Il cielo cominciava a rischiararsi dei primi raggi di un sole che vedeva sbocciare la vita sotto di se. In lontananza si potevano ancora vedere l'oscurità della notte e le luci delle stelle scappare lontano dagli occhi, e nascondersi dietro l'orizzonte insieme a quei taciuti segreti che si sarebbe portata via la notte.
«Friday? Aggiornami» disse Tony in uno sbadiglio.
«Per il momento è tutto tranquillo» rispose la nuova IA.
Tony sbuffò con il naso, armeggiando con i comandi del quinjet «Va bene...» disse tra se e se. Ormai erano in viaggio da ore, e chi più e chi meno, tutti in quel velivolo dormivano. Tutti, eccetto Tony. Sì, lui era rimasto ai comandi per tutto il tempo, gli occhi puntati sull'orizzonte irraggiungibile, che ora si stava accendendo di una luce purpurea sotto il suo vigile sguardo. Steve gli era rimasto accanto come meglio aveva potuto, ma alla fine, era crollato anche lui lì, accanto a lui. Ognuno in quel velivolo dormiva, trasportati in quella terra dei sogni che al meccanico sembrava essere soltanto un miraggio. Di tanto in tanto sentiva il capitano mugugnare qualcosa di incomprensibile, e vedeva il suo volto contrarsi leggermente in variopinte espressioni. Tony sorrideva a quella scena, anche se il suo cuore, in una maniera a lui estranea, provava del risentimento. Si, anche lui, come tutti gli altri, avrebbe voluto dormire, ma gli era impossibile, la sua testa non glielo permetteva. Il suo cuore era ancora tormentato da quel sentimento di pericolo che non gli dava un attimo di tregua, e la sua mente frastornata dalla terrificante idea di non sopravvivere allo scontro. Tutto questo lo lasciava guardingo a scrutare ogni singolo movimento. Ma lo doveva fare, non c'era altra soluzione. Ormai non poteva più tirarsi indietro, c'era troppo in gioco. E quindi avrebbe affrontato lo scontro con il cuore in pace, e con la consapevolezza di dover godere di tutti quei piccoli momenti che avrebbero preceduto la battaglia. E in quel vagare, perso negli anfratti più bui della sua mente, guardava le stelle correre lontano da lui, e malinconico, pensava a tutte quelle parole che avrebbe voluto dire a Steve, per fargli capire che, qualunque cosa sarebbe successa, aveva il cuore in pace. Si, non avrebbe cambiato una virgola del suo passato, e se avesse potuto, avrebbe rifatto tutto da capo, così, come era stato fatto. Se era con Steve, lo doveva solo all'eventualità della vita, a quel destino scritto nelle stelle che risplendevano sopra la sua testa ogni notte. E con movimenti cauti, quasi avesse paura di svegliare il resto della squadra, Tony si alzò dalla sedia, si stiracchiò, e in un profondo sbadiglio, si girò nel sentire il capitano sussurrare qualcosa e rigirarsi. Il meccanico lo guardò, scese dalle scalette e afferrò una coperta, tornò indietro e vi avvolse il capitano. Gli diede un tenero bacio sulle labbra, e si rimise a sedere. Inevitabilmente, il suo pensiero andò anche a Peter, che contro il volere del ragazzo, lo aveva relegato in una stanza dello S.H.I.E.L.D., sorvegliato da una decina di agenti, con il preciso ordine di non farlo uscire. E sotto il suo sguardo, mentre la vista gli diventava sempre più annebbiata, il mattinò arrivò, portando con se l'immagine di Sokovia.
«Friday? Quella è...»
«Sokovia, signore».
Tony rimase fermo a fissare la città che lentamente si avvicinava, sgranò appena gli occhi in segno di stupore e si passò una mano sulla faccia «Ragazzi - disse il meccanico svegliando tutti i passeggeri - guardate. Siamo arrivati»
Ognuno, all'interno del jet, si alzò e si avvicinò al meccanico per guardare meglio. Sopra quella città, il cielo era stranamente ricoperto di nuvole grigie, che annunciavano pioggia.
«Prepariamoci - disse Natasha con tono fermo - ho il presentimento che non sarà una passeggiata».Steve stava controllando lo scudo quando, improvvisamente, vide davanti a se il meccanico barcollare, mentre camminava verso la sua armatura. Lo guardò incuriosito per qualche secondo, giusto il tempo di vederlo andare a sbattere con la spalla contro la parete del quinjet.
«Tony - lo chiamò il capitano - stai bene?».
Il meccanico si voltò, il suo volto, per quanto si sforzasse, mostrava i segni di quella notte passata in bianco «Si, non ti preoccupare» rispose reprimendo uno sbadiglio e voltandosi, dandogli le spalle.
Steve sospirò e lo guardò mentre armeggiava con degli attrezzi. Sbatté leggermente le mani sulle cosce e si alzò, avvicinandosi lui «Non mentirmi Tony».
Tony si fermò, abbassò la testa e guardò per un breve secondo lo straccio sporco e l'oggetto che aveva in mano. Sospirò nel realizzare che ormai, il capitano lo conosceva fin troppo bene, e mentirgli non aveva più senso. Con un movimento deciso, il meccanico alzò la testa, piegandola leggermente di lato, e lo guardò dritto negli occhi. Lo sguardo di Steve era serio, le sopracciglia leggermente aggrottate e la bocca serrata.
«Non hai dormito nemmeno questa notte?» chiese retoricamente il capitano, sapendo già quale fosse la risposta.
«Tu che dici Sherlock?» disse altrettanto sarcastico e scontroso il meccanico, lanciando svogliatamente lo straccio in un angolo lontano, dietro l'armatura.
Il capitano rimase impassibile, Tony teneva gli occhi puntati in direzione dello straccio «Scusa io... Si. Non ho dormito» concluse senza guardarlo.
Steve sospirò abbassando la testa «Me lo avevi promesso» disse a bassa voce, ma facendo in modo che, comunque, lo sentisse.
Tony inspirò profondamente, e senza rispondere, si allontanò verso i comandi del quinjet. Il capitano lo guardò «Tony non puoi continuare ad ignorare il problema!» disse andandogli dietro.
«Certo che posso. E ho intenzione di continuare a farlo» rispose Tony senza voltarsi.
Steve scattò in avanti e lo afferrò per la spalla «Tony fermati».
Il meccanico si fermò «Mollami» controbatté ringhiando, e senza nemmeno voltarsi.
«Costringimi» ringhiò altrettanto il capitano.
Improvvisamente, Tony si voltò di scatto, le iridi che bruciavano di quelle meravigliose fiamme furiose si scontrarono con quelle azzurre del capitano, in preda a quella che sembrava una maestosa e violenta tempesta.
«Ma che cosa vuoi da me Steve?!» disse Tony sfidandolo.
Il capitano non indietreggiò, gli occhi puntati in quelli del meccanico «Voglio che per una volta mi ascolti» rispose Steve.
Tony lo fissò per una frazione di secondo. Vedeva i muscoli della mandibola di Steve contrarsi e rilassarsi, mentre i suoi occhi erano concentrati nei suoi. Era lecito, pensò Tony, che il capitano fosse preoccupato per lui, alla fine era questo che faceva una persona innamorata, no? Ma era impossibile che capisse cosa stava accadendo nella sua testa.
«Pensi che sia facile?! - cominciò il meccanico - Pensi che lo stia facendo di proposto eh?! Stare sveglio notte dopo notte?! Beh ti sbagli!».
Il capitano rimase immobile mentre, all'interno del quinjet, l'atmosfera si faceva sempre più pesante.
«Tu non hai la minima idea di cosa voglia dire vivere con il costante senso di colpa per il casino che ho fatto. E non puoi nemmeno immaginare cosa voglia dire convivere con tutto quello che mi ronza sempre in testa!».
Il capitano rimase immobile. Aveva già provato, altre volte, a cercare di capire cosa stesse passando Tony, ma era impossibile, nessuno lo sapeva.
«Tu la fai facile! - continuò il meccanico dandogli le spalle per poi girarsi di scatto e additarlo - D'altronde tu sei Captain America, il soldato perfetto! Il dannato pupillo del paese! Spariscono tutti accanto a te!».
«Tony, ora stai esagerando» disse Steve pacato.
«No! - controbatte Tony avvicinandosi a pochi centimetri dalla sua faccia, lo sguardo furioso e i muscoli tesi - tu stai esagerando Steve» ringhiò.
«Ragazzi, calmatevi» disse Natasha intromettendosi nel discorso.
Tony si voltò di scatto verso di lei, gli occhi che bruciavano di pura ira «Ed eccola! Sempre pronta a mettersi in mezzo a questioni in cui non c'entra niente!» disse avvicinandosi a lei.
Natasha lo guardò, i loro volti a pochi centimetri l'uno dall'altro. Era chiaro che Tony era in preda ad un esaurimento nervoso, d'altronde, chi non lo sarebbe in quella situazione. La Vedova Nera si domandò, ormai, da quanto tempo il meccanico non stesse più dormendo la notte, mentre sul suo volto si facevano sempre più evidenti i segni della stanchezza.
«Non dire cose di cui potresti pentirti» sussurrò la donna fissandolo dritto in quegli occhi color nocciola.
«Tony, lasciala stare» disse Steve avvicinandosi a lui e prendendolo per una spalla.
Il meccanico si scrollò la sua mano di dosso «Steve non-» provò a dire mentre si voltava verso di lui. Improvvisamente, il quinjet cominciò a tremare, mentre qualcosa impattò contro di esso. Tutti all'interno del velivolo, persero l'equilibrio, cadendo a terra. Tony si sbilanciò in avanti, atterrando sopra il capitano. Il meccanico alzò la testa, i due si guardarono negli occhi e rimasero lì per qualche secondo, giusto il tempo di provare a realizzare cosa stesse accadendo.
«Stai bene?» disse il capitano spaventato.
«Si» rispose Tony.
Con un movimento confuso, il meccanico, aiutato dal capitano, si alzò a fatica e si diresse verso i comandi del quinjet.
«Che cosa sta succedendo Tony?!» urlò Natasha da infondo al jet.
«Ci hanno colpito! - rispose Tony avvicinandosi ai comandi per guardare fuori - qualcosa si è portato via un pezzo dell'ala».
Il capitano guardò ciò che stava oltre al parabrezza: frammenti di ricordi lontani tornarono alla sua mente, rivivendo quello schianto che lo fece cadere nei ghiacci, verso ciò che pensò, sarebbe stata la sua morte. Improvvisamente, gli venne una stretta al cuore, e gli sembrò come se qualcuno gli si fosse seduto sul petto. Le gambe cominciarono a tremargli fino a perdere completamente la loro forza, cadendo a terra. Nel sentire quel tonfo, il meccanico si voltò: Steve era seduto scomposto sui gradini che portavano alla postazione dei comandi. Era appeso con una mano allo schienale del sedile del copilota, l'altra, invece, premuta contro il gradino, nel tentativo di sorreggere tutto il peso del suo corpo. La testa piegata di lato e lo sguardo confuso, diretto chissà dove.
«Merda! - ringhiò il meccanico nel vederlo in quelle condizioni - Nat! Prendi i comandi!» urlò.
In uno sforzo immane, la Vedova Nera raggiunse la postazione.
«Cerca di tenerlo dritto» disse Tony poco prima di precipitarsi dal capitano che, ancora, non riusciva a respirare.
«Steve? - lo chiamò - hey Steve, guardami» gli disse dandogli due leggeri schiaffetti sulla guancia.
Il capitano lo guardò, gli occhi sgranati di chi non capiva cosa stesse accadendo.
«Tony...»
«Steve, cerca di respirare ok? Tranquillo, non ti succederà niente».
«No Tony, l'aereo- » disse Steve dimenandosi.
«No, hey Steve! - disse Tony cercando di bloccarlo - tranquillo, non stiamo cadendo nel ghiaccio».
Per un breve secondo, il capitano si fermò, perso negli occhi del meccanico. Quella fiamma di pura rabbia che vi bruciava poc'anzi, adesso era sparita, spenta. Al suo posto, un placido fuoco che trasmetteva il calore e la tranquillità di cui ora, Steve aveva un disperato bisogno. E lentamente, percepì il suo respiro tornare come prima, mentre la confusione nella sua testa, si dissipava come la schiuma dell'oceano. Per una frazione di secondo, Steve spostò lo sguardo, guardava la mano di Tony tenere stretta la propria, il braccio piegato, il bicipite contratto. Poi, tornò a guardare il suo volto, il suo sguardo serio ma rassicurante, i suoi capelli scompigliati dalla caduta di prima.
«Ti ricordi quello che mi hai detto?» gli chiese il meccanico nel tentativo di calmarlo.
«Cosa?» disse ancora leggermente confuso il capitano, mentre i suoi pensieri, lentamente, si rischiaravano da quella foschia che si era annidata nella sua mente.
«La scorsa notte, cosa mi hai detto?».
Il capitano respirò, i loro occhi incatenati gli uni agli altri.
«Combatteremo...» cominciò a dire il meccanico.
«Questa battaglia insieme». Concluse Steve.
Tony sorrise leggermente «Esatto capitan ghiacciolo, combatteremo questa battaglia insieme».
Steve si bloccò perso nei suoi occhi «E se perderemo?» disse il capitano ancora con il fiato ancora leggermente affannato.
«Allora faremo anche quello insieme».
Si, Tony aveva preso quelle sue stesse parole, e le aveva usate contro di lui. E improvvisamente, nel cuore del capitano si instaurò un senso di pace, mentre sentiva che lentamente, riprendeva il controllo del suo corpo.
«Riesci ad alzarti?» gli chiese il meccanico.
Steve lo guardò e gli fece cenno di sì con la testa. Tony, che lo teneva ancora per mano, lo tirò su di peso «È questo lo spirito, capitano».
In piedi, l'uno di fronte all'altro, le loro mani ancora strette tra di loro. Si guardarono ancora per un breve secondo negli occhi, attimi che sembravano durare un'eternità.
«Ragazzi! - urlò Natasha - preparatevi! Non sarà un bell'atterraggio!».
I due si guardarono ancora per qualche secondo negli occhi, mentre sotto i loro piedi, il quinjet continuava a tremare.
«Forza capitano - disse Tony interrompendo il contatto visivo e voltandosi - preparia-» improvvisamente, il meccanico venne tirato indietro.
Steve, che ancora lo teneva per mano, lo tirò a se, e prendendo il suo volto, lo portò vicino al suo, baciandolo. Tony da subito sgranò gli occhi, per poi abbandonarsi al momento. Con tutta probabilità, quello sarebbe stato il loro ultimo bacio, l'ultima volta che avrebbe assaporato quelle labbra, e voleva fare tesoro di tutto quello che rappresentava quel momento perfetto.
«Scusami» sussurrò il capitano, le loro fronti appoggiate l'una all'altre, la sua mano appoggiata sulla guancia del meccanico, mentre accarezzava con il pollice la sua barba incolta.
«Non devi scusarti. Non c'è niente per cui chiedere scusa» rispose con una leggera risata il meccanico.
«Tony!» urlò Natasha, che faticava a tenere il quinjet dritto.
Il meccanico corse da lei, e in meno di un secondo capì che la situazione era più grave di quello che pensasse.
«D'accordo...» disse il meccanico tra se e se, mordendosi leggermente il labbro inferiore.
Improvvisamente si voltò e corse verso l'armatura che era caduta a terra. Steve lo guardò incuriosito «Che cosa vuoi fare?» gli chiese con leggera preoccupazione nella voce.
«Vado fuori e faccio atterrare questo coso» disse Tony, mentre l'armatura si chiudeva attorno al suo corpo.
«Che cosa?!» dissero in coro Steve e Natasha.
Tony fece per indossare il casco, ma il capitano lo bloccò afferrandogli saldo il polso «Morirai» disse serio.
«Moriremo comunque se questo affare si schianta. E comunque te l'ho già detto, non voglio avervi sulla coscienza. - rispose il meccanico guardandolo dritto negli occhi - È l'unico modo Steve».
Il capitano lo guardò, poi alzò la testa di scatto nel sentire la fusoliera vibrare violenta. Il quinjet si piegò su un lato, facendo sbattere l'intera squadra contro la parete dei velivolo. In uno sforzo, Natasha cercò di raddrizzalo. Tony si staccò dalla parete «Apri il portellone» disse mettendosi il casco.
«Tony aspetta!» urlò il capitano.
Il meccanico si fermò e si voltò. I led della maschera sigillata brillavano lievi, ma a Steve sembrò come se riuscisse a vedervi attraverso.
«Buona fortuna» disse il capitano con tono serio.
Se solo Steve avesse potuto vedere il volto del meccanico oltre quella maschera, avrebbe visto il viso di un uomo che aveva paura, e che cercava di memorizzare quella immagine, che forse, avrebbe visto per l'ultima volta. Tony rimase immobile per qualche istante, conservando il ricordo del suono della sua voce, per poi fare cenno di si con la testa, mentre alle sue spalle, il portellone del quinjet si apriva. E in quell'istante, Iron Man volò fuori, mentre Steve, in piedi al centro del velivolo, lo guardò sfrecciare via.
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Fire on Fire
FanfictionDAL CAPITOLO 5: «Io ti ho odiato Steve - riprese Tony - non ho mai odiato nessuno nel modo in cui ho odiato te. E Dio! Vorrei poterti odiare ancora, ma non posso... Non ci riesco». È il 1991, sono appena iniziate le vacanze di Natale, e gli studenti...