L'oscurità era ormai scesa del tutto. Dalla finestra, Sveva, sentiva a malapena i rumori della strada. Anche se gli effetti dell'allergia si erano attenuati, aveva bisogno di aria, così aprì le finestre.
Il ritmo dei respiri di suo marito era cambiato, ma quel ticchettio provocato dal movimento delle sue dita le era rimasto in testa e tutto intorno a sé fu oscurato, quasi messo a tacere, dai suoi ricordi. Chiuse gli occhi e la stanza le parve girare.
Fu allora che rivide Benedetto in macchina con loro e tutto incominciò a essere più chiaro, come fosse reale.
La sua mente si stava prendendo gioco di lei?
Una cosa era assodata: quel ragazzino era presente il giorno dell'incidente e continuava, in quei ricordi, a battere sul finestrino dell'auto, dicendo che era stata colpa sua, che era la causa di tutto, che non sarebbe dovuto venire al mondo. Marco correva velocemente verso l'ospedale mentre lei, Sveva, aveva in braccio la bimba, completamente incosciente. Quel ragazzo, che aveva a stento intravisto qualche volta, continuava a piangere e a dire cose che per lei non avevano una logica."Smettila!" gli aveva gridato.
Allora quello aveva smesso di battere sul vetro e, da allora, anche di parlare.Ricordò i suoi sensi di colpa per quella creatura innocente, ricordò i suoi occhi e nel contempo l'odio per il marito.
"Andrà tutto bene, vedrai. Fidati di me. Marta, non rappresenta nulla, non è come credi. Adesso pensiamo alla bambina, poi ti spiegherò tutto". Erano state quelle le ultime parole che aveva udito su quella donna. Il marito le aveva giurato che la realtà era ben diversa.
E come avrebbe dovuto essere?
Era stata tenuta all'oscuro di tutto...Poi il vuoto...
Ma quella sensazione di essere stata in qualche modo ingannata non l'aveva mai abbandonata, scivolando, insana e silenziosa, tra i suoi pensieri piú benevoli, fino a tormentarla.Mentre osservava le suore da quello studio, chiese di loro, di Suor Caterina, e scoprì con grande rammarico che l'incontro con quella donna non era avvenuto per caso, essendo stato il marito a chiedere alla religiosa di tenerla d'occhio, di starle vicino.
Così potè spiegarsi ogni cosa: la reazione e le parole di Virginia quella volta al parco, e il fatto che probabilmente lei sapesse della sua amnesia, l'affetto della suora, la sua insistenza perché andasse a trovarla, lo strano presentimento che aveva provato di frequente nei suoi confronti e il fatto che conoscesse molto bene l'ubicazione della sua casa, il comportamento socievole di Lana...
Tornava tutto.
Sicuramente era con lui che spesso si era intrattenuta al telefono furtivamente quella suora, proprio con il marito. Per la prima volta nella sua vita si era sentita accolta, amata, e questo aveva agevolato la sua guarigione. Molte ferite si erano chiuse, almeno parzialmente, ma invece era stata soltanto una farsa, tutta una recita.I suoi sensi avevano intuito prima ciò di cui lei non era stata messa al corrente: una realtà sconosciuta che si apprestava a comprendere bene soltanto adesso. Aveva avuto inconsciamente degli avvertimenti che non era stata in grado di cogliere, non almeno del tutto. Doppiamente sciocca. Difficile perdonarsi.
«È lei la madre?», ripeté questa volta impaziente.
«Sì, è lei», rispose Marco, sconfitto.
A quella risposta seguirono mille altre spiegazioni, su Marta, sul fatto che fosse completamente ignaro dell'esistenza del figlio e su come lei avesse perso la memoria.
Ribadì il suo amore per lei, Marco, e, cosa più difficile, raccontò la dinamica dell'incidente. Fu un vero colpo per Sveva. Sua figlia aveva dovuto subire tutto quello che aveva subito a causa sua, a causa loro. Sarebbe bastato che Marco si fosse fidato di sua moglie raccontandole tutto, lei avrebbe compreso, così come sarebbe stato sufficiente che lei avesse ascoltato il marito in montagna, invece tutto andò diversamente. Non avevano avuto troppa fiducia in loro, non avevano creduto a sufficienza nel loro amore.
«Forse non siamo abbastanza», ebbe il coraggio di dire.
Ma quando Marco si lasciò cadere in ginocchio, accanto a lei, non seppe opporre alcuna resistenza. L'odore dei suoi capelli, il profumo della sua pelle...
Lo aveva sempre amato, il suo amore per lui non era mai finito.Sveva si rese conto che Marco stava singhiozzando.
«Te lo giuro, non farò più nulla che possa addolorarti, ma resta con me. Tu e Francesca e Benedetto siete la cosa più bella che la vita mi abbia offerto. Ho sbagliato, tanto, lo ammetto.»
«Siamo stati entrambi degli stupidi, non è stata colpa tua, non soltanto.»
«Non voglio perderti ancora», disse Marco alzandosi.
«Tu non mi hai mai perso e non mi perderai mai.»
Erano lì, l'uno di fronte all'altro. Ogni altra parola fu inutile. Avrebbe voluto dirgli ancora che lo amava, lo amava alla follia, ma non ne ebbe il tempo. Marco le accarezzò la guancia e la delicatezza con cui le sfiorò le tempie le riempì il cuore. Assaporarono il gusto delle loro labbra e si strinsero forte, più che poterono. Si erano ritrovati. L'angoscia, tutto il dolore e il dubbio che l'aveva tormentata per giorni, facendo di Marco un nemico, si era volatilizzata. Nessuno li avrebbe più separati, nessuno tranne lei.
«Wow. Bravi. Sì, lo sapevo», proruppe Betta, euforica più che mai.
«Adesso però basta con le smancerie, avete una famiglia di cui occuparvi e io avverto un certo languorino», aggiunse contenta.
Saltellava, batteva le mani, la sua gioia era incontenibile.«Ma, da quanto tempo eri qui?», la interruppe Sveva imbarazzata.
«Dal tempo necessario per vedere il vostro bacio, che domande?»
Betta era palesemente emozionata. Abbracciò l'amica, le diede un bacio e uscirono felici dallo studio.
«C'è una cosa che però ancora non mi spiego», disse Sveva, « cosa c'era in quel portafoto nel convento? Chi raffigurava? Perché tanto mistero?»
«C'erano Benedetto e Francesca. Loro due si conoscevano e suonavano insieme», rispose Betta prontamente.
«Ci sono tante cose che devi ancora sapere», concluse Marco.
«Già, tante cose che devi ancora ricordare, ma adesso bisogna che voi iniziate a vivere. Basta col passato!» dichiarò Betta raggiante.
«Sono tanto felice per te Sveva... e anche per me.»
"Dovevano soltanto dimenticare" , aveva ragione Betta.
Adesso Sveva non poteva che essere più contenta. Aveva Marco al suo fianco, non avrebbe potuto desiderare altro. Con lui avrebbe potuto continuare a lottare per Francesca. Sarebbe stata la loro battaglia, avrebbero combattuto uniti, insieme. Ammirò il cielo stellato e desiderò tanto tornare a casa, la sua casa, la loro casa.
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L'incertezza di Sveva.
RomanceA volte la vita ci mette a dura prova e le persone su cui contiamo, i fondamenti della nostra esistenza, possono venire meno inaspettatamente. È quello che è accaduto a Sveva. Questa è la storia di una coppia perfetta, Sveva e Marco, di una famiglia...