La sveglia suonò. Come tutte le mattine, Tony non si voleva alzare, ma quel maledetto suono robotico non lo voleva lasciare in pace. Prese la sveglia e la gettò lontana, rompendola. Finalmente la quiete quando, improvvisamente, le tende si aprirono, sprigionando l'accecante luce solare.
«Aaah! Jarvis!» urlò Tony rintanandosi sotto le coperte.
«Buongiorno signore. È mattino, si deve alzare» rispose l'IA della casa.
Si, erano passati sei anni dalla morte di Jarvis. Ormai Tony era un'uomo adulto e di successo. La sua influenza nel mercato bellico gli era costata cara, al punto che un gruppo di terroristi, finanziati dal suo compagno in affari Obadiah Stane, lo aveva rapito, nascondendolo in una grotta dispersa nelle montagne desertiche dell'Afghanistan. Durante l'attacco, però, Tony era rimasto gravemente ferito da un missile delle industrie Stark, esploso a pochi passi da lui. Riuscì a sopravvivere solo grazie all'incontro e all'intervento repentino di un singolare, quanto curioso, uomo che, proprio come a lui, gli era capitata la stessa sorte. Quell'uomo si chiamava Yinsen, e grazie alle sue peculiari conoscenze, era riuscito a salvargli la vita. Strano a dirsi, ma Tony per la prima volta in vita sua, era debitore. Ma quel debito lo avrebbe saldato negli anni a venire, si, perché dopo un organizzato, quanto disastroso, tentativo di fuga, Yinsen si sacrificò per permettere a Tony di salvarsi la vita. E fu lì, avvolto da un'armatura di latta e pezzi di fortuna, con il corpo morente di quell'uomo tra le mani, che nacque Iron Man. Si, Tony gli aveva promesso che non avrebbe più sprecato la sua vita a produrre armi, che avrebbe fatto qualcosa di buono con questa seconda possibilità che gli era stata concessa. E mentre guardava Yinsen esalare il suo ultimo respiro, e osservava la vita lasciare il suo corpo, Tony realizzò che anche lui, esattamente come tutti gli altri, era entrato a far parte di quei fantasmi che si sarebbe portato dietro fino alla morte. Al suo ritorno, Tony si era dedicato anima e corpo a perfezionare la sua nuova armatura, e passo dopo passo, missione dopo missione, era riuscito a sconfiggere non solo i terroristi, ma anche Obadiah. Il mondo poi, conobbe il volto dietro quella maschera di ferro, e tutto acclamarono il grande Tony Stark. Ma a lui, questo non bastava. No, tutte quelle feste, la moltitudine di donne con cui finiva a letto ogni singola notte, l'amore collettivo che il mondo provava per Iron Man erano volte soltanto a nascondere il suo vero dolore. Semplicemente, Tony non voleva rimanere da solo. Ancora, a distanza di anni, quella pressante sensazione di vuoto, e l'idea che non avrebbe trovato nessuno al suo risveglio li, accanto a lui, lo terrorizzava. Per questo aveva cominciato ad andare a letto con una donna diversa ogni notte, almeno, così, quel vuoto sarebbe stato, in qualche modo, riempito. Ma comunque sia, anche così, quella sensazione, comunque non si placava, e mentre le sue innumerevoli avventure di una notte dormivano beate, rannicchiate sotto quelle delicate lenzuola di seta, Tony passava gran parte della notte in piedi, con un bicchiere di Whisky in mano, mentre guardava la luce della luna solcare quelle acque scure e profonde, immaginandosi che il capitano si trovasse li, disperso da qualche pare nell'oceano.
Il sole risplendeva, Tony si girò dall'altra parte cercando di ignorare Jarvis, ma la flebile luce del reattore che aveva al petto, gli dava comunque fastidio. Così si alzò e si mise seduto sul bordo del letto, i postumi della boria cominciavano a farsi sentire e a martellargli pesantemente le tempie. Con gli occhi ancora impastati dal sonno, guardò il meraviglioso panorama che gli si presentò davanti: un'infinita distesa di acqua cristallina, illuminata dai bagliori accecanti del sole. Il cielo era altrettanto azzurro, e non vi era una singola nuvola a sfregiarlo. Un briciolo di malinconia si instaurò nel suo cuore quando vide quello splendido panorama, e per un fugace momento, i suoi pensieri ricaddero sul ricordo annebbiato del capitano. Improvvisamente, i suoi pensieri vennero interrotti dal leggero rumore di passi provenire dal bagno: una giovane ragazza bionda, con i capelli scompigliati e con indosso una delle sue camicie, gli si palesò davanti, più confusa di lui. «Prendo la mia roba e me ne vado - disse lei guardandolo e cercando, in tutti i modi, di sembrare presentabile - Ti farò riavere la tua camicia».
«Nah, tienila. - le disse lui, seguito da un gesto della mano - La signorina Potts, la mia assistente, provvederà a chiamarle un taxi» disse guardando Pepper che si apprestava ad entrare nella stanza.
«Certo signore. Dove è diretta?»
«Brooklyn» rispose la ragazza.
"Brooklyn..." pensò Tony con lo sguardo perso nel vuoto. Si, da quando era tornato da quel suo viaggio nel tempo, non aveva più osato mettere piede a Brooklyn. Era una cosa troppo dolorosa per lui, e il solo pensiero che una sola di quelle piccole cose fosse rimasta immutata nel tempo, come quel maledetto negozio, o il bar dove si erano rintanato assieme al capitano, in quella gelida notte, lo faceva soffrire. Si, quei ricordi erano troppo dolorosi, frammenti di una vita passata, di un amore perduto, o forse, quell'amore non era mai stato veramente suo. In qualche maniera, negli anni Tony si era convinto che il capitano fosse andato avanti, e che era riuscito a dimenticarlo, ma questo non valeva per lui. No, nonostante tutti gli sforzi, Tony non era riuscito ad andare oltre, l'amore che provava per Steve era ancora troppo forte, e anno dopo anno, questo non faceva altro che rafforzarsi. Ma nel profondo del suo cuore, sapeva che struggersi e fustigarsi così tanto per un amore ormai passato, non aveva senso. Ma questo, comunque, era più forte di lui.
«Le ricordo che tra un'ora ha l'incontro con i delegati- disse Pepper, interrompendo i suoi pensieri - e poi deve...» questa volta fu Tony a interromperla.
«Non può andarci lei?» gli chiese voltandosi e guardandola negli occhi scherzosamente.
«Io sono solo un'assistente».
Tony girò di nuovo la testa, e con una smorfia pensierosa in viso, guardò ancora l'oceano davanti a sé, poi si alzò di scatto dal letto, sfregò le mani l'una contro l'altra e, a passo deciso, si diresse nella cabina armadio, ignorando la presenza della ragazza che, accompagnata da Pepper, si ritrovò fuori dalla porta di casa. Tony prese un completo grigio e lo indossò, aprì il cassetto degli orologi, ne prese uno e, dal lato, tirò fuori un piccolo foglio spiegazzato e lo mise nella tasca interna della giacca, poi scese giù in garage, seguita a ruota da Pepper. Non appena varcò la soglia, le luci di quel laboratorio si accesero, illuminando l'ambiente. Tony aveva deciso di rimanere fedele al suo passato, non importava quanto spazio avesse in casa, il suo laboratorio si sarebbe dovuto trovare in garage. E come sempre, quel posto era in disordine. I monitor del computer si accesero al suo passaggio, rivelando dati e informazioni in continuo mutamento. Un piccolo divanetto in pelle nera si trovava davanti alla televisione, sotto di questa, un piccolo camino in marmo nero. Appeso su una parete poco illuminata, il vecchio scudo impolverato e sporco del capitano stava li, sovrano nascosto della stanza, lontano dalla luce, ma abbastanza visibile per poter ricordare a Tony perché lo avesse tenuto. In un angolo, una vecchia automobile fiammeggiante smontata. Si, Tony stava dando adito al suo ormai storico soprannome, il "meccanico", dilettandosi nel riparare quella vecchia automobile. Appena voltatosi, una schiera di macchine lussuose, dalle linee dolci ed accattivanti, venne illuminata dalle luci artificiali di quel luogo, che si accesero in fila una dietro l'altra. Prese la sua preferita, un' Audi r8 bianca, vi montò dentro e guardò Pepper che, in piedi di fianco alla portiera, lo guardava con la sua solita espressione tra il divertimento e la rassegnazione.
«Non aspettarmi in piedi, cara» disse lui sorridendo e mettendosi gli occhiali da sole.
«Non lo avrei fatto comunque, signore» rispose lei, mentre il rombante suono del motore rimbombava in quella stanza, accentuandone il frastuono. Ancora, il rombo del motore mentre accelerava, le gomme che stridevano contro l'asfalto liscio del garage, l'auto che partiva in tutta fretta, diretto verso le Stark Industries. Mentre guidava, il suo sguardo venne nuovamente rapito dall'oceano, e ancora una volta paragonò ciò che vedeva agli occhi di Steve. Si, gli mancavano da morire quegli occhi, ma più di tutto, gli mancava il modo in cui lo guardavano.
«Avremmo potuto fare di tutto insieme, non è così Steve?» disse mentre, malinconicamente, distolse lo sguardo dall'oceano, per riportarlo sulla strada.
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Fire on Fire
FanfictionDAL CAPITOLO 5: «Io ti ho odiato Steve - riprese Tony - non ho mai odiato nessuno nel modo in cui ho odiato te. E Dio! Vorrei poterti odiare ancora, ma non posso... Non ci riesco». È il 1991, sono appena iniziate le vacanze di Natale, e gli studenti...