura di casa. O almeno, questo era quello che credeva il capitano, mentre ascoltava il frastuono di una città deserta, silenziosa. No, non era più la metropoli che amava e che era abituato a vedere. Le macchine, le strade, i palazzi, tutto era diventato un ammasso indistinto di macerie e rottami, uno sfregio da cui la città stessa non si sarebbe mai ripresa. E quella ferita l'avrebbe segnata per sempre, portando nel cuore e nella mente dei cittadini il ricordo di ciò che era appena successo. Bucky era impegnato a soccorrere i feriti in mezzo alla strada e ad aiutare i pochi agenti rimasti con l'evacuazione, senza prestare la minima attenzione al capitano. E fu sufficiente un attimo di distrazione, un secondo, il tempo di una chiamata, quel tanto che bastò al capitano per realizzare la dura verità. E in quel momento, il soldato si voltò. Vide l'amico seduto su un blocco di cemento, una mano sulla bocca e gli occhi sgranati, increduli, da cui cadevano lacrime che sapevano di disperazione. Con passo svelto Bucky si precipitò da lui «Che cosa succede?» gli chiese inchinandosi e guardandolo.
«Tony...» disse il capitano con appena un filo di voce.
«Che cosa gli è successo Steve».
«È nello spazio...».
«Che cosa?!» chiese il soldato con un'accesa nota incredula nella voce.
«È nella nave Bucky! È a bordo della nave aliena...».
Il soldato rimase in silenzio mentre guardava l'amico chinarsi in avanti, in preda alla disperazione. Era buffo, pensò, che il destino li avesse presi così a cuore. Crudele, da parte sua, riservargli una sorte tanto amara. Si, perché altro non poteva essere la loro storia, che una sofferenza perpetuata nel tempo, la vendetta di un universo che aveva subito i loro giochetti, e che ora, voleva solo ricambiare il favore. Alla fine, tutto quello che era capitato, in un modo o nell'altro, li aveva sempre divisi, e trovava ammirevole la loro lotta contro quella vita, contro la sorte beffarda e crudele che gli era destinata. Ed era lodevole, pensò in fine, il sentimento che li univa, così puro e unico, che quasi lo rendeva invidioso. Ma in quell'istante, i suoi occhi caddero ancora una volta sull'amico che, disperato, si domandava se, e quando, avrebbe rivisto il suo amore perduto.
«Andiamo - disse Bucky aiutandolo ad alzarsi - ti porto a casa».Il viaggio fu lungo ed estenuante. Bucky guardava il capitano che, nonostante le sue parole di conforto, non smetteva di fissare fuori dal finestrino, assorto nei suoi pensieri. "Io sarò con te - continuava a ripetersi in testa il soldato - fino alla fine". E avrebbe mantenuto quella promessa fino in fondo. Fino a che non avesse esalato il suo ultimo respiro. Così, Bucky aveva deciso di rimanere con Steve per quella notte, e se era necessario, per tutte quelle a venire. Non si fidava a lasciarlo da solo, perché sapeva che in quelle condizioni, non era in grado di ragionare lucidamente.
Lentamente, il soldato si alzò, e si avvicinò a Steve. Non un sussulto risuonava nell'aria, non un lamento, solo i suoi passi che rimbombavano all'interno della fusoliera del quinjet. Si inginocchiò accanto al capitano che, con gli occhi rossi, fissava imperterrito fuori dal finestrino.
«Steve» lo chiamò dolcemente il soldato.
Non si voltò, nemmeno girò la testa, ma semplicemente si limitò ad emettere un lieve lamento forzato. Bucky sospirò. Era impotente davanti a tutto quello, e gli sembrò di rivivere il periodo della guerra, quando al suo migliore amico non importava nulla di vivere o di morire, perché tanto, il suo cuore gli era stato portato via da quel ragazzo misterioso scoprirlo davanti ai suoi occhi. E finalmente, il quinjet atterrò. Lentamente Steve e Bucky scesero dal velivolo, e si diressero in casa.
«Peter? - urlò il soldato - Peter, Steve è a casa!».
Nessuna risposta.
«Che strano... - disse tra se e se Bucky - tu stai qui, vado a controllare se sta dormendo» concluse rivolgendosi al capitano.
Steve si sedette su una sedia, con una mano reggeva la testa, con l'altra tamburellava sul legno scuro del tavolo, gli occhi fissi a guardarne le venature mentre sentiva Bucky chiamare incessantemente il nome del ragazzo dal piano di sopra.
«Peter non è mai in camera sua...» disse tra sé e sé Steve mentre lentamente, realizzava che il ragazzo, in quella casa, non c'era.
«Peter? Peter?!» urlava ancora il soldato.
Poi, passi che rimbombavano veloci sulle scale «Non c'è. - disse Bucky con il fiatone - Non è in casa».
E allora, al capitano fu tutto più chiaro, Tony gli aveva mentito. Si, gli aveva detto che Peter era a casa sano e salvo, ma non era così. No, con tutta probabilità, il ragazzo era su quella nave aliena diretta chissà dove, lontano da casa, dalla terra. E pensò che mettere in pericolo la vita di Peter fosse un comportamento spregevole ed arrogante da parte di Tony, un qualcosa che non si sarebbe mai aspettato da lui. Improvvisamente, il capitano si alzò e battè forte il pugno sul tavolo, facendolo tremare appena. Bucky, ancora sulle scale, lo guardava con occhi sbalorditi.
«Steve...».
«Mi ha mentito...» disse il capitano con un filo di voce.
«Steve, io- ».
«Mi ha mentito Buck! Mi ha detto che Peter era qui, che era al sicuro! E invece non è così! È la fuori chissà dove, e io.... E io non so...».
«Steve, sono sicuro che ci sia un'altra spiegazione».
«Quale altra spiegazione c'è Bucky?! Ha messo in pericolo la vita di Peter! Di mio figlio!».
Il capitano si voltò e guardò l'imbrunire del cielo all'orizzonte, mentre le lacrime cominciarono a comparire nei suoi occhi. Bucky aggrottò leggermente le sopracciglia e storse la bocca in quello che era un sorriso appena accennato. Con passo leggero e calmo si avvicinò al capitano che, senza voltarsi, girò appena la testa nel sentire la mano dell'amico sulla sua spalla.
«Pensi davvero che Tony metterebbe in pericolo la vita di Peter di proposito?».
Il capitano strinse forte i pugni. No, Tony non lo avrebbe mai fatto, non l'uomo che conosceva lui, non con la vita di Peter. Stravedeva per quel ragazzo, ed era sicuro che avrebbe dato la vita pur di saperlo al sicuro. No, portarlo lassù, dove ogni cosa che si muoveva poteva essere un assalto alla sua vita, non era da lui. Qualcosa era andato storto, si. Peter doveva aver disobbedito, questa era l'unica spiegazione plausibile. E nel pensare a questo, il suo cuore trovò un po' di pace, anche se l'inquietudine di quella casa vuota, che non risuonava più delle loro voci, delle urla di Peter e dei discorsi troppo complicati di Tony, lo facevano sprofondare in un baratro nero.
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Fire on Fire
FanfictionDAL CAPITOLO 5: «Io ti ho odiato Steve - riprese Tony - non ho mai odiato nessuno nel modo in cui ho odiato te. E Dio! Vorrei poterti odiare ancora, ma non posso... Non ci riesco». È il 1991, sono appena iniziate le vacanze di Natale, e gli studenti...