6 Incertezze

418 94 90
                                    

Febbraio 2015

Adesso come allora mille dubbi affollavano la mente di Sveva. Adesso più di allora esitava ad agire, a prendere qualsiasi decisione: gli interessi in gioco erano troppo alti e la perdita, l'idea della stessa, sarebbe stata devastante. Avrebbe perso l'unica persona che aveva e che probabilmente avrebbe mai amato: suo marito.

Al tempo del volontariato a Orbetello non sapeva cosa sarebbe successo e rischiare aveva un senso; non avrebbe dovuto rinunciare a nulla se si fosse esposta ma avrebbe soltanto capito cosa Marco provasse per lei. Ora invece le cose erano diverse. Aveva creato lei quella situazione, con le accuse, i rimproveri, esacerbata da un dolore talmente accecante da indurla a non vedere più la disperazione del marito.

E così, lui, Marco, che le era stato accanto in ogni momento della sua vita, al primo errore veniva completamente abbandonato. Riordinò la sua stanza e con essa anche i suoi pensieri. Si decise inoltre che doveva fare un salto dal parrucchiere per cambiare look. Pensiero futile e superficiale, ma doveva distrarsi o ne sarebbe andata di mezzo la sua serenità mentale. Aprendo il cassetto del suo secretaire trovò due fiocchetti rosa e ricordò il compleanno festeggiato due anni prima.

Maggio 2013.

Era eccitata, iperattiva, Francesca. Per l'occasione sarebbero venute a casa due amichette per fare festa ma, soprattutto, sarebbe arrivato dal Minnesota il suo papà, che ormai non vedeva da un mese. Seduta su uno sgabbellino davanti al secretaire, dava le spalle alla mamma che, con estrema velocità, intrecciava le mani mentre le creava magnifiche trecce. Francesca aveva quattro anni, eppure, nonostante l'età, aveva tantissimi capelli biondi e setosi.

Lei, la bimba, s'intratteneva a giocare, aprendo e chiudendo quei cassetti.
«Mamma, non preoccuparti, ti sistemo io tutto!»
Con estrema delicatezza le manine operose lavoravano, tiravano fuori, poi risistemavano. Era così che si divertiva. Aveva l'incarnato roseo e le gote paffutelle, negli occhi lo sguardo del papà; i capelli biondissimi inoltre la facevano apparire ancora più chiara.

A un tratto si sentì il rumore di un'auto e il cigolio del cancello. Tuttavia l'auto non avanzò ma si fermò. Era Marco. Sveva l'avrebbe riconosciuto tra mille, prevedendone ogni singola mossa: si sarebbe fermato lì, avrebbe sistemato e raccolto qua e là qualche fogliolina caduta, sarebbe poi salito in macchina, l'avrebbe parcheggiata sotto la pensilina in legno e, con un colpo di clacson, avrebbe annunciato il suo tanto agognato arrivo.

Intanto Francesca fremeva per alzarsi e andare ad abbracciare il papà. «Un ultimo nodo e sarai pronta!»
Tuttavia non seguì a quei consueti atteggiamenti nessun rumore, né si udì alcun clacson. Incuriosite, mamma e figlia si affacciarono al balcone e, dopo aver visto armeggiare il papà, furono sorprese nel vederlo posare in terra una piccola palla di pelo grigio e bianco, con intorno al collo uno splendido fiocco rosa. Era un cucciolo di Rough Collie. La bimba non stette più nella pelle; gridava e rideva dalla contentezza.

Il cucciolo fu posto in un cesto di vimini. Avrebbe dormito lì per i primi mesi, fino a quando non sarebbe cresciuto. Francesca lo stringeva, lo baciava.
«Ma è una cucciola! È morbida, sai mamma? È tenera! Vieni a toccarla! Vieni mamma, sembra un peluche... È di lana morbidissima.»
La mamma disse di sì, ma non sembrava contenta. Non voleva toccarla, quasi rischiasse di affezionarsi troppo. Portò in disparte il marito.
«Come hai potuto farlo, voglio dire come ti è venuto in mente di portare in casa un animale senza avvisarmi? Avevo il diritto di esprimere la mia opinione!»
Marco la guardava esterrefatto.

«Ma non pensavo te la saresti presa così tanto! In fondo tu adori gli animali e li conosci bene. Non immaginavo potesse essere un problema per te!»
Marco era sinceramente dispiaciuto e nello stesso tempo sbalordito. Andava da una parte all'altra dello studio, toccandosi i capelli, con l'impermeabile ancora addosso. Si sentiva offeso: non era così che si aspettava di essere accolto da sua moglie, specie dopo un mese di assenza.

Tamburellava con le dita sulla scrivania, guardando Francesca mentre giocava in giardino con il cane. Aspettava un cenno della moglie, anche uno sguardo, che non ci fu mai però...
Continuava a osservare la figlia dalla finestra dello studio.
«Io ero sicuro che un cucciolo avrebbe fatto bene a Francesca, non ha fratellini né cuginetti. Noi siamo troppo impegnati nel nostro lavoro e non abbiamo mai tempo di farle fare quello che i bambini della sua età dovrebbero fare: giocare con gli altri bimbi. Naturalmente il pianoforte è una piccola distrazione e non può che farle bene, ma non basta. Ecco spiegata questa scelta.»

Certo ammetteva tra sé e sé di essere stato forse avventato, troppo frettoloso nel prendere quella decisione. Rifletteva sul da farsi, ma non ebbe tempo di discuterne che si trovò inaspettatamente Sveva tra le braccia.

«Ho pensato anche a questo. Vorrei lasciare per un po' di tempo lo studio veterinario. Te ne avrei parlato. Economicamente stiamo bene e Francesca ha bisogno di noi. Siamo troppo assenti e, come dicevi tu, troppo impegnati. Forse questo porterebbe più serenità e magari potremmo pensare anche a un altro bimbo.»
Marco abbassò lo sguardo su di lei, che lo teneva stretto a sé con forza e tenerezza.
«Si può fare. Ne parleremo con più calma in un altro momento.»
Intanto si sentivano le risate di Francesca che correva dietro quel batuffolo. Poi,con irruenza, entrò nello studio correndo.
«Mamma, mamma, che pasticcio!»
«Che succede tata?»
«Lana ha fatto la cacca!»

Entrambi, mamma e papà, scoppiarono a ridere, tentando loro malgrado di mantenere un certo contegno nei confronti di quella bimba che sembrava non capire così tanta ilarità.
«Non preoccuparti, sistemeremo. Lei è piccolina e deve ancora essere educata.»
«Educata», ripeté Francesca senza averne capito a fondo il significato. «Quindi la chiameremo Lana? Che ne pensi?» propose la mamma dolcemente.
«Sì», rispose la bimba e, senza proferire altra parola, scappò in giardino gridando forsennatamente: «Educata, educata.»

«Cosa dici, cosa ne facciamo di lei? Avrei dovuto avvertirti ma...»
«Ma adesso non possiamo più tornare indietro...Come potremmo? L'unica cosa che mi preoccupa è l'educazione di quell'animale.»
«Vedi, abbiamo un giardino immenso», disse Marco.
«All'inizio dovremmo insegnarle a fare fuori i suoi bisogni, poi a portarla in giro. Sono sicura che sarai bravissima e considera che, se lascerai il tuo lavoro, avrai piu' tempo per lei, per il cane e per me quando sarò a casa.»
Le fece l'occhiolino, posandole tra le mani i fiocchetti che Francesca aveva perduto correndo. Poi si avviò di sopra per darsi una rinfrescata.

***

Sveva stringeva tra le mani quei fiocchi, ricordando le paure di un tempo: che Lana potesse essere troppo difficile da gestire, che avessero dovuto rinunciare ai loro viaggi, che Francesca avesse potuto legarsi troppo a quel cane per poi soffrirne l'eventuale perdita. Quei timori la fecero sorridere. Come potevano cambiare le cose...
Quelle considerazioni e quelle paure, ora, le apparvero così infondate. Creatura più intelligente e fedele non c'era... e lei non poteva che essere la padrona più felice del mondo. Se solo avesse rimesso insieme tutti i cocci rotti...
Se solo avesse potuto cancellare il tempo trascorso e ritornare indietro. Ma non si poteva.
La favola, la sua vita, era stata cancellata con un colpo di spugna...
Non doveva pensarci...
Si fece una doccia e andò dal parrucchiere a darsi una sistemata. Un nuovo look: capelli corti, taglio irregolare. In seguito sarebbe passata da Francesca. E così fece, con un solo unico pensiero nella mente: avrebbe sistemato tutto.
La sua vita, il suo matrimonio, tutto.
Un giorno ogni cosa sarebbe ritornata al suo posto. Ne era sicura.

L'incertezza di Sveva.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora