35 Bianco e nero

236 51 78
                                    

Sveva passò il tardo pomeriggio a parlare con Betta, di cose frivole, di ricordi da ragazza. Non voleva prendere una decisione circa Rashad, non ancora: l'argomento la irritava, ma voleva ancora del tempo per pensarci. Betta le asciugò i capelli, le sistemò le unghie e le mostrò le modifiche che aveva apportato all'appartamento. Il suo tocco d'artista aveva dato un nuovo aspetto alla casa: prima più funzionale, adesso più d'impatto, ma pur sempre elegante. Sveva era rimasta sbalordita dal cambiamento. Sebbene amasse lasciare le cose alla stessa maniera, non ebbe a ridire circa quegli spostamenti, che tutto sommato non le dispiacquero affatto. I centrini, in raso damascato e pizzo macramè, venivano messi più in luce dalla nuova disposizione e anche i lumi acquistavano maggior risalto, sapientemente disposti nella sala. Stettero a chiacchierare fino a tardi per poi alzarsi presto il mattino seguente.

«Sei già in piedi cara?»

«Sì, muoio dalla voglia di andare da Francesca.»

«Non avevo dubbi.»

«Tu, piuttosto, perché già sveglia? Ti ho sentito camminare stanotte o almeno questa è stata l'impressione. Poi sono crollata.»

«Non ti sbagli. Spero di non averti disturbata.»

«Nessun disturbo. Ma devo preoccuparmi? C'è qualcosa che ti tormenta?» chiese ancora una volta Sveva, sospettosa.

«Nessun pensiero cara, semplicemente un po' d'insonnia. Alle volte mi capita e così non mi rimane altro che alzarmi. Devo incontrare mia sorella stamattina. L'ho chiamata poc'anzi e ho già fatto colazione. Ci aggiorniamo in tarda mattinata.»

Le due donne uscirono tuttavia insieme, prendendo ognuna una strada diversa. Le parole dell'amica avevano lasciato Sveva perplessa. Per un attimo aveva avuto il presentimento che ci fosse stato qualcos'altro che la turbasse, ma i suoi pensieri per Francesca annullarono ogni altra sensazione.

Quella mattina si presentava più calda del solito. Il viottolino era arido e polveroso e un odore di terra bagnata si diffondeva nell'aria: senz'altro Giorgio era passato a bagnare le piante; lo faceva spesso d'estate. Un leggero venticello trasportava i profumi umidi delle foglie degli alberi che circondavano la villa. Ogni tanto si levava, più delicato, quello delle rose. Sveva fu subito in ospedale. Per un istante le sembrò tanto strano il contrasto di quelle pareti così anonime, così maledettamente pallide, con la vita che c'era fuori, talmente vera, reale, piena di colori.

Francesca amava uscire, mal sopportando restare in casa. Si divertiva tanto a correre nei prati, a raccogliere i fiori, a inseguire le farfalline, e ora, ironia della sorte, era rinchiusa proprio lì, in una stanza d'ospedale, in un letto dalle lenzuola bianche.

Questa cosa Sveva non riusciva a tollerarla. Quello che doveva essere per tutti il colore della purezza, del candore, della pace, significava per lei reclusione, tristezza, oblio. Mandò via quei pensieri invadenti. La giornata era incominciata bene e così doveva terminare. Entrò in stanza e con suo grande stupore vide che un capannello di persone si era formato incredibilmente attorno al letto di Francesca.

Era successo qualcosa, se lo sentiva.

Ebbe un tonfo al cuore. Al suo arrivo si aprì un varco: sembrava che tutti stessero aspettando lei, proprio lei. Qualcuno le prese la mano... Era Germana, l'infermiera. Quei momenti sembrarono un'eternità. La guardava con gli occhi pieni di lacrime.
«Signora, oh signora!», le baciò le mani.
Qualcun'altro le diede una pacca sulla spalla.

Era finita, non c'era più, la sua dolce bambina era volata via.

Adesso avrebbe finalmente ottenuto la tanto desiderata libertà, avrebbe potuto correre a perdifiato in distese sconfinate, come soleva fare. Ma lei non l'avrebbe potuta più accogliere tra le sue braccia, non avrebbe più potuto baciarla, sentire il suo profumo, sfiorare le gote rosse.

L'incertezza di Sveva.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora