Aprile 2004.
Quel giorno Sveva si svegliò prima del solito. Sarebbe dovuta andare all'Oasi a inanellare qualche folaga, installare nuove cassette nido ma soprattutto, momento magico, assistere alla liberazione dalle voliere di alcuni esemplari di ibis; l'evento più atteso dai volontari. Dopo mesi trascorsi a curare quegli uccelli, sarebbe stato emozionante vederli finalmente librarsi in volo. C'era però una strana agitazione in lei, che non riguardava quell'evento. Marco sarebbe dovuto partire nel pomeriggio e forse lei non lo avrebbe più visto. Ora che aveva capito i suoi sentimenti doveva fare qualcosa.
Si scaldò il caffèllatte, versandolo nella sua tazza preferita. Sorseggiò e gustò lentamente la bevanda. Fette di pane, caldo e fragrante, rilasciavano un profumo buonissimo, quello dell'aroma del pane appena sfornato: pratica dei tempi andati, a cui sua mamma non si negava, perseverando in quell'antica tradizione. C'era la marmellata d'arancia fatta in casa e il panetto di burro fresco che ogni tanto la signora Lia portava loro in dono. Sveva lo adorava, tanto era delicato, e amava spalmarlo sul pane caldo con un po' di cannella.
Dalla finestra potevano scorgersi i primi movimenti del mattino. Il paese si apriva al nuovo giorno e il cinguettio dei merli con il trascorrere dei minuti veniva soverchiato sempre più, ora dal rumore della saracinesca del vicino, ora dal pianto di un bambino o dallo scricchiolio e il cigolio di una bicicletta. Il sole, sorgendo, si spalmava sui tetti delle case come un gatto ancora assonnato e li riscaldava illuminandoli di luce.
«Eccolo!» disse Sveva cronometrando il solito ragazzo misterioso che, in sella alla sua bici, tagliava l'aria e fendeva l'asfalto alla velocità della luce. Amava fantasticare si trattasse della folle pedalata di un innamorato, volta a sigillare con un bacio il suo amore. Poi proseguì, un po' delusa: «Un minuto di ritardo, accidenti!» accompagnando quella amarezza con uno schiocco di dita, quasi come se ad aver perso una qualche occasione, in quel preciso istante, fosse stata proprio lei. Si alzò ad ammirare lo splendido panorama che poteva scorgere dalla finestra.
«Bello vero?» chiese la mamma.
«Già», rispose Sveva pensierosa.«Non vai a prepararti questa mattina?», domandò la donna, vedendola indugiare più del dovuto.
«In realtà è molto presto, quindi posso restare ancora un pochino», disse crogiolandosi nei suoi pensieri.
«Mamma posso farti una domanda?» implorò a un certo punto, senza temporeggiare e facendosi coraggio.
«Come hai fatto a capire che papà poteva essere quello giusto?» e ancora «intendo dire l'uomo della tua vita? Non avevi paura di sbagliare e di pentirti?»La mamma la guardò, all'inizio stupita dalla domanda che le era stata rivolta, ma poi sospirando disse: «Vedi, c'erano tante piccole cose che mi piacevano di lui e che lo rendevano ai miei occhi diverso dagli altri. Non saprei indicarne una soltanto... Era romantico nei suoi corteggiamenti, mai troppo diretto e invadente».
«Ma ci deve essere stato qualcosa che ti avrà fatto capire che davvero lui era il predestinato, o comunque che lo amavi, che ti piaceva. Come ti accorgi di questo? Dove trovi la risposta?»«Ascolta bambina mia, la risposta non la trovi da nessuna parte, è dentro di te. Io non lo capii subito. So che quando non c'era ad aspettarmi all'angolo di casa mi mancava. I suoi appostamenti erano maldestri forse, ma mi piaceva tanto il modo in cui mi corteggiava, la musica che sceglieva per me e il suo modo di fare, beh... quello mi affascinava tanto. Tuo padre era bello come il sole.».
Sveva l'ascoltava attenta, andando in estasi a ogni rivelazione romantica... Appoggiata al tavolo con i palmi delle mani sotto il mento, si godeva i ricordi della mamma.«E poi, quando gli dissi di sì, che volevo essere la sua fidanzata... Beh, quel momento lo ricordo benissimo. Lui mi diede la mano e me la strinse forte. Ecco, non so come spiegarti ma in quel preciso istante fu come se ci fosse stato tra di noi uno scambio di energia, un passaggio così travolgente da farmi girare la testa. Mi sentivo così protetta e così ubriaca d'amore da non voler più staccarmi da tuo padre», concluse.
«Ma adesso sarà ora che tu ti muova o altrimenti farai tardi!»***
Provò mille combinazioni, ma nessuna sembrava andar bene: la gonna scozzese, corta e plissettata, nella tonalità del bianco e del nero, faceva troppo stile college; l'abitino intero era troppo serioso. Insomma niente le piaceva per l'occasione. Decise di mettere un jeans, camicetta bianca e scarpe da ginnastica, un giusto compromesso tra l'elegante e lo sportivo. Zaino in spalla e via! Venne a prenderla Fabio. Fu silenziosa durante tutto il viaggio in macchina. Sembrava voler assorbire con lo sguardo tutto il panorama che scorreva veloce lungo il tragitto.
Fabio rispettò stranamente il suo silenzio, quasi per tutto il percorso.«Credo di aver capito quello che provi », disse a un tratto spiazzandola, «e credo che tu dovresti fargli capire qualcosa prima che lui vada via».
Stentò da principio a credere che Fabio potesse proprio parlare di quello; insomma, dopotutto erano i suoi sentimenti: non le sembrava vero che lo stesse facendo, che si stesse intromettendo. Si sentiva violata, nell'intimo. Prima si sporse a guardarlo per ribattere, ma poi si fermò, preferendo tacere.
«Credo che non riuscirò a venire a pranzo con voi oggi. Devo portare Asha dal veterinario.»«Proprio oggi? Dal veterinario? Ma... non l'avevi fatta controllare ieri? Comunque fai come credi», disse contrariata.
Non sapeva spiegarsi il perché, ma quelle parole avevano il sapore amaro di false giustificazioni.
Giunsero alla metà e passarono tutto il tempo in compagnia di una scolaresca. Fecero volare gli Ibis e, a fine mattinata, si occuparono della sistemazione dei nidi artificiali.
Quando arrivò il momento di posizionare l'ultimo di questi e Sveva, stremata e in difficoltà, chiese il suo aiuto, lui la maltrattò.«Sbrigatela da sola!» le disse.
Non ci poteva credere, doveva "sbrigarsela da sola": proprio queste erano state le parole che Fabio aveva proferito, che aveva osato dirle, lei che lo aveva sempre aiutato, lei che si era sempre spesa per lui.
Posò il nido per terra, risentita, e cambiò direzione, intenzionata a chiedere aiuto a qualcun altro più gentile di lui, ma poi cambiò idea. Doveva cantargliene quattro, doveva dirgli quanto fosse stato arrogante.
«Dico a te, sì proprio a te, hai idea di quanto tu sia...»E si bloccò, con i pugni serrati, prendendo tempo per sbattergli in faccia quello che pensava di lui, di come fosse stato scortese con lei tutto il giorno e soprattutto senza motivo.
Nel mentre, Fabio si alzò serio e le andò incontro. Non lo aveva mai visto così. Le fu di fronte, la sovrastava e dalla sua altezza la guardava dall'alto in basso, senza battere ciglia. Ne ebbe quasi timore.«Di quanto io sia come? Continua!» disse lui accorciando ancora di più la distanza che c'era tra loro.
«Quindi?», si fece forza Sveva, riuscendo a fatica a sostenere il suo sguardo adirato.
Era chiaramente fuori di sé. Non era lui, il Fabio di sempre: non lo riconosceva. Indietreggiò stringendosi nelle spalle e chiudendo gli occhi quasi a liberarsi dalla morsa di un predatore. D'istinto alzò una mano, come in segno di resa per divincolarsi, ma era troppo tardi. Lui la prese con forza dalle spalle e la baciò. La stava baciando. Realizzò in quel momento che lui, il suo amico, senza il benché minimo preavviso, la stringeva forte a sé strappandole un bacio contro la sua volontà. Ma forse in questi casi non doveva esserci un comunicato stampa, un preavviso... Con tutta l'energia che aveva, realizzato quello che stava accadendo, lo spinse forte, lontano da sé.Guardava in basso, non aveva il coraggio di affrontarlo, ma doveva trovare le parole per dirgli che non aveva senso: tutto quello che stava succedendo per lei era assurdo. Erano l'uno di fronte all'altra. Fabio era visibilmente scosso. Prendeva fiato e la guardava fisso, concentrato, come quando un corridore si accinge, ormai pronto, a fare uno scatto: quello decisivo degli ultimi cento metri, quello che probabilmente decreterà la sua vittoria o la sua sconfitta. I loro sguardi s'incrociarono e Sveva era pronta a scoppiare, a dirgli tutto, a chiedergli delle spiegazioni, quando, a un certo punto, la sua attenzione fu distolta. I suoi occhi adesso andavano ben oltre la figura di Fabio.
Cercò di focalizzare qualcosa o qualcuno, e quando Fabio si accorse che, nel bene o nel male, non era più al centro dei suoi pensieri, si voltò per capire. Vide Marco. Sveva lo fissava, impietrita. Il tempo si era fermato. Pochi gesti: Marco prese il pacco che aveva tra le mani, lo scaraventò per terra e si girò per andarsene via. Li aveva visti? Aveva assistito al bacio, a quella scena? Cosa ci faceva lì a quell'ora. Non erano quelli gli accordi.
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L'incertezza di Sveva.
RomansaA volte la vita ci mette a dura prova e le persone su cui contiamo, i fondamenti della nostra esistenza, possono venire meno inaspettatamente. È quello che è accaduto a Sveva. Questa è la storia di una coppia perfetta, Sveva e Marco, di una famiglia...