51 Piume di struzzo

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Con quella cosa tra le mani Sveva si precipitò nuovamente nello studio di Rashad. 

«Ancora un po' di pazienza tesoro. Puoi fare questo cruciverba oppure sfogliare questa rivista, ma fai in silenzio», disse nel frattempo a Benedetto.
Cominciava a sudare freddo. Le mani erano appiccicose. Il ragazzo quasi non la guardò - sembrava più triste di prima - ma non c'era tempo; di Benedetto si sarebbe occupata in un altro momento.

Sapeva di essere stata molto dura con lui, in fondo non lo conosceva per niente, e per questo si disse che avrebbe rimediato. Con un fazzoletto sul naso e gli occhi gonfi entrò con una certa irruenza nella stanza. Ed eccoli lì, avvinghiati, ed ecco la prova che cercava.

La borsa di Betta, quella di piume di struzzo rosa, era messa là, in un angolino.
Come aveva fatto a non notarla?
Non era una semplice cordicella quella che Benedetto aveva tra le mani, non una semplice piuma, ma il segno più evidente che l'amicizia non esisteva, che Betta non era legata a lei, non almeno quanto credesse, e che lei era stata soltanto una povera stupida, una povera illusa.

Aveva creduto di poter ritrovare l'amore, aveva pensato di contare qualcosa per Rashad, e invece di tutte quelle speranze non le era rimasto che una manciata di menzogne. Non contava più nulla per nessuno. Per Marco era meno che niente. E chissà come si erano presi gioco di lei. Immaginava le loro risate alle sue spalle. Una tristezza infinita la colse.

Non riuscì a dir nulla. Ma non servivano le parole...
Tutto si commentava da sé. Si sentì un fallimento. Sembrava che l'universo si fosse accanito contro di lei. Tutto ciò che vedeva in un certo modo non era proprio come appariva. Aveva assistito a troppe versioni di sé, ma quella sarebbe stata la più triste in assoluto.

Una donna delusa, amareggiata: ecco quello che era. Quella Betta, quella che si era prodigata per lei, sempre, non esisteva più e forse non era mai esistita. Altri fini, a lei oscuri, l'avevano guidata. Un Rashad imbarazzato uscì da dietro il paravento. Le labbra più rosse di prima. Ora capiva finalmente tutto, Sveva. 

L'uomo la fissava. Sì accarezzò i capelli per il disagio, per stemperare l'imbarazzo.
«Non perdo mai il vizio. Mi piace essere rincorso. Che ci posso fare?» disse guardando Betta che, con un'occhiataccia, gli intimò di non aggiungere altro. 

«Lo vedo», disse Sveva, e, senza dire una sola parola, uscì da quella stanza velocemente così come vi aveva fatto irruzione.
Non voleva soffermarsi ancora a lungo in quel posto, ma aveva bisogno di entrare in bagno e lavarsi il viso; il bruciore agli occhi le stava dando il tormento.
«Non è come pensi, tesoro. L'ho fatto per te! Sono venuta per te!», le disse l'amica seguendola nella toilette. 

«Cosa? Cosa sentono le mie orecchie? L'hai fatto per me? Faresti bene a tacere.»

Calde lacrime le scendevano, rigandole il viso. Per la prima volta Sveva provò un sentimento nuovo, che non aveva mai sperimentato. Ebbe compassione di se stessa. Era come se dall'esterno potesse osservare la sua vita, ed ebbe tanta pietà. Non le ne andava bene una, non una sola cosa. 

Le si stava seccando la bocca e cercò di inumidirsi le labbra. La vicinanza di Betta le accentuò quel malessere. Pensò che avrebbe dovuto uscire subito di lì o avrebbe cessato di respirare. 

«Devi ascoltarmi», ripeté Betta, tentando di mantenere una certa distanza per non peggiorare l'allergia dell'amica.

«So che ti sembrerà incomprensibile…»

«L'aggettivo non è proprio quello adatto», rispose Sveva, cercando di trattenersi dall'esplodere, più che altro per non spaventare Benedetto.

«Lasciami parlare, ti prego. Sono davvero venuta qui con un altro fine. Volevo proteggere te, ho pensato solo a te. Non puoi trattarmi così dopo tutto quello che ho fatto…» disse Betta piangendo. 

Sveva non l'aveva mai vista in quello stato. Dava l'impressione di essere davvero mortificata. Continuava a lavarsi furiosamente le mani, per tirar via la crema all'essenza di bergamotto che le aveva causato l'allergia. Si sentì stringere il cuore. Rimasero a fissarsi l'un l'altra per alcuni secondi.

Uscirono dal bagno, mentre Benedetto le fissava, spaventato. 

«Non posso lasciarti andare via così, ho paura per te…»

«Dovevi pensarci prima», le disse con uno sguardo furioso, spingendola. 

Non riusciva a sopportare l'idea che un'amicizia potesse finire così, per mancanza di lealtà.
In fondo a lei cosa importava di Rashad?
Cosa le importava di tutto il resto?
Era una scusa per dimenticare, per ovviare a una realtà più dura e illogica: amava ancora Marco, nonostante tutto, nonostante le sue confessioni. Ma quella menzogna e il fatto di essere stata abbandonata dall'amica nel momento di maggior difficoltà proprio non le andava giù. Betta avrebbe potuto dirle cosa provava per il bel dottorino, avrebbe potuto rivelare i suoi veri intenti, e invece solo bugie...

«Mi spiace di averti dato l'idea di…»

«Non importa. Non voglio vederti più», disse Sveva inaspettatamente. 

«L'ho fatto perché tu non sapessi la verità. L'ho fatto soltanto per questo, Sveva», si lasciò sfuggire bruscamente. 

«Cosa diavolo dici?»

La sala era immobile e il silenzio la inghiottì, rotto soltanto dalla voce di Marco che, avvisato da Betta e contemporaneamente dalla suora, si era recato nello studio. 

«Papà», urlò il ragazzino. 

Parole non dette e sentimenti inespressi permeavano quella stanza. 

"Papà", riecheggiava quella parola con un significato diverso, insolito, gettando ombre ovunque.
Era stata tradita?
La sua vita fino ad allora era stata tutta una menzogna? 

Eppure qualcuno si era emozionato sentendo il ragazzo parlare, eppure lei non aveva provato altro se non un enorme stupore. Paura e stupore. Il ragazzo si lanciò tra le braccia del padre, mentre Marco non aveva occhi che per lei. Continuò a fissarla emozionato, anche lui incapace di proferire parola. 

Si sentì bloccata...
Quel ragazzo che aveva tanto avuto a cuore era il frutto dell'inganno. L'idea che potesse cambiare tutto nei suoi confronti, anche il modo di guardarlo, la terrorizzò. Si alzò per guadagnare la finestra e per cercare di concentrarsi su qualcos'altro che non fosse Marco, il ragazzo, Betta, non riuscendo a dar voce alle sue emozioni. Quelle parole, ancora prive di un significato concreto, iniziarono a girargli in testa.
"Papà". 

Giunsero poco dopo nello studio anche Suor Caterina e infine Suor Cinema.  

Le suore portarono via Benedetto e con loro andò via anche Rashad, ignaro ancora di alcune cose che Betta non aveva fatto in tempo a spiegargli. Era necessario lasciarli soli, era importante che Sveva e Marco si chiarissero. 

Sveva si sentiva tagliata fuori, come scollegata. Una sensazione terribile. Aveva passato ore a vagare in macchina, senza una meta, aveva mangiato qualcosa al volo e adesso avvertiva un grosso peso sullo stomaco. Il buio era ormai sceso e la stanza era in penombra. I due rimasero in silenzio per alcuni minuti. Quel ragazzo era stato l'unico spiraglio di luce che aveva dato un senso alla sua vita. Se non fosse riuscita a salvare Francesca, avrebbe tentato almeno con lui, ma persino in questo aveva sbagliato.

«Dunque Benedetto è tuo figlio», domandò ancora incredula con un fil di voce. 

Cercava di trovare un nesso, qualcosa per capire cosa stesse succedendo, non riuscendo a concepire come pura casualità l'incontro con quel ragazzo. 

«Perché proprio lui? Com'è possibile?», concluse dandogli le spalle, rivolta ancora alla finestra.
Continuava a guardare la strada. 

Vide le suore avvicinarsi a una donna. Era la stessa che aveva visto con il marito il giorno in cui incontrò Virginia. Le suore davano l'impressione di conoscerla. 

«È lei la madre?»

Marco batteva nervosamente le dita sul piano della sedia, proprio come suo figlio. Lo faceva sempre quando era nervoso. 

Avrebbe dovuto capirlo, dalla somiglianza, dagli atteggiamenti... avrebbe dovuto arrivarci. 

Quanto era stata ingenua!

L'incertezza di Sveva.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora