Tony si svegliò grazie all'insistente cinguettio degli uccellini appena fuori dalla finestra. Il sole lo baciava filtrando attraverso la tenda bianca e le fessure degli scuri, illuminando timidamente la camera.
Fece una smorfia infastidita, si rigirò nel letto, prese la coperta è la tirò fin sopra la testa, non aveva nessuna intenzione di alzarsi.
Gli uccellini continuavano imperterriti il loro cinguettare mentre, dal piano di sotto, si poteva sentire l'incessante scalpitare dei domestici accompagnato dal rumore di piatti e posate, segnale indistinguibile che ormai la giornata era iniziata.
Tony tirò giù la coperta da sopra la faccia, aveva le sopracciglia aggrottate e la bocca, secca, era serrata formando una linea sottile con le labbra. Aprì appena gli occhi impastati di sonno, erano gonfi e rossi ancora dalla sera prima, ma le sue iridi color nocciola stavano riacquistando la loro sicurezza.
Guardò vagamente la porta, cercando di metterla a fuoco.
Non riusciva a ricordare come fosse finito sul letto, ma si ricordava perfettamente di come Jarvis, la sera prima, fosse entrato nella sua stanza, e di come lo avesse consolato mentre sfogava, finalmente, anni di lacrime soffocate.
Fuori dalla stanza, sentì il rumore distinto di passi decisi e pesanti percorrere il lungo corridoio e avvicinarsi, fermandosi davanti la sua porta. Tony sapeva perfettamente chi era e, in cuor suo, sperava di vedere la persona a cui appartenevano quei passi entrare dalla porta, sedersi sul bordo del letto e svegliarlo dolcemente, magari con una carezza. Ma quella speranza svanì quando sentì quegli stessi passi allontanarsi dalla porta della sua camera.
"Perché continui a sperare" pensò Tony, girandosi a pancia in su e appoggiando il dorso della mano sulla fronte. Con gli occhi fissava il soffitto, la sua mente cominciava ad affollarsi di pensieri e idee, troppe cose a cui pensare per essersi appena svegliato.
Chiuse gli occhi strizzandoli e si portò, nuovamente, la coperta fin sopra la testa.
Quel gesto lo faceva sentire sicuro, protetto da un mondo che lo rigettava e di cui, lui stesso, non voleva fare parte.
"Sarebbe stato tutto più facile se ti fossi sbarazzato di me quando ne avevi l'occasione, non è vero Howard?".
I suoi pensieri lo portarono negli anfratti più oscuri della sua mente, conducendolo a maledire, ancora, la sua stessa esistenza, percependola come una piaga per chiunque gli stesse attorno.
Tutte quelle idee geniali, quel modo stupendo di pensare che tanto lo caratterizzava, quella sua mente così brillante e fantasiosa, capace di concepire, in così poco tempo, macchine che una persona comune poteva solo vagamente immaginare nei suoi sogni più sfrenati, quegli occhi color nocciola sognanti, sempre volti al futuro, ora lasciavano spazio ad un Tony che lui stesso non riconosceva.
La sua aura, brillante e radiosa, si faceva da parte lasciando spazio ad un'anima cupa, carica di odio e ricoperta di cicatrici e ferite che faticavano a guarire, un animo spezzato, dal cuore trafitto di spine.
Ma quel Tony così cupo e triste, presto, sarebbe stato spazzato via dall'arrivo di Jarvis che, senza troppe cerimonie, irrompè nella camera del ragazzo.
Senza farsi troppi scrupoli, Il maggiordomo aprì la porta e, a passo deciso, si diresse verso la grande finestra che si trovava al centro della parete in fondo. Tirò la tenda e aprì le ante cigolanti della finestra poi, senza pensarci troppo, aprì anche gli scuri lasciando che, finalmente, il sole potesse illuminare a dovere quella stanza.
«Mhhhh...» mugugnò il ragazzo, rannicchiandosi sotto le coperte.
«È ora di alzarsi Tony» disse il maggiordomo voltandosi verso il letto dove, sotto ad un mucchio indefinito di lenzuola e coperte ammucchiate, si trovava il ragazzo, ancora mezzo addormentato.
Tony non accennava ad alzarsi, non aveva la minima intenzione di farlo, così Jarvis decise di ricorrere alle maniere forti.
Si avvicinò al letto e prese con decisione un lembo della coperta, la tirò via con forza esponendo il povero ragazzo all'accecante luce solare.
Tony era steso su un lato, rannicchiato su se stesso, addosso aveva solo un paio di boxer bordeaux e una maglietta bianca. Abbracciava stretto un cuscino con gambe e braccia, come se avesse timore che potessero portarglielo via da un momento all'altro. No, non poteva permetterlo, perché, in quel momento, quel cuscino era di vitale importanza per lui. Con movimenti fulminei lo portò sopra la faccia, nel tentativo di oscurare la luce che gli dava particolarmente fastidio, pur avendo gli occhi chiusi, ma Jarvis non era intenzionato a demordere. Prese il cuscino e lo strappò dalle mani del ragazzo.
«Jarvis!» brontolò ancora Tony, arrendendosi al fatto che, ormai, era arrivato il momento di alzarsi.
Lentamente, Tony aprì gli occhi. Portò istintivamente una mando davanti ad essi, proteggendoli dalla luce del sole. Quella mattina, la stanza gli sembrava più luminosa del solito, forse colpa dei suoi occhi che non riuscivano ancora a mettere propriamente a fuoco gli oggetti, o forse colpa dei nuovi pezzi di arredamento bianchi, che riflettevano la luce solare, irradiandola per tutta la camera.
Comunque sia, Tony era ancora assonnato e si sedette goffamente sul letto a gambe incrociate, si stiracchiò sbadigliando e con una mano, si stropicciò un occhio.
«Buongiorno Jarvis» gli disse sorridendo tra uno sbadiglio e un altro, la sua bocca era secca ed impastata.
Per Jarvis, quella visione valeva tutto. Vedere Tony, il suo figlioccio, sorridere così genuinamente di prima mattina, voleva dire che forse era riuscito a trovare, finalmente, un po' di pace.
«Buongiorno signorino. Si vesta, la colazione è pronta» disse il maggiordomo ripiegando la coperta e mettendola al suo posto.
«Che ore sono?» chiese Tony, non era ancora del tutto connesso con il mondo.
«Sono le 9:30 del mattino signorino, è ora di alzarsi» a quella frase, Jarvis girò i tacchi e si avviò verso la porta, ma venne fermato da Tony, che lo chiamò a gran voce.
«Jarvis!»
«Si signorino?»
«C'è un modo per farti smettere di chiamarmi in quel modo, e darmi finalmente del tu?» disse Tony con una leggera inflessione allegra nel tono.
Jarvis voltò appena la testa, quel tanto che bastava per vedere il giovane ragazzo.
Tony lo guardava con un lieve sorriso accennato in volto. Era ancora seduto sul letto a gambe incrociate, la schiena era incurvata in avanti, i gomiti erano appoggiati sulle cosce, gli avambracci abbandonati a peso morto e gli zigomi erano leggermente alzati.
I suoi occhi, seppur ancora gonfi e carichi di sonno, erano luminosi. Le iridi color nocciola risplendevano della luce solare, donandogli una colorazione più intensa e magnetica. Si, chiunque si sarebbe tuffato in quegli splendidi ed enormi occhi nocciola. Chiunque sarebbe rimasto catturato nella trappola di quello sguardo così magnetico e profondo ma, allo stesso tempo, spensierato e sognante.
I suoi erano occhi troppo complicati per essere compresi, eppure, chiunque li guardasse, voleva solo cadervi dentro ed esserne inghiottito, per cercare di capire il mistero che celavano.
Ma, nonostante tutto, per Jarvis quelli rimanevano sempre gli occhi di un bambino che amava sognare, così semplici da capire e dolci da guardare.
«C'è un modo, ed è quello in cui ti alzi, ti vesti, e scendi a fare colazione» disse Jarvis in tutta risposta, esaudendo il suo desiderio.
Tony sorrise genuinamente mostrando la sua dentatura perfetta e bianca, poi abbassò lo sguardo e, stropicciando un lembo della maglietta, si fece più serio «C'è anche mio padre?» chiese.
Non sapeva quale delle due risposte gli avrebbe fatto più male, sapere che avrebbe consumato la colazione in presenza di Howard, con il timore che si sarebbero messi a litigare o peggio ancora, lo avrebbe fissato per tutto il tempo con quell'aria d'insufficienza, oppure sapere che, come tutte le mattine da quando aveva memoria, l'avrebbe consumata da solo.
«Non credo, Tony. Ultimamente consuma tutti i pasti nel suo studio. Sta lavorando a qualcosa di importante, a suo dire. Ma non intende dire che cosa sia.»
A sentire quelle parole, Tony si rassicurò. Non avrebbe dovuto spiegare a suo padre, perché aveva gli occhi ridotti in quello stato, non sarebbe stato vittima dei suoi sguardi così giudicanti nei suoi confronti.
«Adesso vestiti, sennò faccio portare via tutto!» disse Jarvis mentre chiudeva la porta dietro di sè.
Tony, sorridendo, guardò l'uomo uscire dalla stanza, poi si alzò dal letto e, con estrema calma, si vestì. Mise su una maglietta dei Black Sabbath e un paio di pantaloni della tuta grigi, con il logo dell'università ricamato su un lato, il classico abbigliamento di qualcuno che aveva in mente di fare solo una cosa per tutta la giornata: oziare.
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Fire on Fire
FanfictionDAL CAPITOLO 5: «Io ti ho odiato Steve - riprese Tony - non ho mai odiato nessuno nel modo in cui ho odiato te. E Dio! Vorrei poterti odiare ancora, ma non posso... Non ci riesco». È il 1991, sono appena iniziate le vacanze di Natale, e gli studenti...