family

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Seduti al nostro posto a bordo dell'aereo al JFK International Airport, in procinto di decollare per tornarcene già a casa, Gus mi afferra una mano e me la stritola: "Cristo, che ansia. Spero che lo Xan faccia effetto alla svelta".

Non so perché volare lo renda tanto nervoso: anche durante il viaggio di andata è stato agitato per tutto il tempo, nonostante avesse preso qualcosa prima del decollo.
Per cercare di rasserenarlo un po', cerco di farlo chiacchierare il più possibile, in modo da distrarlo: "Allora, come è stato questo weekend?".
Sempre tenendomi stretta la mano, risponde con un sorrisetto: "Sono stati due giorni bellissimi, grazie Bianca. Davvero".
Gli sorrido in tutta risposta, guardandolo dritto in quei suoi occhietti vivaci. Non riuscirei ad esprimere a parole quanto sono felice di averlo visto così sereno, mi è sembrato tutt'altra persona perché so che la sua famiglia è la cosa più importante per lui.

L'altro giorno, dopo essere atterrati a New York, abbiamo subito preso un taxi alla volta della sua città natale. Inutile dire che è stato agitato per tutto il viaggio in auto, ma quando il taxi ha svoltato nella via e abbiamo iniziato ad intravedere tutta la sua famiglia schierata sul marciapiede fuori casa, tutta la tensione che aveva in corpo si è sciolta improvvisamente: ha iniziato a ridere ed ad applaudire per la gioia, come un bambino.

I suoi famigliari ci hanno accolti a braccia aperte, erano tutti lì ad aspettare sul vialetto il nostro arrivo, trepidanti e con dei sorrisi enormi. Non credo di aver mai visto tanta felicità come quella che c'era sul viso di Liza nel momento in cui ha stretto a sé suo figlio.
Anche Taz, il suo cagnolino, è stato decisamente felice di ritrovare il suo padrone: non appena lo ha visto scendere dal taxi, ha iniziato ad abbaiare come un pazzo e a dimenarsi, tanto che Oskar, che lo teneva in braccio, ha dovuto rimetterlo a terra: è stato praticamente il primo a saltare addosso a Gus, il quale si è fatto leccare ovunque e, con Taz tra le braccia, è corso poi da sua madre, suo fratello e dai suoi nonni. Penso sia stata la scena più bella che i miei occhi abbiano mai visto, è stato un momento di gioia indescrivibile, tanto che ho fatto fatica a trattenere le lacrime, mentre li osservavo in disparte riunirsi finalmente dopo anni.

Abbiamo trascorso tutto il weekend nella vecchia casa di Gus, tra pranzi in famiglia e visite di vecchi amici: mi è sembrato per un attimo di essere come nel periodo natalizio. Il clima che ho respirato per tutto il tempo era esattamente quello delle feste in famiglia, quelle in cui ci si raduna in trecento nella stessa casa e, mentre i bambini giocano in salotto, gli adulti bevono vino e ridono, tirando fuori aneddoti imbarazzanti su qualche componente lì presente. Quando ero piccola e c'era ancora mia madre, era esattamente così che passavamo le vacanze di Natale, ed essere qui con tutti i parenti di Gus mi riporta alla mente quelle stesse identiche sensazioni.
È stato bello conoscere le persone con cui Gustav è cresciuto, in particolare ho avuto modo di chiacchierare con suo nonno Jack: è la persona più interessante con cui abbia mai parlato, è un professore universitario in pensione e dunque è estremamente colto, inoltre mi ha raccontato una miriade di aneddoti buffi riguardanti suo nipote da bambino. Hanno sempre avuto un rapporto molto stretto, soprattutto dopo che suo padre se n'era andato, ed è palese che suo nonno abbia avuto una fortissima influenza sulla sua vita, sulle sue idee e sulla sua morale. È sempre stato il suo punto di riferimento, qualche volta me ne aveva parlato anni fa, ma non era mai entrato nei dettagli perché finiva sempre per emozionarsi, anche solo pronunciando il suo nome.

"Che ne pensi della mia famiglia?", mi domanda lui, mentre l'aereo inizia a rullare sulla pista.
"Sei molto fortunato", gli dico semplicemente.

Prima che morisse mia madre, anche noi eravamo molto uniti. I miei genitori in estate organizzavano spesso delle gite con i miei cugini e passavo molto tempo dai miei zii. Ma poi mamma si è ammalata, ha iniziato a stare male e non ce l'ha fatta: da quel momento le cose sono cambiate drasticamente, non ci sono state più gite di famiglia né pranzi domenicali con i parenti, perché nessuno aveva più voglia di ritrovarsi senza di lei.

"Sai, mi piacerebbe farlo più spesso. Ormai mi ero abituato a non vederli praticamente mai, ma questo weekend ho realizzato quanto mi siano mancati tutti quanti", ammette una volta decollati, dopo che il rumore assordante dei motori si è leggermente attenuato. Poi sdrammatizza subito: "Taz in particolar modo, però!".

"Sono felice di aver conosciuto la tua famiglia e i tuoi amici del liceo, sono tutti davvero fantastici", constato con un sorriso: "Quando avevi diciassette anni... cazzo, deve essere stato difficile lasciarli. So che l'hai fatto per una buona causa, per rincorrere il tuo sogno, però sono persone talmente carine che deve essere stato tremendo trasferirti in un altro Stato".
"Sí, beh, avevo le mie ragioni per farlo. Sapevo che comunque loro sarebbero sempre stati dalla mia parte", mi risponde con tranquillità, come se ciò sia una cosa scontata. 

Gli sorrido, spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e guardo fuori dal finestrino l'ala dell'aereo che taglia le nuvole.
"Tuo padre... lui non c'era, però", gli faccio notare. So che è un argomento molto delicato, per questo cerco di toccare il tema con estrema delicatezza.
"Meglio così", mi risponde, irrigidendosi leggermente: "Non mi interessa nulla di lui".
"Da quanto tempo non lo vedi?".
Lui solleva gli occhi pensieroso, come se stesse facendo dei calcoli a mente: "Avevo tipo dieci anni, l'ultima volta. Ma te l'ho detto, non me ne frega un cazzo. Non ho alcun rispetto per lui, per ciò che ha fatto a mia madre e per come mi trattava. È un bene che non si sia fatto vivo neanche questa volta, fidati".

Capisco dal suo tono di voce che non ha molto piacere a parlarne, quindi cambio argomento alla svelta: "Emma è fantastica, comunque!"
Gus cambia immediatamente espressione e il suo viso si illumina: "Ti è piaciuta?"
"Sí, molto".
"Ci conosciamo dalle elementari, tipo", attacca, con un tono decisamente diverso da quello che ha usato poco fa per descrivere suo padre, ne parla con un entusiasmo particolare: "Siamo abbastanza diversi in realtà, soprattutto da ragazzini. Lei è tutta frizzantina, estroversa, sempre pronta a fare cose e vedere gente; mentre io sono sempre stato quello strano, me ne stavo per i fatti miei e quando vedevo qualche amico stavamo nella mia stanza a fumarci le canne. Eppure... non lo so, abbiamo sempre avuto un rapporto molto forte, quasi viscerale".
"Si vede", constato con un sorriso: "Però non mi hai mai parlato molto di lei, prima di oggi".
"Lo so", ammette, un po' imbarazzato: "Perché è difficile descrivere il rapporto che abbiamo. L'hai visto anche tu: possiamo anche non avere alcun contatto per centomila anni ma, quando ci rivediamo, siamo sempre Flem e Gus, come quando avevamo quindici anni".

Resta in silenzio per qualche secondo, fissando il vuoto davanti a sé con un sorriso ebete disegnato sul volto: "Siamo stati anche fidanzati, per un periodo".
Mi guarda in viso con un'espressione divertita, come se si aspettasse una qualche reazione da parte mia, ma in realtà la rivelazione non mi sconvolge affatto, perché vedendoli insieme questo fine settimana mi è sembrato palese che, in passato, ci fosse stato qualcosa tra loro.
Poi Gus aggiunge: "L'ho lasciata quando mi sono trasferito a Los Angeles la prima volta. Sai, non volevo che mi seguisse in certi ambienti: la conosci meglio di me quella città, per chi non ci è nato é una merda ed è facile finire in brutti giri. Le ci era rimasta malissimo, si era incazzata da morire, così le ho scritto un sacco di canzoni d'amore per farmi perdonare".

Mi fa un po' effetto sentirlo parlare in quel modo di un'altra ragazza, lo ammetto, ma cerco di non darlo a vedere perché so che userebbe la cosa per tormentarmi e per prendermi in giro.

"E' stata la persona più importante per me, quand'ero ragazzino e vivevo a Long Island. Dopo la separazione dei miei, io mi ero chiuso nella mia stanza e avevo smesso di vedere i miei amici, ma lei non si era data per vinta e mi ha aiutato un sacco, spingendomi ad uscire di casa e supportando la mia musica, quando ancora mi chiamavo TrapGoose".
Scoppio a ridere: "TrapGoose?".
"Lascia stare", ribatte lui divertito, cercando di sdrammatizzare sulla scelta alquanto discutibile del suo primo nome d'arte: "Erano tempi bui".

Poi Gus mi stampa un bacio sulla guancia e poggia la testa sulla mia spalla, mentre io gli accarezzo la nuca e sento la sua muscolatura rilassarsi: credo proprio che la pasticca di Xanax stia iniziando a fargli effetto.

The last thing  I wanna do - parte 2 // LIL PEEPDove le storie prendono vita. Scoprilo ora