6 - L'uomo misterioso

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Quella mattina, Steve si svegliò presto. Il sole aveva appena cominciato ad albeggiare e gli uccellini emettevano i primi cinguettii. Il capitano si alzò lentamente facendo perno sulle mani, si mise seduto sul letto e si guardò intorno. La stanza era irradiata dei primi raggi solari che penetravano attraverso le tende, e l'aria era intrisa dell'odore della pioggia. Con le mani buttate indietro a sorreggere tutto il peso, Steve guardava attentamente tutto ciò che gli ricordava sua madre: la collana di perle, il suo vestito verde preferito appoggiato sulla sedia, lo specchio, il portagioie. Tutto in quella stanza, era rimasto come lo aveva lasciato lei prima di morire. Qualcosa si mosse nel letto alla sua destra. Steve abbassò lo sguardo e vide Tony dormire rannicchiato su se stesso. Si, difficile da credere, ma avevano passato la notte insieme. Nel guardarlo, ancora non riusciva a metabolizzare le parole che gli aveva detto l'altro pensando che stesse dormendo. Sorrideva mentre guardava quella dolce e delicata figura, bagnata da quei caldi raggi solari, dormire tranquillamente sotto quel lenzuolo, da cui riusciva a vedere solo dal naso in su. Il capitano lo guardò, e si chiese se potesse esistere un momento più perfetto di quello. Si alzò lentamente dal letto, facendo attenzione a non svegliarlo, e si diresse al piano di sotto, pronto per andare a correre.

L'odore di pancake e bacon arrivò fino al secondo piano impregnando l'aria. Tony aggrottò le sopracciglia; come tutte le mattine, non voleva alzarsi. Aprì lentamente gli occhi, la luce del sole lo infastidiva. Tirò fuori completamente la testa da sotto il lenzuolo e guardò il posto di fianco al suo, di Steve non vi era più traccia. Si girò nel letto mettendosi a pancia in su, chiuse gli occhi e si portò le mani strette a pugno sulla fronte "Che cazzo ho fatto" pensò, mentre cominciava a rivivere tutto ciò che era successo la sera prima. Steve che lo inchiodava al muro, quel bacio agognata che si stavano per dare, lo sciame di stelle cadenti che solcava il cielo notturno, il suo monologo al capitano mentre dormiva, o almeno così era convinto. Si, tutto adesso aveva un senso.
Aprì gli occhi, fissò il soffitto per poi portare lo sguardo fuori dalla finestra. Il sole era già alto nel cielo, ad occhio e croce dovevano essere circa le sette, forse le otto del mattino. Si alzò dal letto mettendosi seduto sul bordo. Si incurvò in avanti e appoggiò i gomiti sulle cosce, portando una mano sulla faccia e lasciando l'altra a penzolare. Si massaggiò gli occhi, poi si guardò di nuovo intorno. Si chiedeva perché fosse andato in camera del capitano, perché avesse detto tutte quelle cose alla sua figura dormiente. Ma era inutile, nessuno avrebbe potuto dargli le risposte che voleva, se non se stesso. Annusò l'aria, sentiva distintamente il profumo dei pancake e udiva lo sfrigolio del bacon sulla padella. Si alzò dal letto e scese lentamente le scale, ancora non era del tutto connesso con il mondo, le due notti passate in bianco, o quasi, cominciavano a farsi sentire. Arrivato in fondo alla rampa, Tony si diresse in cucina, lasciandosi guidare dall'odore che impregnava l'aria. Appena varcata la soglia, ad accoglierlo vi trovò la figura del capitano messo di spalle, con i capelli bagnati e un asciugamano in torno al collo, segnale indistinto che si era fatto una doccia. Osservava i suoi movimenti decisi, mentre cucinava la colazione. Tony sorrise a mezza bocca, lo guardava con occhi dolci, ricordando quello che gli aveva detto la notte prima. Scosse la testa come a voler mandare via quei pensieri, poi incrociò le braccia e si appoggiò alla cornice dell'entrata «Quindi sai anche cucinare adesso?» gli disse con un tono beffardo e giocoso.
Steve si girò di scatto, guardò Tony appoggiato all'entrata della cucina, sorridere e prendersi gioco di lui.
«Diciamo che me la cavo» gli rispose il capitano sorridendo e girandosi per finire di cucinare.
Tony si avvicinò mettendosi di fianco a lui. Lo guardava mentre finiva di cucinare gli ultimi pancake.
«Dov'eri finito?» gli chiese curioso il ragazzo, mentre osservava la spatola girare quelle delizie.
«Cosa intendi?» chiese a sua volta Steve.
«Prima, quando mi sono svegliato».
«Mi sembra ovvio no?» rispose scherzosamente il capitano, evidenziando la quantità di pancake e bacon nel piatto.
«Scemo» ribatté ridendo Tony.
Il capitano girò l'ultimo pancake «Mi sono alzato presto per andare a correre» gli rispose, mentre prese con la spatola ciò che rimase nella padella e lo mise sul piatto.
«Dai, siediti a tavola» gli disse Steve togliendosi l'asciugamano dal collo e posandolo su una sedia, per poi prendere in mano il piatto.
Come un bambino a natale, Tony corse verso la sala da pranzo. Al contrario di quella a cui era abituato, questa era piccola e modesta. Un tavolo non troppo grande si trovava al centro della stanza, e attorno ad esso vi erano posizionate sei sedie. Sotto di queste, un tappeto in stile persiano che, a giudicare, aveva visto giorni migliori. Appoggiate alle pareti, delle vetrinette tirate a lucido, con dentro l'argenteria e alcuni dei piatti decorati, forse quelli più belli, o di valore affettivo. Dal soffitto scendeva un lampadario modesto, leggermente in contrapposizione con l'intero arredamento della stanza.
Mentre il capitano camminava tranquillo e sereno verso la sala da pranzo, Tony aveva già dichiarato a gran voce, dall'altra stanza, l'appropriazione indiscussa del posto a capo tavola. Steve sorrise a quella esclamazione, mentre varcava la soglia di quel locale. Vide Tony che era già seduto, teneva salde la forchetta e il coltello in mano, pronto a scattare non appena il capitano avrebbe appoggiato il piatto di bacon e pancake di fronte a lui. Ancora prima che quest'ultimo toccasse il tavolo, Tony ne aveva già agguantato la metà, lasciandone il resto. Steve prese ciò che rimase, lo mise nel suo piatto e, insieme al ragazzo, consumò tranquillamente la colazione.

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