18 La ventiquattrore

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Sveva si svegliò, di soprassalto, alle due di notte, madida di sudore e con un'arsura alla gola indescrivibile. Il vento era implacabile e le fronde degli alberi oscillavano ininterrottamente.

Il cielo era ricoperto da grossi nuvoloni che cambiavano forma di continuo, lasciando intravedere ogni tanto, nell'oscurità, una luna bianchissima, che ora appariva dietro un lampione, ora si nascondeva dietro la cima di un albero, diffondendo, a intermittenza, il suo candido e tenue bagliore.

Era bello guardarla, così misteriosa, solitaria.

Chissà se anche Marco stava guardando quelIa stessa luna?

Ritornò a letto, non prima di aver attenuato la sete con un bicchiere d'acqua. A quel momento ne seguirono altri, intervallati da incubi mostruosi.

Da bambina le capitava spesso di svegliarsi in preda al panico per via dei brutti sogni, ma sempre, tutte le volte che accadeva, il suo papà la raggiungeva tranquillizzandola come solo lui sapeva fare. Dopo l'incidente di Francesca, quel posto, invece, era stato preso per fortuna da Marco.

Ma in quel momento non poteva contare su di lui, era sola, e doveva affrontare i suoi fantasmi nella più completa desolazione. Quelle immagini che le apparivano durante la notte erano impressionanti e non di rado erano in grado di lasciare strascichi di malumore anche durante il giorno, rendendola nervosa e irrequieta.

In quelle visioni ripercorreva l'incidente di Francesca, cercava di salvarla, ma qualcosa, alla fine, le impediva di farlo, rendendo vano ogni suo tentativo.

Continuava, suo malgrado, a vivere quel senso di colpa, come se davvero quelle cose che sognava fossero realmente accadute. Dopo il quarto risveglio, accompagnato da tremori e senso di pesantezza, decise di alzarsi definitivamente: inutile dannarsi in quel letto. Il rumore delle imposte, sinistro, l'aveva svegliata completamente.

Assillata dai pensieri, continuò a rimuginare, non riuscendo a capire se gli accadimenti del giorno prima fossero reali o meno. Si disse che era assurdo.
Aveva davvero incontrato Marco?
Le chiavi del garage erano ancora lì...

Tutto le era sembrato così vero, anche se avrebbe preferito si fosse trattato di un sogno...
Era davvero confusa.

Preparò velocemente la valigia, azionò l'irrigatore e portò Lana a fare un giro. Ormai la luce del giorno aveva preso il posto dell'oscurità e anche la leggera nebbia mattutina si era dissolta, svelando una giornata limpida e fresca. Al ritorno, dinanzi al cancello, c'era Giorgio, il suo amico giardiniere.

Caspita, pensò, già qui?
Aveva preso accordi con lui che si sarebbe occupato di Lana durante la sua assenza, essendo Marco impossibilitato durante le ore in cui era in studio.

Dopo tanta indecisione, infatti, aveva preferito non portare con sé la cagnolina, anche se le doleva il cuore lasciarla a Parma. Lana non aveva mai viaggiato in autobus e temeva che potesse essere troppo stancante per lei, che già tollerava molto poco le trasferte in macchina.

Tuttavia, pensò che non avrebbe potuto lasciarla in mani migliori.

Ora Giorgio era lì, sorridente, ad aspettarla. I lineamenti vagamente orientali le ricordavano un suo viaggio in India - quasi come se da qualche parte, tra i suoi cari, ci fosse stato un antenato proveniente da quella terra. La fronte bassa e i capelli neri, ispidi e scarmigliati, apparentemente difficili da domare, gli occhi più piccoli del solito, lo rendevano più cupo. A giudicare dalle sue occhiaie, doveva aver avuto una mattinata molto impegnativa.

«Ciao Giorgio, sei qui da molto?»

«No, sono appena arrivato. Anna ha avuto stanotte dei piccoli dolori e per controllare che tutto andasse bene l'ho portata in ospedale.
Le hanno fatto il tracciato: il bimbo gode di ottima salute e la gravidanza procede per il meglio.»

L'incertezza di Sveva.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora