La sensazione dei ciuffi d'erba bagnati tra le dita era davvero rilassante. Doveva ammetterlo: era una delle esperienze più belle che avesse mai provato negli ultimi mesi, uno di quei i piaceri che tutti, proprio tutti, prima o poi, dovrebbero concedersi: camminare a piedi scalzi sul prato. Buffo vero, come così poco possa darti talmente tanto? Se ne stava lì in mezzo, con la torre che pendeva, disegnando giravolte con la punta dei piedi.
Avvertiva una stato di benessere indescrivibile.
Chi l'avrebbe mai detto?
Aveva letto, da qualche parte, di una sorta di "sincronizzazione con la carica elettrica naturale della terra", ma mai avrebbe pensato che i benefici del camminare a piedi nudi sarebbero stati così dannatamente scioccanti, così maledettamente immediati.L'atmosfera era surreale: lei, che era abituata a vedere quel posto gremito di gente, pieno di vita, con le bancarelle aperte, con le persone intente ad acquistare gli oggetti più inutili pur di accaparrarsi il souvenir del luogo, ora si trovava da sola in quella piazza in contemplazione del nulla. Ma quella pace sarebbe durata poco...
Prima o poi sarebbero arrivati i soliti turisti, prima o poi si sarebbero divertiti a scattare foto, delle più disparate.Unica protagonista? La prospettiva. Così avrebbero finito col fingere di sostenere la torre, di mangiarla come fosse un gelato, di buttarla giù rovinosamente o di bere il suo contenuto grazie a una cannuccia.
Intanto il rumore dei passi di qualche passante risuonava nella piazza semideserta che riecheggiava il canto stridulo delle rondini.
Qualcuno si sarebbe chiesto mai perché la torre era così stranamente storta?
A qualcuno sarebbe importato?Era strano pensare come la candidata a una delle sette meraviglie del mondo si presentasse così a causa della cedevolezza del terreno. Era altrettanto meraviglioso e straordinario concludere come, nella sua imperfezione, quell'opera ingegneristica fosse impeccabile e attirasse a sé, ogni anno, milioni di turisti.
Da quella postazione poteva ammirare anche quelli che Gabriele D'Annunzio nominò "miracoli" e da cui poi derivò il nome popolare (e improprio) di piazza dei Miracoli: la Cattedrale, il Battistero e il Campo Santo.
Quanta bellezza!
Una persona le si avvicinò per chiederle di accendere la sigaretta, altri si avviavano velocemente imboccando le stradine laterali del piazzale.Il calesse con i cavalli occupò la solita postazione, pronto a portare a spasso i primi visitatori. Tutto cominciava a prendere vita. Nonostante la stagione, l'aria era frizzantina, ma quel venticello che le sferzava il viso non era affatto spiacevole. Si avviò in un bar, approfittando della saracinesca semiaperta.
Prendere un caffè caldo, lì, godendo di quello spettacolo, non era cosa di tutti i giorni: lo avevo dimenticato, lo aveva sottovalutato troppo a lungo. Si avviò per il centro; più tardi avrebbe preso l'autobus che l'avrebbe accompagnata da Betta.
Le fronde degli alberi erano verdi, di un colore brillante. Da esse filtrava il sole ancora timido. Qualche vecchietto era fermo all'edicola a rubare qualche notizia con gli occhi, qualcuno faceva jogging, altri andavano in bicicletta. Riempì d'aria i polmoni, espirando lentamente dalla bocca, quasi a voler imprimere nel cuore quegli attimi di profonda quiete.
I giardini erano ben curati, ogni cosa era tenuta amorevolmente al suo posto, tutto era come sempre. Ascoltò il suono di un violino provenire da una finestra lasciata aperta. Passò dalla mensa universitaria per poi arrivare alla piazza dei Cavalieri: non la ricordava così bella.
È proprio vero che le cose si apprezzano quando non si hanno più sotto gli occhi, quando le dai per scontate e all'improvviso ti accorgi che poi tanto scontate non sono.Salì i pochi gradini che conducevano alla Normale di Pisa: di lì il panorama era ancora più bello.
Quante volte si era seduta su quelle scale con le amiche, magari mangiando un gelato o ripetendo le lezioni ?!Quante volte era stata lì da sola a fantasticare, intrattenendosi anche fino a tardi?!
Le piaceva vedere gli abitanti chiacchierare e passeggiare lì la sera. Amava osservare gli studenti recarsi in fila alla mensa, soddisfatti, magari, di una lunga giornata di studio. Prese a camminare per Borgo Stretto, una delle più belle vie della città, ricca di negozi, locali e bar; talmente frequentata durante il giorno, così stranamente vuota durante la sera.A un certo punto però, accortasi della tarda ora, decise di rincasare.
La passeggiata di ritorno non si prospettava così piacevole come era stata quella dell'andata: cominciava a fare davvero caldo e aveva camminato davvero tanto. Salutato l'Arno si girò, dirigendosi verso la direzione opposta.Poco distante dalle mura prese l'autobus che l'avrebbe portata a San Giuliano, dalla Betta. Il viale alberato che portava al paesino era davvero suggestivo, sebbene ricco di curve che ad ogni svolta rischiavano di farle perdere l'equilibrio. In meno di quindici minuti fu lì, al paese. Dai balconi e dalle terrazze, ricolmi di piante, si vedevano pendere bellissimi gerani dai svariati colori: bianchi, rossi e persino striati.
Oltrepassata la chiesa, si trovò dinanzi al portoncino dell'amica. Udì le voci di un bambino...
Doveva essere Lorenzo che giocava col pallone.
Fu lui ad aprirle la porta. Da quanto tempo non lo vedeva e come era cresciuto. Lo sguardo interrogativo dietro gli occhialetti, le gambette lunghe e magre: era diventato proprio un bellissimo ometto, somigliante alla mamma nel fisico e così distante da lei nel carattere.Il bimbo le fece visitare la casa, mostrandole il suo nuovo amico Lillo: un piccolo criceto bianco dagli occhi rossi. Il giardino, piccolino, era curatissimo come sempre.
«La mamma dice che ci sarà una sorpresa per te e chissà che faccia farai... »«Ha detto così?» chiese Sveva incuriosita e divertita.
«Sì, ha detto che ti avrebbe fatto molto piacere.»
Sveva rimase non poco sorpresa da quella rivelazione.
Forse che Betta avesse voluto cucinare qualcosa di buono per lei?Strano! Dalla cucina non proveniva nessun profumo e lei era poco propensa a simili attenzioni: non perché non fosse una persona affettuosa ma perché una vera frana in cucina.
Mentre la Betta continuava a prepararsi nel bagno, il bimbo la fece girare per tutte le stanze.Poi scomparve. Sveva, palesemente esausta, si mise seduta su di una panchina in giardino; era tutta la mattina che camminava e sentiva i piedi pulsare per il caldo e la stanchezza. Mancava da quella casa dal giorno della laurea della Betta, precisamente da giugno. Il pensiero andò lì, a quel giorno, quando con Marco sembrava tutto finito e invece era solo l'inizio.
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L'incertezza di Sveva.
RomanceA volte la vita ci mette a dura prova e le persone su cui contiamo, i fondamenti della nostra esistenza, possono venire meno inaspettatamente. È quello che è accaduto a Sveva. Questa è la storia di una coppia perfetta, Sveva e Marco, di una famiglia...