Betta uscì fuori da quell'ufficio sentendosi sciocca e offesa. Rashad l'aveva praticamente invitata ad andare via, a chiudere quella faccenda, a rinviarla in altre sedi, anche se non in malo modo. Per un momento la donna rimase sotto quel grande albero, a osservare il suo ufficio, a riflettere su quanto era accaduto non sapendo di essere a sua volta guardata.
I ragazzini che giocavano a calcio non c'erano più. Al loro posto c'erano tre bambini, di origine vietnamita probabilmente, che si divertivano a far volare un enorme aquilone dai colori sgargianti. Lo tenevano alto, sopra le loro teste, seguendone il volo.
Correvano felici e spensierati e il loro vociare riecheggiava nella piazza. La giornata era calda e assolata. Pensò e ripensò a quella breve conversazione e si convinse che forse Rashad aveva agito nella maniera più corretta possibile.
Ciononostante quella sconfitta, lei che era abituata sempre a vincere, le bruciava tanto. Ora come mai sentiva di dipendere totalmente da lui, di esserne profondamente soggiogata. Amava tutto di quell'uomo, non poteva più negarlo a se stessa.Il suo modo di fare, la sua integrità, il suo fisico scultoreo... la catturavano totalmente. Per un attimo trattenne l'impulso di ritornare indietro, di cantargliene quattro. Desistette, rendendosi conto che si sarebbe rivelato un motivo futile per tentare un ultimo contatto, uno sciocco pretesto per rivederlo ancora.
Non doveva cadere in quel tranello, non ora; doveva concentrarsi su Sveva e Marco e, chissà, forse il destino le avrebbe dato un'altra possibilità. Lungo il percorso che la conduceva in macchina, trovò un mercatino. La gente contrattava, tutti erano indaffarati.
Quando il caldo si fece insopportabile, fece una sosta per comprare una granita dal ragazzo delle bibite, pensando a quello che avrebbe fatto durante il resto della giornata. Girò poi per le bancarelle, curiosò tra vecchi libri impolverati, testimoni di un'epoca andata.
Si fermò per comprare dell'intimo dal vecchietto delle calze - erano tutte stese in ordine a un palo di bambù - quando a un certo punto, alzando gli occhi, vide lui, Rashad. Era un sogno, un miraggio. Non poteva essere vero. Poi scomparve, tra la folla. Lo cercò tra quella gente, invano, poi ritornò indietro e camminò ancora, finché, stremata, non si accorse di aver lasciato la borsa da qualche parte, forse tra i libri.
Corse e ancora corse, confusa, agitata. Lì, nella borsa, c'erano quelle carte: non poteva perderle.
«Ehi, fai attenzione!» le disse una vecchietta a cui aveva fatto rovesciare il carrello della spesa.
L'aiutò, in tutta fretta, a recuperare il carico, avendo prescia di reimpossessarsi di quei documenti. Affranta, tornò a casa. Non aveva concluso nulla e in più aveva il cuore a pezzi, ma per fortuna aveva ritrovato la sua borsa.Si lasciò cadere sul divano e dopo un po' fu raggiunta da Sveva.
«Siamo attive stamattina?»
«Scusami», disse Betta, pentita di essersi lasciata tanto andare in atteggiamenti poco convenienti, in fondo non era a casa propria. Si risistemò, assumendo una postura adeguata alla situazione, ma Sveva, stupendola, prese a imitarla, spiaggiandosi praticamente sulla chaise longue, sotto la finestra.
«Ricordi che oggi tocca a te cucinare?» le rammentò Betta.
«Sì, certo che lo ricordo. Vedrai... mangerai una piadina romagnola come non hai mai fatto! Sono sicura che ti stupirò.»
«Va bene», disse l'amica, «purché tu non mi faccia aspettare troppo. Il mio stomaco brontola dalla fame.»
Stettero in silenzio qualche minuto, ognuna immersa nel suo mondo.
«Muoio di fame e di caldo», continuò ancora la riccia.
«Ma perché non vieni qui affianco a me? Soltanto cinque minuti. Arriva una bella brezza e quando osservo questo paesaggio, gli alberi in lontananza, la collina, ho come la sensazione di vedere il mare, il suo luccichio. È una sensazione bellissima!»
«Ah, non ne ho dubbi. Il mare... », fece quella perplessa, «una sensazione bizzarra, passami il termine».
Curiosa, si sdraiò accanto all'amica per verificare.
«Brava, così», fece Sveva, facendole spazio.
«Stai bene?», chiese poi a Betta.
«Benissimo. Mi addormenterei quasi... Hai ragione: il venticello, gli alberi che si muovono...sembra tutto perfetto.»
«Lo vedi il mare? Senti il suo rumore? Prova a chiudere gli occhi!»
«Sarà...» fece quella scoppiando a ridere, «ma io non vedo nulla.»
«Ma allora prova a sentire il suo rumore! Chiudi gli occhi», insistette.
«Lo sento, lo sento! Hai ragione. Mi ricorda quando un giorno andammo tutti insieme al mare. Io, Maurizio e Lorenzo. Eravamo tanto felici», disse rattristata.
Poi continuò, non senza commozione.
«E a te? Mancano quei momenti, la tua vecchia vita, lo stare tutti insieme?»
Anche Sveva si incupì.
«Sì, mi manca tanto. Era tutto così bello, fino a quel momento, quel bruttissimo momento.»
«Ma dimmi una cosa, come è avvenuto l'incidente? Ti va di raccontarmi, ora che le cose si stanno aggiustando? Non ho mai saputo, né avuto il coraggio di chiedertelo. Intendo nei particolari...»
Sveva si morse il labbro, poi ritornò in silenzio.
«Dunque?» osò quella, ancora.
«Non capiresti!»
«Mi credi così stupida?» disse indignata.
Allora l'amica, per rimediare, rispose:
«Credo sia stato Marco. Sì lo sento. Io... dovevo stare con lei, non affidarla a lui. Non avrei dovuto lasciargliela.»
«Ma io credevo che foste insieme quando è accaduto... insomma, quello che poi si è verificato!»
«Eravamo insieme», disse Sveva alzandosi e dandole le spalle.
«E allora perdonami, ma io non riesco a seguirti. Perché dici di pensare, di credere? Sembra quasi che tu non fossi lì al momento dell'incidente. Dimmi come sono andate le cose e basta, senza interpretare o giudicare gli accadimenti. Spiegami la dinamica!»
«Non è facile.»
«Perché non è facile?»
Sveva iniziò a tremare e a sudare. Betta potè notare le sue mani, i suoi movimenti impacciati. C'era qualcosa che non andava in lei. Iniziò a toccarsi convulsamente i capelli, a sistemarli dietro le orecchie.
«Sveva», disse Betta alzandosi e prendendola per le spalle, «dimmi, sono qui! Avete litigato tu e Marco e forse avete dimenticato la bimba? Vi siete distratti? È successo in montagna, giusto? C'era anche Lana con voi, vero? Non ti giudicherò male, qualunque cosa sia successa... ma parlarne ti aiuterà, a darci un taglio, a ricominciare.»
Ma quella non fiatava, tenendo il capo chino e lo sguardo perso, nel vuoto.
«Guardami, adesso ti ordino di guardarmi! Sei stata tu allora! Perché non rispondi? È come se nascondessi qualcosa. Allora?»
«Allora no, no, nooo», disse Sveva gridando, sottraendosi a quell'interrogatorio.
«Come ti viene in mente?» continuò incredula.
Come poteva l'amica arrivare a tanto?«E allora raccontami! Come è avvenuto realmente l'incidente? Perché sei così...» ma non terminò la frase, che quella iniziò a urlare.
«Io non lo so, non lo ricordo. Contenta? Non lo so», disse piangendo, mentre Betta le corse incontro tenendola stretta.
«Non lo so, ma sento che è colpa sua, ne sono sicura.»Quelle parole turbarono Betta, non poco.
Era possibile che una persona non ricordasse qualcosa successa soltanto qualche mese prima?
Nascondeva dell'altro Sveva o era in buona fede?
E Marco sapeva?
Aveva a che fare con quella diagnosi quel suo stato di confusione?
Il suo pensiero tuttavia andò a Marco e ne ebbe pena. Sveva lo aveva accusato da sempre, ritenendolo responsabile dell'incidente.
Ma se l'intera vicenda non fosse andata esattamente così come asseriva Sveva?
Lo avrebbe scoperto, presto.
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L'incertezza di Sveva.
RomansA volte la vita ci mette a dura prova e le persone su cui contiamo, i fondamenti della nostra esistenza, possono venire meno inaspettatamente. È quello che è accaduto a Sveva. Questa è la storia di una coppia perfetta, Sveva e Marco, di una famiglia...