4 Disincanto

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Aprile 2004.

Spesso si ha la sensazione che tutto stia andando per il meglio, che la vita sia perfetta e che stia seguendo proprio la direzione giusta: come se realmente si potesse decidere il proprio destino. Magari davvero tutto procede bene e il fatto di programmare ogni singola attività, di avere sempre tutto sotto controllo ci fa sentire sicuri - perché ė proprio la routine, il non doversi confrontare, l'ordinario che ci tranquillizza - ma quello che più sfugge è che probabilmente tutto questo è un'illusione. È possibile pianificare ogni singola cosa, organizzare tutto alla perfezione, ma non costringere il proprio cuore: no, quello no, perché al cuore non si comanda e i sentimenti nascono indipendentemente dalla propria volontà. Eppure Sveva questo non lo aveva messo in conto.

Per lei prima di tutto veniva il dovere, e nella sua vita non c'era spazio per nessun'altra forma di sentimento e di affetto se non quello dettato dall'amicizia. Aveva un preciso obiettivo, lei: affermarsi e avere un determinato ruolo nella società.

Aveva studiato tanto per questo e non voleva rovinarsi l'esistenza per qualche insignificante "cottarella". Molte delle sue amiche, come Elisabetta, avevano dovuto interrompere i loro progetti e mandare all'aria tutti i loro piani per un ragazzo. A lei questo non sarebbe successo. Il suo unico amore era e sarebbe sempre stato la passione per la natura.

Sveva aveva superato brillantemente il test di ammissione a Veterinaria e altrettanto brillantemente si era laureata a Pisa nella stessa facoltà. Aveva poi deciso di prestare servizio di volontariato fino a settembre presso l'Oasi di Orbetello, prima ancora di iniziare il Master in Ornitologia Veterinaria a Bologna, al quale fortunatamente era stata ammessa. Era entusiasta del suo percorso di studi e i suoi genitori erano molto orgogliosi di lei; non voleva deluderli. Spesso le venivano in mente le lacrime della "Betta", come la chiamava lei, quando ancora ventunenne, aveva scoperto di aspettare un bimbo. Le sue paure, il dover affrontare i genitori e il suo ragazzo, la vergogna... Le cose si erano sistemate per il meglio, fortunatamente: Maurizio era un bravo ragazzo e a suo parere voleva davvero bene alla sua fidanzata. I due giovani avevano comprato, con l'aiuto dei genitori di lui, un piccolo appartamentino di pochi metri quadri nel comune di San Giuliano, vicino a Pisa.

La casa, pur essendo molto piccola, era stato ben arredata ed era molto colorata e luminosa. Sveva le aveva bonariamente invidiato sin da subito un piccolo giardino di pochi metri quadrati che dava nel retro dell'abitazione, al quale si poteva accedere direttamente dalla cucina. In esso era stato sistemato un tavolino in ferro battuto all'interno di un piccolo gazebo, in cui avevano spesso trascorso interi pomeriggi a parlare spensieratamente, mentre il piccolo Lorenzo s'intratteneva fuori a giocare con i suoi giochini o magari a guardare gli insetti.

Tutto intorno il perimetro era un tripudio di colori. A Elisabetta piacevano molto le piante e aveva sistemato con buon gusto, in tanti vasi in terracotta, moltissimi gerani colorati. Ma lei, "la Betta" , aveva voluto davvero quella vita per se stessa? Se lo era sempre chiesto, Sveva, soprattutto quando si era recata a trovarla per la prima volta, qualche settimana subito dopo la nascita del bambino.

In quell'occasione la fanciulla si era alzata di buon'ora e aveva preso un piccolo trenino che da Pisa fermava proprio alla stazione di San Giuliano. Pochi passi ed era arrivata lì, leggermente in ritardo rispetto all'orario concordato con l'amica. Eppure quella mattina era rimasta sorpresa dopo che, nonostante le numerose chiamate al telefono senza successo, finalmente le aveva aperto la porta Betta, ancora assonnata e in déshabillé, quasi stupita di vederla dinanzi all'uscio.

Aveva provato tanto imbarazzo per lei... La casa era impresentabile e c'erano ovunque pannolini, cremine e biberon. Sembrava un campo di battaglia. Avrebbe voluto fuggire, se non fosse stato per l'insistenza dell'amica che, con le lacrime agli occhi, l'aveva implorata di rimanere. Da quell'ultima visita era trascorso un po' di tempo e le difficoltà, il modo di affrontare la realtà era decisamente cambiato.

La Betta ora aveva ripreso in mano la sua vita, pronta a concludere il suo percorso di studio. Forse la Betta, si diceva, non aveva previsto quella vita per sé e forse non l'avrebbe mai desiderata, ma l'amore, la luce che c'era nei suoi occhi da quando era nato quel bambino, era la cosa più bella che lei avesse mai visto. E le piaceva pensare che, anche dopo la sua venuta al mondo, qualcosa fosse cambiato nello sguardo dei suoi genitori.

Adorava quel bambino, Betta, se lo abbracciava, lo spupazzava e spesso Sveva s'intratteneva in profonda adorazione a guardare incantata quelle profusioni, quelle carezze. In quel mentre il tempo pareva fermarsi e lei aveva davvero la profonda convinzione che Elisabetta si dimenticasse della sua presenza, tanto era presa da quella magica creatura.

Ed era così intimo quel quadretto che a volte temeva di rovinare quei momenti, quegli attimi del "senza tempo", quando era incredibilmente possibile riuscire a percepire anche soltanto il rumore dei suoi respiri, tanto restava immobile e in silenzio per non disturbare l'amica. Cosa ne sarebbe stato di lei - se lo chiedeva spesso Sveva - se non avesse programmato, organizzato tutto? I suoi studi, i suoi sogni... sarebbe tutto andato in malora forse? Alla sua amica non era successo, ma lei poteva permettersi tutto questo? Doveva rischiare lasciandosi trasportare dal vento? Questo pensiero spesso l'attanagliava, ma le era ugualmente difficile trovare una soluzione.

L'incertezza di Sveva.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora