i let the time pass too fast

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Passiamo tutta la serata a letto, senza nemmeno aver cenato: ad entrambi si è chiuso lo stomaco e il cibo è diventato alla svelta l'ultimo dei nostri pensieri. Gustav è sdraiato a pancia in su, con le mani abbandonate sul torace e gli occhi piantati sul soffitto; mentre io sono rannicchiata accanto a lui, con la testa sul suo cuscino in modo da stargli il più vicino possibile.

"Visto che siamo in ballo, a questo punto è giusto che ti racconti tutta la verità", mormora lui, con una voce che sembra provenire dall'oltretomba.
"Gus, no, non ce n'è bisogno. Se parlarne ti fa stare così, non voglio saperla", cerco di fermarlo, ma lui mi ignora e inizia a raccontare tutto.

"Poco tempo dopo la festa di bentornato che avevi organizzato qui, dopo che ero stato dimesso dall'ospedale, avevo ricominciato a frequentare i miei amici e contemporaneamente avevo mollato le sedute dallo psicoterapeuta. Ti ricordi?". Piega leggermente il capo nella mia direzione, guardandomi negli occhi per un solo secondo, come se avesse paura ad incrociare il mio sguardo.
"Certo", gli dico annuendo.
"Avevo già ricominciato a farmi: avevo ceduto tipo un mese dopo essere tornati da El Paso. Non esageratamente e nemmeno con tanta frequenza, riuscivo a controllarmi ed a darmi dei limiti, ma comunque almeno un paio di volte a settimana finivo per calarmi qualche pasticca o tirare un paio di righe. Non te l'ho mai detto, non sono mai riuscito a farlo neanche quando me lo chiedevi sfacciatamente: mi avevi aiutato in tutti i modi possibili, ma io c'ero ricascato comunque e mi sentivo una persona di merda. Ti ricordi le ultime settimane prima che me ne andassi? Ero tipo depresso, non riuscivo neanche a guardarti in faccia e non facevo altro che pensare a quello che ti avevo fatto passare fin dal primo momento in cui ci eravamo conosciuti".

Lo ascolto con i muscoli totalmente rigidi, non riesco a muovermi. Non so nemmeno cosa pensare, non riesco davvero a mettere in ordine le idee in questo momento.

"Non riuscivo a sopportare il fatto che avresti potuto scoprirlo da un momento all'altro. Cazzo, non facevo altro che immaginare l'espressione di delusione sul tuo viso se mai mi avessi beccato strafatto. Allora avevo deciso di eliminare il rischio: me ne sono andato, sono sparito portandomi via con me tutti i miei problemi".

Una lacrima solca traballante la mia guancia mentre lo ascolto parlare: non sono arrabbiata nè delusa, la cosa che più mi fa male è scoprire solo ora il fatto che lo facessi sentire involontariamente tanto di merda.

"Non sono riuscito ad ammettere di esserci ricascato con le pillole e con la coca nemmeno nella lettera che ti ho lasciato: non volevo farti sentire come se avessi fallito con me, perché sapevo quanto ci tenessi al fatto che riuscissi a rimanere sobrio. Non che tu abbia fallito in questo senso, sia chiaro, ma ero sicuro che l'avresti presa sul personale, quindi ti avevo scritto che avevo bisogno di tempo per ritrovare me stesso, ma non era del tutto vero: semplicemente volevo evitare di darti un'ennesima batosta, dopo tutto ciò che ti avevo già fatto passare. Non so per quale strana ragione, ma il mio cervello ha pensato che fosse meglio lasciarti in quel modo, piuttosto che deluderti dicendoti che avevo ricominciato a drogarmi".

Faccio quasi fatica a respirare, sento un peso sul petto che mi chiude la gola e non so nemmeno cosa dire, sono totalmente bloccata, è come se il mio cervello avesse staccato la spina e avesse deciso di smettere di funzionare. Vorrei dirgli un milione di cose ma non ci riesco, le parole mi muoiono in gola.

"Mi ricordo ancora come se fosse ieri quella volta in cui mi avevi raccontato che in futuro avresti voluto una famiglia e una casa al mare. Ogni parola che aggiungevi per descrivere il tuo quadretto perfetto era come una spina che mi si conficcava nel cuore, perché sapevo che non potevo essere io la persona che ti immaginavi al tuo fianco. Sono scappato in Europa fondamentalmente perché volevo smettere di farti perdere tempo, speravo che ti saresti dimenticata di me prima o poi. Volevo solo che tu andassi avanti con la tua vita, che ti innamorassi di un bravo ragazzo e che diventassi una donna felice e realizzata. Mi consideravo un peso, temevo che prima o poi ti avrei trascinata a fondo con me: così mi sono levato dalle palle, volevo darti una seconda possibilità".

"Cazzo, Gus... davvero pensavi questo?": é letteralmente l'unica cosa che riesco a balbettare incredula, con la voce che mi trema. Faccio dei respiri profondi per cercare di tenere sotto controllo le emozioni, ma in questo momento mi sento come uno tsunami. Sentirmi dire in faccia quelle cose è un colpo al cuore: mi ferisce profondamente sapere che aveva (e ha tuttora) talmente poca considerazione di sé da reputarsi un fardello anche per le persone che lo amano.

"Ti ho lasciata sperando che nel frattempo sarei riuscito a rimettermi in sesto, il mio piano era quello di allontanarmi dalla vita frenetica di L.A. e da tutte le sue tentazioni per tornare pulito, in modo da non essere più quel qualcuno di cui preoccuparsi costantemente. Mi ripetevo nella testa le frasi che mi diceva sempre mio padre per spronarmi: fai l'uomo, cresci, impegnati. E io ci ho provato a diventare migliore, davvero, ma non è servito a un cazzo: spesso riuscivo a passare settimane intere senza toccare niente, ma poi c'erano giorni che mi sembrano troppo difficili da sopportare. Alcune volte mi sentivo schiacciato dal peso del passato, non facevo altro che mettere in discussione tutte le scelte che avevo preso: finivo sempre per convincermi di non aver mai fatto nulla di giusto e, per mettere a tacere certi pensieri, dovevo sballarmi in qualsiasi modo".

Per tutto il tempo della sua confessione, Gus ha tenuto gli occhi piantati sul soffitto; non si è praticamente mai mosso, ha parlato a raffica facendo poche e brevissime pause. Gli poggio una mano sulla guancia e gliel'accarezzo dolcemente, facendo una leggera pressione in modo che si volti verso di me e mi guardi in faccia.

"Gus, come hai potuto credere che la mia vita sarebbe potuta migliorare senza di te?", gli domando a bassa voce, ma con un tono convinto: "Smettila di pensare di non essere abbastanza o di essere un peso, perchè sei la persona più straordinaria che abbia mai conosciuto, cazzo. Hai i tuoi vizi e i tuoi difetti, ma questi non ti rendono affatto inadatto, almeno non per me".

E' evidente che lui stia provando a trattenersi dal piangere: ha gli occhi lucidi e il mento gli trema leggermente.

"Tu non sei i tuoi problemi e le pillole non ti rendono una persona di merda. Gus, io ti amo per chi sei, per il tuo modo di pensare, per come mi fai sentire quando siamo insieme, perché sei la persona più buona e altruista dell'universo; non di certo in base al fatto che tu sia sobrio oppure no. Certo, mi farebbe felice saperti fuori da certi giri, ma sono l'ultima persona che può giudicarti adesso".

Mi stringe a sé con forza, come se avesse paura che possa scappare da un momento all'altro; riesco a sentirlo singhiozzare come un bambino mentre tengo la testa infossata nell'incavo della sua spalla.

"Ti amo", mormoro, accarezzandogli la nuca: "E voglio te con tutta me stessa, non m'importa di nient'altro".

The last thing  I wanna do - parte 2 // LIL PEEPDove le storie prendono vita. Scoprilo ora