Betta continuò a osservare quel quadretto. Quell'atmosfera era surreale. Non avrebbe saputo dire il perché, ma qualcosa stonava in quella coppia. Marco non voleva ferire quella donna, Marta, ma nello stesso tempo tentava di proteggere Sveva.
Da chi, se non da se stesso?Era lui che avrebbe procurato il dolore più grande alla sua amica...
Per quale motivo non volevaaffrontare le sue responsabilità?
Perché fuggire in quel modo?
Erano entrambi adulti e vaccinati, con un passato doloroso alle spalle, una bambina in ospedale, un percorso triste che forse avrebbe avuto un lieto fine... perché allora non risolvere tutto con lealtà, alla luce del sole?
Vedeva Marco preoccupato, lo sguardo fisso su Marta, come se da un momento all'altro da quella potesse esplodere una bomba.
Nulla forse sarebbe tornato più come prima?«Ti supplico, Sveva deve restare all'oscuro di tutto o per lei sarà la fine», disse, stropicciandosi gli occhi, palesemente commosso.
Marta gli si avvicinò, chiedendogli se se la sentiva ancora di continuare o se non fosse il caso di rimandare quella discussione a un altro momento.
«No, no, ha ragione Betta a giudicarci e a essere confusa e io non posso continuare così, con questo peso sulla coscienza. Ho bisogno di parlare, di liberarmi...»
Così Betta fu invitata a salire nello studio, non essendo opportuno, a detta di Marco, affrontare quell'argomento in mezzo ad una strada. La faccenda si faceva più complicata del previsto.
L'aria era tesa e Betta si sentiva visibilmente impacciata. La sensazione di aver sbagliato tutto e che qualcosa di più grosso stesse per venir fuori si faceva sempre più pressante.
Probabilmente Marco si era cacciato in una brutta situazione, più grande di lui, dalla quale era difficile uscirne, e quella donna era lì per aiutarlo, o forse semplicemente non aveva il coraggio delle sue azioni e quella non era che una messa in scena per giustificarsi.Ma se non fosse stato così, sarebbe Betta riuscita a sopportare una verità inaspettata? L'agitazione e l'angoscia avevano preso il posto della rabbia e dell'orgoglio.
Appena entrati, Marco fece accomodare le due donne nel suo studio. Le persiane erano ancora chiuse e, aprendole, riflessi di luce si posarono ovunque. C'erano foto dappertutto ma soprattutto c'erano immagini di Sveva ritratta in ogni modo, col pancione, con la bimba appena nata, di profilo.
Riflessi di sentimenti che, verosimilmente, non appartenevano più a quell'uomo, ma a un passato molto lontano. In mezzo a quelle foto, a quei ricordi, si sentì soffocare. Avvertì il bisogno di rinfrescarsi un attimo - quel confronto l'aveva provata - ma quello che la colpì, più di tutto, in quello studio, fu una stanza adiacente al bagno, le imposte chiuse, una luce flebile, intermittente, proveniente da un piccolo proiettore portatile ancora acceso, una bottiglia di cognac rimasta aperta.
Marco aveva dormito lì: tracce di lui ovunque. Il cuscino sul divano, il sigaro lasciato sul tavolino, due gocce di un liquido ambrato in un bicchiere di cristallo, per festeggiare presumibilmente, testimoni di una notte peccaminosa. La curiosità fu tanta, ma i fatti smentirono quelle sensazioni, cancellarono quelle congetture, sbavature di una realtà ben diversa. Si guardò intorno. Poi non resistette e così premette la diapositiva, azionando il visualizzatore di immagini.
Il pensiero di Marco era ancora fermo, sulla sua Sveva, e forse aveva bevuto per dimenticare. Lei con l'abito da sposa, la loro prima gita in barca, il primo compleanno di Francesca. Premette ancora, e poi ancora. Scorrevano quelle diapositive, a un ritmo costante, unitamente al battito del suo cuore.
«Quello che eravamo», disse Marco sorprendendola, seguito da una Marta sempre più a disagio.
«Scusami», disse Betta, colta in flagrante.
Ma Marco non l'ascoltò e, prendendo il posto di quella, continuò a far scorrere quelle foto senza sosta, commentandole con amore.
Marta si sedette su di una poltrona, le mani sui braccioli, lo sguardo fisso su quelle proiezioni.
«Qui siamo in barca, ricordi Betta?»
«E allora perché Marco, perché tutto questo?»
«Perché il destino è crudele e alle volte quello che sembra possibile non lo è affatto.»
«Spiegati, ti prego!» lo supplicò Betta.
«Sai, le cose non sono andate esattamente come tu credi, come ti ha raccontato Sveva. Non sono stato io materialmente a far del male a nostra figlia, ma è come se lo avessi fatto, sono stato io a spingerla giù, a non tenderle la mano, sono stato io a rovinare tutto.»
«No», gridò Marta, cercando di soffocare quell'urlo di dolore. Marco le strinse la spalla e così iniziò a raccontare.
«Avrei dovuto usare più tatto nel rivelare le cose, trovare l'occasione giusta, ma non c'era mai... Tutte le volte non trovavo il coraggio o le parole adatte, così quel giorno, in montagna, d'un tratto ho deciso che era arrivato il momento di parlare. Senza prepararmi un discorso, senza dosare le parole... Ma ero sempre io, sarei stato lo stesso uomo di sempre, ma forse lei ha frainteso», disse fermandosi a bere quelle poche gocce rimaste a decantare.
«Ma la verità», continuò, «che non ero preparato neanche io, come non lo era Marta.» La strinse più forte a sé. Poi posato il bicchiere, si sedette con una gamba su un tavolo.
«Ma la realtà è che la vita ci sorprende sempre, talvolta positivamente, altre meno, e non sempre si è in grado di affrontare come vorremmo, come sarebbe giusto fare, certe situazioni. E così ne restiamo spiazzati, ogni tanto feriti.»Ci fu un lungo silenzio, durante il quale si udiva soltanto il singhiozzare della donna. Betta le diede un'occhiata, sollevando le sopracciglia, ancora in attesa di Marco. Quando la gola le si chiuse per la tensione e non riuscì a parlare, alzò gli occhi e vide Marco venire di nuovo verso di lei. Prese una sedia e si avvicinò alle due donne. Era così vicino che potè notare tutti i nei che aveva sul collo.
«Devi promettermi che non parlerai mai a nessuno di quello che sto per dirti, ma soprattutto che non accennerai nulla a Sveva. Sarebbe molto pericoloso per lei. È in gioco la sua salute.»
«Non eravamo soli quella volta in montagna, se è questo che vuoi sapere, se questo può bastarti. C'eravamo io, Marta e Benedetto, mio figlio, nostro figlio.»
Betta si alzò in silenzio, verso la finestra, in stato di shock. Non c'era niente di simile nei suoi pensieri. Ogni sua ipotesi, supposizione, era ben lontana dalla realtà. Aprì le finestre per respirare. L'aria era intrisa di smog, non le arrivava l'ossigeno.
Era forse stata cieca?Marco aveva un figlio: Benedetto.
D'un tratto le venne in mente quel Benedetto.«Ma io lo conosco?» chiese, non senza esitazione.
«Sì è lui... è proprio quel ragazzo.»
Dunque, Marco, sapeva...
Ma come poteva essere a conoscenza di Sveva, Benedetto, del fatto che si frequentassero?
Un altro breve silenzio seguì, durante il quale pensò alla cosa più difficile che le era stata chiesta: mentire alla sua migliore amica. Quella scena dinanzi a lei aveva iniziato a pulsare, deformandosi.Aveva sbagliato tutto e poteva sbagliare ancora.
Una cosa era certa. Nulla sarebbe stato più uguale a prima, per lei, per tutti.
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L'incertezza di Sveva.
RomanceA volte la vita ci mette a dura prova e le persone su cui contiamo, i fondamenti della nostra esistenza, possono venire meno inaspettatamente. È quello che è accaduto a Sveva. Questa è la storia di una coppia perfetta, Sveva e Marco, di una famiglia...