47 Preludio

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Per tutto il tragitto in macchina, alla volta dell'ospedale, Betta cercò di nascondere il suo stato di disagio, di confusione, di turbamento. Persino dalla voce trapelava il suo sconvolgimento, ne aveva la piena consapevolezza.
Nonostante credesse che Marco fosse in buona fede e che i medici avessero fatto di tutto per Sveva, c'era qualcosa proprio che non le tornava. Sveva aveva quella che i medici chiamano "amnesia dissociativa", una condizione temporanea caratterizzata dalla perdita della memoria: uno stato, questo, sempre potenzialmente reversibile.

Non c'erano stati danni neurologici. I suoi ricordi c'erano ma erano ben racchiusi, sepolti in un angolino della sua mente. Nello specifico la sua era un'amnesia selettiva. Ricordava tutta la sua vita, la sua biografia, ma aveva cancellato parte di quell'evento traumatico che tanto l'aveva turbata, per difendersi probabilmente, per salvarsi da un dolore che forse l'avrebbe uccisa. Ma adesso che le cose stavano risolvendosi, perché non dirle la verità? Sarebbe stata meno cruda, più accettabile probabilmente. Eppure lei non era un medico...

In macchina si limitò ad ascoltare quello che diceva Marco, senza parlare...
Poi a un tratto esplose.

«E se un giorno Francesca parlasse?»

Marco la guardò per un attimo. Percependo una certa tensione nella voce della donna, si fermò bruscamente con la macchina, parcheggiando in una piazzetta a qualche isolato dall'ospedale.

Betta quasi non ci fece caso, tanto era presa dalle sue riflessioni.

«Se un giorno Francesca parlasse, come ha già iniziato a fare, sarebbe stupendo. Se poi camminasse...»

«Marco, non è questo che intendevo. Voglio dire che se un giorno Francesca dicesse a Sveva non solo dell'incidente ma anche di suo fratello? Ci hai mai pensato?»

«Passerà tanto tempo prima che Francesca possa riprendersi del tutto e riesca a parlare fluentemente e...»

«Sì ma c'è Benedetto. Hai pensato a lui? È soltanto un ragazzino, non si terrà dentro tutto ancora per molto. Ed è giusto che lui lo faccia, che esca allo scoperto, che possa vivere la vita che avrebbe meritato di vivere, povera creatura!»

«Sveva non deve vederlo più, o per lei sarebbe la fine.»

«Marco, cosa stai dicendo? È soltanto un ragazzino... Hai sentito uno psicologo? Potrebbe essere meglio per lui parlarne, sfogarsi, liberarsi da questi segreti. Cosa dici?»

Marco la guardava allibito, esterrefatto, senza parlare.

«Marco, sto aspettando una risposta. Allora?»

«Allora dico che Sveva non deve più vederlo e basta», disse seccamente.

«Promettimi che mi aiuterai?» aggiunse ancora.

«Ma non sarebbe meglio che lei...»

«Nessun ma. Esigo una tua risposta. Promettimi che la terrai lontana dal convento. Se lei scoprisse la verità senza ricordare, potrebbe essere pericoloso, persino deleterio per la sua salute. Potrebbe non accettarla quella verità, addirittura non crederci, capisci? I medici si sono espressi in maniera chiara. Deve ricordare spontaneamente. Deve essere un processo naturale. Io non voglio metterla in pericolo e né tu né nessun altro mi toglieranno dalla testa il fatto che lei debba essere tenuta all'oscuro di tutto.»

«Ma è una follia. Sveva inizia già a ricordare qualcosa. Poi è ossessionata da quel ragazzo.»

«Se l'aiuterai in questo suo delirante progetto di vederlo ancora, ti riterrò responsabile di ogni conseguenza.»

«E allora sappi che io non starò a guardare la fine del tuo matrimonio e nè tantomeno accetterò le idee assurde di questi fantomatici dottori. Non mi trovi d'accordo», disse scendendo dal mezzo, offesa, delusa.

L'incertezza di Sveva.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora