38 Una seconda possibilità

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Il volto scuro e contrito, lo sguardo fisso rivolto al cielo, i lineamenti marcati. Era strano che da una donnina così piccola e minuta si elevasse così tanta dignità, così tanta grandezza. Sveva ne ebbe quasi timore. La sua figura le ricordava quelle immagini iconiche che aveva visto in alcuni santuari in Italia, non ultima quella del Santuario della Madonna Incoronata di Foggia, a cui suo nonno era molto legato.

Era sempre rimasta affascinata da tutte le ipotesi che giravano intorno alle origini del volto nero di quelle effigi: c'è chi le faceva risalire ad una lontana tradizione orientale, chi semplicemente al fumo delle candele o degli incendi che ne avevano alterato il colore, e il ritrovarsi lì, adesso, di fronte a quella presenza talmente reale e pura, la metteva a soggezione. Tentò un approccio delicato, temendo di poterla disturbare: non fu facile parlarle, tanto sembrava spaventata.

«La prego, non vada via! Soltanto un attimo», chiese Sveva supplicandola.
Aveva fretta di sapere e temeva l'arrivo imminente delle altre suore.

Ma quella rispose a stento, proferendo quelle poche parole tanto velocemente che a Sveva parve di non riuscire appieno a coglierne il senso. Per quanto si sforzasse di catturarne il significato, quello sembrava sfuggirle. Notò che la suorina era molto agitata e in più il suo accento indiano non agevolava la conversazione. Comunicare non era affatto facile.

Poi d'improvviso, tutto d'un fiato, la rivelazione.

«Sono stata cattiva, e lei dovrebbe stare lontana da me», piagnucolava.

«Perché?» incalzò Sveva facendosi forza.
Non era nella sua natura essere invadente, né tanto meno pressante come invece cercava di essere in quel momento, ma doveva farsi violenza e sforzarsi, per il bene di tutti, per la ricerca della verità.

«Si lasci aiutare, mi faccia capire. Ha a che fare con Benedetto?»

«Sono stata io... è colpa mia», sbottò quella, lasciando la sua interlocutrice attonita.

Sveva fece finta di comprendere e le si avvicinò accarezzandole la spalla.

«Sono sicura che sarà stata mossa dalle migliori intenzioni e Dio saprà perdonarla.»

Allora, soltanto in quel momento, ottenne la sua attenzione. Quella donna la fissava.

«Non potevo più vederlo così, suonare per ore, nel tentativo di dimenticare. Quel piano, la sua passione per la musica, lo stava distruggendo. Quella che fino a pochi giorni prima era stata la sua salvezza, si stava rivelando la peggior nemica. Passava le ore seduto a esercitarsi, fino allo sfinimento, per dimenticare, per non pensare a quel momento maledetto.»

Fu presa da una grande tristezza, poi disse ancora:

«Come se la sua vita fosse stata facile... è scomparsa anche lei: ma non è dipeso da lui. Non potevo vederlo così e allora l'ho fatto», continuò a parlare in modo sconclusionato.

«Cosa ha fatto? Chi è andata via? Si spieghi meglio, per favore, lo faccia per lui.»

«Ho manomesso io il piano e da allora Benedetto ha smesso di parlare. Sono sicura che è successo tutto per colpa mia. Ma le suore, loro, non sanno nulla.»

Sveva era dispiaciuta, per Benedetto, per quella confessione a cuore aperto, tuttavia non vedeva cattiveria in quell'epilogo, soltanto un gesto inconsulto dettato dell'amore. Un tentativo goffo di porre fine a quel malessere.

«L'avrei fatto anch'io al suo posto, non deve farsene un cruccio. Forse le cose sarebbero andate peggio se lei non fosse intervenuta in quel modo - chi può saperlo - o forse la vicenda avrebbe preso un altro risvolto. Lei voleva soltanto aiutare Benedetto, soltanto questo. Anche io voglio il suo bene ma per fare ciò, per salvare quel ragazzo, ho bisogno del suo appoggio. Mi dica di quella luce, quella scomparsa. Chi è andata via dalla sua vita? Sua madre? Potremmo cercarla. Coraggio, parli!»

L'incertezza di Sveva.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora