30 Un Barlume di speranza

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Indecisa, Betta se ne stava davanti al portico.
Andare in giro per Parma, con tuta e scarpe da ginnastica, vestita in quella maniera?
Era questo che voleva?

Ma se significava sposare una giusta causa, se quella messa in scena andava fatta a fin di bene, beh, le cose allora sarebbero cambiate e quella situazione andava interpretata con un altro spirito.

Sentiva che, se avesse tentennato ancora, non avrebbe avuto più la forza di uscire da quella casa. L'unica cosa che si ripeteva e che la rincuorava era il fatto di non conoscere nessuno, ma proprio nessuno, lì a Parma.

Fatto un ultimo respiro e acquistato coraggio, s'infilò in macchina senza più pensarci.

Sveva, dal canto suo, era agitatissima, anche se non voleva darlo a vedere, e ammetterlo a se stessa poteva risultare un compito ingrato. Temeva di illudersi, questo sì, ma nonostante tutto intuiva che l'onda di eccitazione da cui si sentiva invasa era incontenibile e non poteva cambiare le sue sensazioni... anche se sapeva bene che un eventuale insuccesso sarebbe stato molto difficile da gestire.

Da lontano poterono finalmente vedere la Terapia Intensiva. Ubicata in prossimità del pronto soccorso e del blocco operatorio, era fornita di un ingresso di servizio per i parenti e di uno principale dal quale potevano entrare i pazienti e il personale.

Le due donne entrarono dall'ingresso principale. Contrariamente a ogni aspettativa, giungere lì fu un gioco da ragazzi. Infatti c'era stato un grave incidente stradale e nessuno aveva badato alla loro presenza. Era un movimento inarrestabile di medici, paramedici: un vero caos.

Sveva era immobile: non riusciva più a fare un passo. C'erano bambini sulle barelle.
Forse era stata coinvolta una scolaresca?
Forse gli organi di Francesca potevano...
Scacciò quel pensiero.

«Cosa fai lì impalata, svelta! Prendi quella sedia a rotelle!»

Fecero salire sopra Lana che, docile com'era, non fece alcuna protesta. La bestia vi si accasciò senza fare alcuna opposizione. Poi proseguirono per la Terapia, non prima di aver coperto il cane con un lenzuolo di fortuna.

Le porte a vetro scorrevoli si aprirono; gli ambienti erano grandi e ariosi. Betta, che non era mai stata lì, fu stupita dalle innumerevoli macchine che circondavano  i pazienti, dalle luci e dai suoni...

Cercò di non farsi impressionare, ma aveva bisogno di Sveva per proseguire. Il personale sanitario era ovunque: difficile non farsi notare... e lei non sapeva proprio come muoversi. Fu questione di un attimo: Sveva non c'era più.
Dov'era finita l'amica?
Perché si era allontanata?
Lana ormai era irrequieta, voleva sottrarsi a quel travestimento.

Afferratala per il collare, a fatica Betta riuscì a trattenerla, ma non avrebbe resistito ancora per molto. Si girò: qualcuno le stava andando incontro. A questo punto, contro ogni suo pronostico, era completamente sola.
Cosa avrebbe detto?
Come si sarebbe giustificata?
Come avrebbe gestito l'intera faccenda?
Indaffarata a occultare Lana, non si era accorta dell'allontanamento di Sveva. Poi d'improvviso la vide, poco più avanti, ferma, con le mani sul viso.

Cosa stava osservando?
Fu allora che si accorse che piangeva e, in un sussulto, fu in quell'attimo che lasciò la presa. Marco era lì con il team d'esperti che stringeva la mano di Francesca.

Erano arrivate in ritardo: non c'era più nulla da fare.
Immobile, avrebbe avuto un'espressione indecifrabile se non fosse stato per le lacrime che le rigavano il volto, che ne svelavano i più segreti pensieri, le più oscure paure.

Accartocciata nelle sue spalle, la si vedeva tremare chiusa nel suo dolore. Era tutto finito. Alcuni medici parlavano, uno esaminava gli occhi della bambina, l'altro compiva gesti per lei privi di senso.
Non era più una bambina.
In uno scatto il cane la raggiunse. Ci fu uno stupore generale: Lana correva in tondo, scodinzolando. Le pupille dilatate e gli occhi vivaci esprimevano tutta la sua gioia.

Arrivò anche a saltare sul letto mentre tutto il personale, incredulo, cercava di fermare l'animale. Guaiva, leccava le manine della bambina.

Marco guardava nella direzione della moglie, ma né lui né le due intruse s'intromisero. Una profonda commozione aveva raggiunto gli animi dei presenti: anche Lana sentiva la mancanza di Francesca, anche Lana avrebbe voluto vederla correre, giocare. I medici erano indignati: chiesero subito di portare via quella bestia e di far uscire le signore che non avevano indosso gli appositi calzari e tutti gli altri dispositivi per garantire la sterilità dell'ambiente. Le due donne vennero portate fuori quasi con la forza. Fu in quel preciso istante che Sveva riuscì a divincolarsi dalla presa di un'infermiera e, mentre i medici chiudevano il separé dinanzi al lettino della bambina, urlò ad alta voce.
«La bambina! I suoi piedi!»

«Accompagnate subito fuori la signora!» disse un medico.
«È inaudito!» aggiunse un altro indignato.
I monitor iniziarono a lampeggiare.

«I suoi piedi!»

Sveva corse verso il letto, senza sentir ragione. Iniziò a baciare quei piedi che avevano iniziato a muoversi.

«Avete visto i suoi piedi?» disse mentre stringeva a sé le gambe della sua piccina.
Successivamente, non vedendo alcuna reazione dei presenti, supplichevole si rivolse ai medici: nulla, la guardavano perplessi. «Avete visto?»

Poi andò da Marco, scuotendolo. Nessuno aveva visto quel movimento, nessuno tranne lei. I suoi occhi erano sorpresi e increduli: la bambina si era mossa. Avevano ragione a guardarla così...
Non era più se stessa, non era più in grado di gestire i suoi sentimenti. Troppe emozioni...
Aveva il cuore colmo di gioia e di paura.

Non aveva idea di cosa stesse accadendo e di cosa fosse accaduto negli ultimi minuti. Non sapeva bene cosa aspettarsi e il significato da dare a quei movimenti. Ma una cosa era certa: sua figlia aveva avuto una reazione e le macchine avevano registrato quel cambiamento. Finalmente quella piccola fiammella si era accesa. Un barlume di speranza rendeva possibile quel sogno fino ad allora ritenuto quasi impossibile: che Francesca potesse risvegliarsi.

Era stata davvero Lana a modificare le cose? Si era verificato un miracolo? Chi avrebbe mai potuto dirlo. Una cosa fu stabilita: quelle macchine non dovevano più essere spente. Qualcosa era cambiato e chissà... forse la vita stava prendendo il sopravvento

L'incertezza di Sveva.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora