40 La scoperta

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Togliersi dalla testa quella notte sarebbe stato davvero impossibile. Per tutto il tragitto Sveva non fece altro che pensare a quanto era successo, incurante della presenza di Betta. Quelle braccia, forti e vigorose, che l'avevano sottratta al più orrendo dei destini, e quell'odore di alcool e di marcio, che si portavano dietro quei personaggi infimi, lo sentiva ancora addosso. Sentimenti contrastanti navigavano dentro di lei... in attesa di essere elaborati, interpretati. Senz'altro era stata molto imprudente ad avventurarsi da sola a quell'ora della notte, ma tuttavia non poteva non pensare a quanto fosse stata fortunata a sfuggire a quella condanna. Rashad l'aveva salvata, senza esitazione: il suo intervento era stato determinante.

Era questo a cui alludeva qualche tempo fa quell'uomo?
Il bene ricevuto sarebbe tornato indietro?
Se avesse soltanto pensato alcuni giorni prima di potersi trovare sotto il suo studio e di essere poi salvata da lui, tutto quello le sarebbe parso impossibile: mai avrebbe potuto immaginare di trovarsi in una simile situazione, eppure era successo; la realtà aveva superato la fantasia.

Per un attimo desiderò ardentemente di poter tornare indietro nel tempo, quando era felice, quando non aveva alcun pensiero, ma non era possibile...
Guardò la sua amica.

Le aveva sempre voluto bene, nonostante la sua cocciutaggine e il suo essere un po' matta, ma l'immagine di lei con Rashad le tornò prepotentemente dinanzi agli occhi procurandole inspiegabilmente delle fitte al cuore. Eppure sapeva di amare Marco, ma non poteva fare a meno di pensare a lui e alla sua bambina, immobile, costretta in un letto d'ospedale, e quelle due cose, l'amore per lui e l'incidente, erano unite indissolubilmente, per sempre. Non lo avrebbe mai perdonato.

Riguardò l'amica mentre camminava e per un momento la invidiò. Betta era giovane e dimostrava meno anni di quelli che aveva, era bella, aveva tutti gli sguardi addosso, aveva un lavoro, un marito e un bambino, aveva tutto però stava giocando col fuoco, rischiando di mandare all'aria la sua felicità.

Strinse più forte il suo braccio, trascinandola come fosse un burattino: avrebbe voluto decidere lei le sue mosse, guidarla, indirizzarla.

«Ehi, ma cosa diavolo ti prende? Mi fai male, cara. Rischi di farmi rompere i tacchi, tesoro.»

«Potevi metterti allora dei sandalini, delle scarpe da ginnastica, persino delle ciabattine!»

«Se sei nervosa per quello che ti è successo sappi che non ti rimane che prendertela con te stessa. Sei tu l'unica responsabile di quello che ti è accaduto,soltanto tu. Non saresti dovuta uscire da sola, non a quell'ora.»

A quelle parole Sveva si irrigidì, di nuovo, ma non era stata l'amica a ferirla: il calore provato tra le braccia di Rashad e la mancanza di Marco in quel momento le avevano tolto il fiato e quel dolore, assopito, addormentato, come fuoco sotto la cenere, tornò come un onda, irrefrenabile, impellente, come era forte il bisogno di lui.

Gli occhi erano in fiamme, quell'onda stava risalendo inesorabilmente... ma non avrebbe pianto, non lì di fronte a Betta. Accelerò il passo, spaventata.

«Oh ciccina! Non volevo, credimi. Vieni qui, fatti abbracciare.»

Ma quella ormai era partita per la tangente.

Sentendosi afferrata, a sua volta, a un braccio, interruppe la sua corsa, lo sguardo crucciato, le gote in fiamme: era sul punto di esplodere.

«Cos'hai?», le chiese Betta.
«Perché sei così sconvolta? Tutto d'un tratto sei cambiata...non capisco.»

«Perché tu invece sei sempre fedele a te stessa, vero? Come fai? Spiegamelo. Perché deve esserci un modo...»

«Ma cosa stai dicendo?»

L'incertezza di Sveva.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora