Marzo 2015.
Dopo aver incontrato Marco in ospedale e dopo essersi intrattenuta lì con la suora, Sveva uscì con la religiosa avviandosi verso casa. Non era lei alla guida, tuttavia il viaggio in macchina passò velocemente, senza che se ne accorgesse. Anzi, a dire il vero, non ricordò neanche di averle dato mai indicazioni circa il tragitto da seguire.
Ormai, forse, non era più in grado di badare a se stessa. Certi giorni aveva la sensazione che la vita le scivolasse tra le mani, riscoprendosi a fare qualcosa quando in verità avrebbe voluto fare dell'altro, certi altri, invece, l'ottimismo prendeva il sopravvento, facendola sentire nuovamente viva. Giunsero a casa.
La suora doveva essere una donna davvero in gamba, si disse: non un tentennamento nella guida, mai un'incertezza, anzi, arrivarono a destinazione in men che non si dica.Sveva mostrò la casa a Suor Caterina che sembrò apprezzare molto il giardino.
«Chi si occupa delle piante, del prato e di tutto il resto?»
«In genere lo faccio io. Mi rilassa potare le piante, togliere le foglie vecchie, piantare. Riordinando il giardino, riordino i miei pensieri. Alle volte riesco a non pensare, a darmi tregua. È come correre... Mi fa sentire più libera. Per i grandi lavori, invece, mi rivolgo a un mio amico giardiniere. Un tempo queste cose le facevo insieme a Marco.»
«Uhm», annuì la suora.
«Vedrai, lo rifarete ancora», aggiunse.
«Questo cos'è invece?»
«Avrebbe dovuto essere un regalo per Francesca... Si tratta di una voliera; adorava gli uccellini. Poi non c'è stato il tempo... di pensarci.»
Si fece cupa.«Ma è tutta colpa mia, quello che le è successo. Non avrei dovuto desiderarla così tanto e Dio mi ha punito.»
«Di cosa parli, Sveva? Non riesco a seguirti», disse la suora facendosi triste in volto.
«Spiegati meglio! Cosa non avresti dovuto desiderare? Cosa intendi?»
«Io non vorrei annoiarla e non so nemmeno perché ne sto parlando con lei. Non mi fraintenda, ma alla fine ci conosciamo da qualche ora e io le sto rovesciando tutta la mia vita addosso senza..senza ritegno insomma.»
«Continua, cara, per me non è un problema...» le disse la suora incoraggiandola.
«È questo il mio compito, quello di ascoltare... e se potrò aiutarti anche solo un pochino, beh, sappi che per me sarà un piacere infinito! Dio mi ha dato il dono della pazienza e dell'ascolto. È la mia missione.»«Vede,» disse Sveva con le lacrime agli occhi, parlando a stento, tanto era commossa, «non potevamo avere figli: io e Marco non potevamo averli. Capisce? Io insistevo, maledettamente insistevo, gli parlavo di bambini, immaginavo i nostri figli, ma lui nulla, finché un giorno non mi ha raccontato del suo problema... Io, mi creda, ho sofferto tanto per lui, tantissimo. Marco è una persona altruista, generosa. Lui si farebbe in quattro per aiutare gli altri. Credo di non aver mai conosciuto una persona così speciale, con dei valori così forti. Gli altri vengono prima di lui... È questo Marco! Eppure io non avevo capito il suo dolore... Si sentiva in colpa, fallito... Da allora io non ho voluto più dei bambini: è come se mi fosse passato ogni desiderio. Forse Dio mi ha dato la forza, forse per amore; non so spiegarlo. Per me avremmo potuto anche adottarlo o semplicemente rinunciare a un figlio, ma lui era sempre triste. Così ho insistito... Le mentirei se le dicessi che l'ho fatto per me... Lui mi aveva detto di sentirsi colpevole; a nulla sono servite le mie parole di conforto, di rassicurazione. Temeva di infrangere i miei sogni e, ciò che è peggio, si sentiva una nullità. Allora non ci ho pensato due volte.»
Ora Sveva era ferma, decisa, come se stesse davvero rivivendo tutto il suo percorso. Non piangeva più; aveva smesso di asciugarsi le lacrime con il fazzoletto. Guardando in alto e prendendo tutto il coraggio, dopo un respiro profondo, disse: «Siamo andati in un centro per la fertilità. Ci hanno dato delle speranze e in questo modo abbiamo portato avanti la nostra battaglia: una battaglia lunghissima, fatta di aspettative, delusioni... finché poi è arrivato il nostro angelo, una forza della natura, una bambina meravigliosa. Ma io dico, lo chiedo a lei che conosce Dio più di me, perché io... io non so se ancora ho fede, se ho la forza di credere: è questa la punizione per aver osato manipolare la vita? Ci siamo accaniti, abbiamo preso decisioni che solo Lui, Dio, poteva prendere. Abbiamo pensato di poter scavalcare le sue volontà... Ci siamo arrogati questo diritto. Io per prima ho fatto questo, desiderando quello che non mi era concesso di avere».
«Cosa dici cara, cosa vai pensando? Non nasciamo forse per sognare? La tua generosità è andata ben oltre. Hai soppresso i tuoi istinti naturali, i tuoi desideri di maternità... e questo per amore di Marco. Non è peccato! Io non so rispondere a tutto, purtroppo non mi è dato avere tutte le risposte, ma vedi, ci sono persone che hanno dei figli e li abbandonano - qui la suora si fermò un attimo, la voce rotta - per non rischiare, per paura, per egoismo. Forse quello è peccato... Ma il Signore perdona e dà delle opportunità, delle possibilità. Quali colpe avresti tu, se non di aver amato troppo?»
Adesso erano lì, ferme. Sveva rifletteva, ponderando bene le parole che avrebbe voluto dire, quando il rumore di Lana le fece sobbalzare entrambe, interrompendo quel discorso: come sempre Sveva l'aveva dimenticata. Le aprì la porta, ma non fece in tempo a salutarla che già era scappata fuori. La bestia andò incontro alla suora facendole tantissime feste. Non era mai stata così socievole o almeno non lo era con chi non conosceva. Ne rimase quasi scioccata, Sveva. Esterefatta, guardava il suo cane giocare con quella suora, come se si conoscessero da sempre.
Che quella donna avesse ammaliato anche lei, Lana?
Non se lo sapeva spiegare. Poi, riprendedosi da quella scena insolita, le si avvicinò per scusarsi: aveva tutto l'abito imbiancato, per via delle zampette di Lana.«Non importa cara, non ti preoccupare», disse la suora che non voleva cedere alle insistenze di Sveva che a tutti i costi tentava di spazzolarle il vestito. Accorgendosi che comunque la ragazza, stupita, non smetteva di fissarla, aggiunse : «Lo fanno sempre, tutti i cani. Sentono l'odore, intendo quello degli altri animali. Noi abbiamo una fattoria al convento ed è per questo che Lana è attratta da me».
Ci fu un attimo di silenzio.
«Ti va di venire una volta da noi? Così... per parlare un po'.»
Assentì, in fondo quella suora era stata così gentile con lei che non seppe negare una simile cortesia. Come la prima volta, stare con lei le trasmetteva serenità e riusciva a dimenticare i problemi quotidiani.
«Adesso ti vedo più serena, posso anche andare. Oltretutto hai anche ripreso un bel colorito in volto.»
Merito suo, pensò Sveva.
Era riuscita a distrarsi.Poi Suor Caterina si allontanò, appartandosi, per rispondere ad una telefonata. Parlava fissandola: per un attimo ebbe la sensazione che stesse parlando proprio di lei.
Ma che andava pensando?
Temendo di importunarla - la conversazione sembrava molto delicata - andò nel retro della casa per vedere dove si fosse cacciata Lana.
Non poteva fare a meno di pensare che Suor Caterina fosse una donna incredibile: eppure aveva nei suoi confronti una strana sensazione.
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L'incertezza di Sveva.
Lãng mạnA volte la vita ci mette a dura prova e le persone su cui contiamo, i fondamenti della nostra esistenza, possono venire meno inaspettatamente. È quello che è accaduto a Sveva. Questa è la storia di una coppia perfetta, Sveva e Marco, di una famiglia...