49 Era tutto scritto?

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Esauste, le due donne rientrarono a casa con la testa sovraffollata di pensieri. Sveva era felice per i progressi di Francesca e, cavalcando l'onda dell'entusiasmo, non avvertiva più il peso delle decisioni, neanche le più avventate, ritenendole sempre e comunque degne di essere considerate.

Betta, dal canto suo, passava ormai le ore a riflettere sul da farsi e così, senza rendersene conto, quelle divennero giorni, settimane; il tempo passava e a lei, che era stata troppo lontana da casa, non restava altro che ritornare dai suoi affetti.

Era indecisa su come affrontare tutta quella faccenda.
Aiutare Sveva sarebbe stata la cosa giusta da perseguire?
Si sentiva una codarda, in fondo non aveva fatto una scelta, non si era schierata né a favore di Marco né tanto meno dell'amica, ma nello stesso tempo percepiva un certo sollievo; si era sottratta da quell'impiccio, e mai come adesso desiderava cambiare aria.

La sensazione di disagio che aveva provato negli ultimi giorni era stata davvero opprimente, talmente tanto da toglierle il sonno. Marco aveva ragione: poteva essere troppo pericoloso per Sveva essere messa a conoscenza della verità, ma nello stesso tempo c'era qualcosa di sbagliato in quel restare inerti, immobili, senza prendere nessuna iniziativa, lasciando Sveva al suo destino. Una cosa volle farla però, prima di andar via, e così informò Marco circa le intenzioni di Sveva, suggerendogli che avrebbe dovuto cambiare atteggiamento nei suoi confronti, perché Sveva non si sarebbe rassegnata facilmente, nessuno più l'avrebbe distolta dai suoi propositi, perché era ossessionata da Benedetto. La telefonata fu chiara, breve e liberatoria; aveva fatto il suo dovere e sentiva che stava agendo per il meglio.
Alleggerita da molti pensieri, Betta rivolse un ultimo sguardo a Sveva.

«E così vai via, mi lasci da sola sul più bello?» chiese Sveva.

«Sai che non posso fare altrimenti», disse Betta stringendola forte a sé.

«Ma dopodomani avremo l'audizione di Benedetto e tu...»

«E io non posso venire», rispose la riccia, trattenendo tutta la sua commozione.

«Ma Pierre... Ricordi Pierre? È la tua grande occasione», disse, anche se priva di convinzione. Sembrava una bambina in cerca di protezione e Betta ne ebbe pena.

«Grazie per avermi fatto sognare, cara. Sarò anche brava a recitare, ma sono comunque consapevole dei miei limiti e non c'è più tempo per me in questo ambiente. Ormai ho una certa età, e questo è chiaro a entrambe. Sappi che ho  apprezzato molto però quello che hai fatto per me. Non credere che non l'abbia capito, di te e di Pierre, della possibilità che mi avete dato. Un diamante grezzo è pur sempre un complimento», disse pensierosa.

«Non lasciarmi ti prego. Non andare!» disse Sveva stringendo forte i pugni.
Avrebbe voluto di nuovo abbracciarla, supplicarla, ma sapeva bene che non sarebbe stato corretto.

«Ho tanta paura e io...»

«E tu cosa?» chiese Betta.

«Sento che è così che deve andare. Io devo portare Benedetto, io devo farlo, lui... L'ho privato delle sue sicurezze», disse tutto d'un fiato Sveva.

Così Betta, lasciando la valigia, le chiese scuotendola: «Perché dici questo, perché parli così? Dimmi, ricordi qualcosa?»

«Dovrei farlo? Ricordare?»

«No cara, dicevo tanto per dire», disse rattristata.

«Abbi cura di te e fai quello che devi fare, se senti di farlo. Ma una cosa devi prometterla, cerca di essere felice.»

«Non devi, tu non puoi lasciarmi così...» concluse, rammaricata, perplessa.

Betta le aveva fatto domande senza senso sui ricordi, e ora andava via. Cosa ne sarebbe stato di lei?

L'incertezza di Sveva.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora