Prologo *

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LA STORIA È IN FASE DI REVISIONE, PERTANTO AD OGNI CAPITOLO CON QUESTO SIMBOLO "*" EQUIVARRÀ LA NUOVA VERSIONE GIÀ REVISIONATA

Nessuna realtà è più scontata di un'altra.
Nessuna verità è più giusta di una a lei simile.
Nessun cuore merita ciò che qualcun altro non vuole per il proprio.
Ogni vita è stata scritta per un motivo.
Ogni storia è stata scritta per rimanere tale.

Spesso mi sono ritrovata a pormi delle domande a cui continuamente cercavo di dare delle risposte. Mi sono ritrovata a domandarmi il perché a me, il perché io abbia dovuto imparare ad essere forte così in fretta... eppure mai trovai una risposta. Mai riuscii a scorgerne un brandello di motivazione, una subdola bugia o una benevola verità. Mai nulla attorno a me aveva avuto il modo di farmi comprendere perché, sin dall'età di tre anni, io fossi destinata a passare una vita in compagnia di qualcosa che non volevo, che non avevo chiesto, ma che mi era stato dato con cattiveria e spietatezza. Così decisi di non pormi più domande, affrontando il tutto nel silenzio più duro da mantenere che mai conobbi. Spensi la mente e mi abbandonai alla realtà, e al fatto che ero destinata a combattere quella battaglia per molto, probabilmente fino all'ultimo dei miei giorni.
«Tesoro, vado a prendere un caffè da portar via, giuro che mi sbrigherò e che...»
«Mamma, vai tranquilla» le dissi girandomi verso di lei che mi guardava con paura. «Sto bene, vai a bere quel caffè e fallo con tutta la calma che puoi».
Lei mi guardò ancora per un po', finché non le feci cenno di andare lasciandomi da sola. Mi guardai un po' attorno quando la porta si chiuse alle sue spalle, facendo cadere per l'ennesima volta lo sguardo su quelle bianche pareti monotone e noiose. Era certo che quella struttura avesse una notevole età, lo si capiva dalle condizioni strutturali che aveva. Il pavimento era coperto da mattonelle grigio chiaro che mettevano solo meno tranquillità quando le si guardava, accanto al mio letto c'era un vecchio armadio di piccole dimensioni e, accanto ad esso, una grande finestra contornata da semplici tende bianche era ben visibile e utilizzabile per guardarne al di fuori grazie alla piccola poltrona che c'era davanti. Mi alzai esausta di stare sdraiata a non fare nulla, per poi andarmi a sedere su di essa e spostare lo sguardo da quelle quattro mura d'ospedale al cielo azzurro che decorava Seattle. Assurdo pensare quanto la vita potesse essere diversa per ognuno nello stesso momento. Lì fuori questa continuava imperterrita, e lo si notava dalle auto che si muovevano in continuazione da una parte all'altra della città. Gente che correva, altra che raggiungeva il suo lavoro grazie ai mezzi pubblici... e poi c'eravamo noi. Noi che eravamo costretti a stare dentro stanze più monotone che mai, a stare sdraiati su letti con il senso d'impotenza di non potercela fare a sconfiggere i nostri nemici. Ognuno di noi aveva una storia da raccontare, storia che però era limitata a quattro pareti verniciate di bianco.
Sospirai, abbandonandomi alla vista di Seattle con gli occhi di una ragazzina ancora giovane, che però conosceva il dolore dopo averlo toccato con le proprie mani. A dieci anni tutti si sentivano in obbligo di proteggerti, e certamente ciò aumentava quando l'asma ti faceva piegare a terra, perdente dell'ennesima battaglia compiuta.
«Tesoro mio...» disse una voce rauca alle mie spalle. Mi voltai di scatto e proprio lì, sulla soglia della stanza, vidi il mio grande eroe in tutta la sua preoccupazione.
«Papà!» Urlai scendendo dalla poltrona e correndo tra le sue braccia. Lui mi strinse forte a sé, avvolgendomi con desiderio di proteggermi dal mondo. «Sei tornato!»
«Si tesoro, non potevo non farlo... vieni, sediamoci sul tuo letto».
Io e papà iniziammo a parlare, finché mia madre non ci raggiunse stupita del suo arrivo.
«Tesoro, ce l'hai fatta...» disse lei venendo verso di lui e riparandosi tra le sue forti braccia.
«Non avrei potuto non farlo, non dopo ieri» disse guardandomi con tristezza. «Tuo fratello dov'è?»
«L' ho fatto andare a scuola, non volevo perdesse un'altra lezione» rispose lei sistemandogli con le mani i capelli in disordine. Poco dopo sentimmo bussare alla porta, la stessa che mostrò poi la figura del dottore che si stava prendendo cura di me.
«Buongiorno signori Brown».
«Buongiorno, come sono andate le analisi?» Chiese subito mia mamma guardandolo con ansia. L' uomo sospirò, posando i suoi grandi occhi azzurri sulla mia esile figura coperta da un semplice pigiamo rosa.
«Vorrei che veniste fuori, per non parlarne davanti ad Alice».
«Non se ne parla, io voglio ascoltare!» Dissi più determinata che mai. I miei genitori si scambiarono degli sguardi fugaci, che terminarono però con un debole sorriso di mio padre che prese poi ad accarezzarmi la gota destra.
«È meglio che lo sentiamo prima noi Ali, dopo ti diremo tutto ciò che vorrai sapere» disse semplicemente, costringendomi a stare a letto mentre loro uscirono dalla stanza. Decisi di fare di testa mia, traendo vantaggio dalla mia enorme testardaggine, ed andai ad origliare da dietro quell'asse di legno bianca e rovinata.
«La prego dottore, vada dritto al sodo...» chiese mia madre terribilmente in ansia. Lo si comprendeva dalla voce tremante, dal tono basso e incerto con cui porse quella domanda indiretta. Voleva sapere cosa mi fosse successo, ma al contempo ne era tanto terrorizzata da non essere completamente disposta ad accettare la realtà.
«Come desidera, signora Brown. Alice sta avendo un peggioramento dell'asma che nessuno si aspettava visti i dati clinici passati, e una chiara dimostrazione di ciò è stata la sua ricaduta di ieri sera. Ha fatto bene a portarla qui in ospedale, perché sarebbe potuta andare veramente molto peggio di così. I farmaci che prende dall'inizio dovranno aumentare di dosaggio e di frequenza, per far si che le vie respiratorie possano realmente trarre vantaggio da questi. Le lascio questo foglio con il dosaggio scritto, e vi invito a seguirlo alla lettera. Non sappiamo quanto tempo impiegherà questa cura a fare effetto, ma sappiamo con certezza che se assumerà tutto l'asma potrà tornare alla sua forma iniziale».
«Lo faremo dottore, ma c'è rischio che qualcosa vada storto?» Chiese mio padre.
«Effettivamente si. Ripeto, non sappiamo in quanto tempo gli effetti dei farmaci faranno il loro effetto, ma fino ad allora per lei il tasso di rischio rimarrà ancora molto alto».
«Cosa potrebbe succedere?» Chiese mia madre con voce spezzata, segno dell'imminente pianto che avrebbe commesso.
«Alice può rischiare il coma con altre ricadute simili, e in quel caso potrebbe peggiorare la sua situazione. Vi consiglio, oltre ai farmaci, di farla uscire il meno possibili in spazi che potrebbero essere per lei un pericolo, onde evitare qualcosa che potrebbe essere gravemente compromettente».
Furono queste le ultime parole che sentii da quell'uomo, poiché subito dopo aver sentito il pianto della donna che mi aveva donato la vita il mio cuore si spezzò dal dolore e dalla paura.
Avevo solo dieci anni, è vero, ma fu allora che compresi che avrei dovuto farmi forza e farcela. Non per me stessa. Ma per chi mi aveva permesso di vivere e che ora non riusciva nemmeno più a vivere in tranquillità.
Alice Brown sarebbe cresciuta, per se stessa ma, soprattutto, per coloro che amava.
Così, da quel giorno, non versai nemmeno una lacrima per la mia malattia.

angolo autrice
ciao a tutti, e benvenuti!
grazie per essere arrivati fino a questo punto, e per chi non mi conoscesse piacere, io sono Sharon. sappiate che questa è la nuova versione del prologo. difatti, come alcuni già sapranno, sto revisionando l'intera storia visto che, da quando iniziai a scriverla, ormai ne è passato di tempo.

cosa ne pensate, vi sembra interessante?

a presto amici, spero di rincontrarvi nel primo capitolo!
-sharon.
xoxo

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