tell my ex i'm sorry

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Ci accomodiamo tutti quanti al tavolo di un bar sconosciuto aperto 24/7, nei pressi della discoteca. Io e Gus siamo seduti distanti ed entrambi stiamo facendo finta di nulla, cerchiamo di comportarci come se la presenza dell'altro non influisse minimamente su quello che diciamo o facciamo; ma in realtà siamo molto goffi nel mascherare il disagio.

Sono tipo le quattro del mattino e tutti hanno ordinato qualcosa da mangiare tranne me: ho lo stomaco completamente chiuso e non faccio altro che chiedermi se essere qui sia la cosa giusta. Penso alla cena che avrei dovuto fare con Axel, davvero l'ho mandata a monte per rivedere il mio ex, che ora finge che io non sia nemmeno presente? Anche se cerco di controllarmi più che posso, il mio sguardo finisce sempre per posarsi su di lui, perchè mi sembra ancora impossibile che sia qui.

Mi sento decisamente confusa, quindi mi alzo e quasi corro verso il bagno. Mi chiudo a chiave all'interno e poggio la schiena contro la porta: mi serve un minuto per realizzare quello che sta succedendo là fuori. Cerco di fare qualche respiro profondo per tenere a bada l'ansia che mi sta pervadendo da tutta la sera, ma non ottengo grandi risultati, anche perché vengo interrotta da qualcuno che inizia a bussare alla porta.

"E' occupato", dico, sollevando gli occhi al cielo, infastidita. 
"Bianca, sono io".

La voce di Gus oltrepassa la parete e mi colpisce dritta al petto, pietrificandomi all'istante.
"Stai bene?", mi domanda, con fare apprensivo.
"Sì, sì", borbotto, girando la chiave nella serratura. Abbasso la maniglia e mi ritrovo il suo corpo a qualche centimetro dal mio: non siamo così vicini da quattro fottuti anni. 
"Sono venuto a controllare che fosse tutto okay, ho visto che sei corsa in bagno. Pensavo stessi male", mi dice, senza neanche guardarmi in faccia.
"Non ce n'era bis...".

Gustav mi interrompe prima che possa finire la frase: "No, in realtà è una scusa. Cioè, non sono venuto a controllare come stessi, volevo solo cogliere l'occasione per parlare da soli".
Tengo gli occhi su di lui mentre mi sposto per lavarmi le mani e continuo a guardarlo attraverso lo specchio fissato sul muro. Si vede chiaramente che è nervoso, a giudicare dal ritmo con cui il suo torace si solleva, sembra stia iperventilando.

"Mi dispiace, Bianca", sbotta, quasi improvvisamente.

Spengo l'acqua del rubinetto e mi volto di colpo, appoggiandomi al lavabo con il sedere per guardarlo direttamente negli occhi.

"Mi dispiace per quello che ti ho fatto", continua: "Sono stato uno stronzo per averti mollata in quel modo. Volevo dirti solamente questo, ci tenevo a fartelo sapere". Si morde il labbro e guarda a terra, poi mi sorride imbarazzato: "Forse è meglio che esca ora, anche perchè credo sia il bagno delle donne questo".
Lui fa qualche passo indietro e, prima che possa poggiare la mano sulla maniglia, lo fermo: "Gus, aspetta".

Pronunciare il suo nome mi provoca un brivido lungo la schiena, mi sembra sia passata un'eternità dall'ultima volta e, in effetti, è così. Lo guardo bloccarsi e voltarsi di nuovo verso di me, poi ricomincio a parlare: "Non ti preoccupare, è acqua passata. Ma comunque apprezzo le tue scuse, dico davvero".

Gustav mi sorride un po' impacciato, si vede palesemente che la breve conversazione che abbiamo avuto è stata sincera.
"Ti va se... non lo so, facessimo un giro?". Le parole mi escono dalla bocca in automatico, non mi rendo neanche conto subito di ciò che ho detto. Cazzo, perchè l'ho fatto?

Lui sembra abbastanza sorpreso dalla mia proposta ma, senza nemmeno pensarci, mi risponde immediatamente: "Certo, cosa vuoi fare?".
"Possiamo andare a Santa Monica, ho la macchina parcheggiata qui vicino".
Gus scoppia a ridere: "Ci sto. Ma...", sembra un po' titubante: "Con gli altri che facciamo? Cioè, chiediamo anche a loro di venire oppure...?".
"Tu vuoi che vengano anche loro?", gli domando, ridendo a mia volta.
Lui mi fissa per qualche secondo e poi scuote la testa: "No, in realtà no. Fingiamo di uscire a fumare e poi ce la svigniamo senza dire nulla a nessuno. Che ne dici?".

Annuisco e lo seguo fuori dal bagno, poi fin fuori dalla porta principale. Passando davanti al tavolo con i nostri amici, mi limito a sollevare a mezz'aria il pacchetto di sigarette senza dire una parola, nonostante inizino subito a piovere battute idiote e nonostante Beth cerchi di farmi tornare a sedere accanto a lei; ma ignoro tutti e tiro dritto.

Una volta all'esterno, io e Gus ci guardiamo e scoppiamo in una fragorosa risata: sembriamo due bambini che stanno commettendo una marachella. Faccio un cenno con la testa e inizio a correre verso il parcheggio, lui mi segue standomi dietro e continuando a ridere, senza riuscire a fermarsi. Non appena ci siamo allontanati a sufficienza dal bar, rallento e torniamo entrambi a camminare per riprendere fiato, finché non raggiungiamo la macchina.

"Cazzo, Peep, sei un vero genio della fuga! Ora capisco come hai fatto, anni fa", lo prendo in giro, ma me ne pento all'istante perché mi rendo conto che effettivamente è troppo presto per farci battute sopra. 
"Hai fatto carriera", constata di fronte alla mia auto, per cambiare subito argomento, mentre io cerco imbarazzata le chiavi nella pochette.
"Mi sono comprata una BMW prima di te, a quanto pare", scherzo, mentre continuo a frugare maldestramente nella borsa tanto da far cadere a terra la bustina ormai mezza vuota di coca. La raccolgo alla svelta, consapevole che Gus se ne sia comunque accorto, e recupero finalmente le chiavi.

Inizio a guidare verso il molo di Santa Monica: non dista molto, quindi in meno di mezz'ora raggiungiamo la nostra destinazione. Parcheggio malamente nel primo posto libero e ci dirigiamo a piedi verso la spiaggia, nel mentre avviso Beth di quello che ho appena fatto in modo che non si preoccupi troppo.

"Allora, cos'hai combinato in questi anni?", gli chiudo curiosa, sedendomi sulla sabbia fredda.
"Sono stato un po' qua e un po' là, ho girato diversi posti". Resta sul vago e io non me la sento di fargli domande più specifiche: se avesse avuto voglia di essere più accurato nella sua risposta, l'avrebbe fatto. "Tu invece?", aggiunge. 
"Ho iniziato a lavorare per un'agenzia che si occupa di pubblicità e cose del genere. Niente di che, ma sempre meglio che fare la barista".

Restiamo in silenzio per un po', si sente solo il rumore delle onde, mentre il sole sta già iniziando a sorgere sul mare.
"Perchè mi hai portato qui?", mi chiede dopo qualche secondo, facendosi scorrere la sabbia umida tra le dita.
"Mi piace questo posto, non c'è un motivo in particolare", rispondo sinceramente: è solo il primo luogo che mi è saltato in mente.
"Non c'eravamo mai stati insieme", constata, facendo calare nuovamente il silenzio tra di noi.

L'imbarazzo è palpabile, ma Gus decide di rincarare la dose: "Stai... stai con qualcuno?".
Io lo guardo, trattenendo una risata dettata dal nervosismo. Non mi aspettavo questa domanda e lui se ne accorge immediatamente, infatti cerca di ritrattare: "Non volevo essere così sfacciato, scusa. Dimenticatene, sono un idiota".
Scoppio a ridere nel vederlo così in difficoltà: "Sì, Gus. Sto con qualcuno e la tua faccia tosta non è cambiata di una virgola".
Anche lui si mette a ridere imbarazzato, poi mi guarda reggendosi il viso con una mano e quasi bisbiglia: "Ora che so che sei felice, mi sento sollevato".
"Che intendi?".
"Non c'è stato giorno in cui non mi chiedessi come te la stessi passando. Sai, senza di me. Se stavi meglio così o se ti mancassi... Insomma, questo genere di cose".

Lo guardo dritto negli occhi e mi faccio seria: "All'inizio è stato difficile, non posso negarlo. Non riuscivo a capire perchè avessi potuto farmi una cosa del genere, ma poi mi sono resa conto che io non c'entravo niente: non volevi intenzionalmente ferirmi, farmi male era solo un effetto collaterale del tuo piano. Tu avevi bisogno di tempo e spazio e, giustamente, te li sei presi senza chiedere niente a nessuno".
"Sono stato un vero pezzo di merda", dice abbassando il capo: "Ti meritavi almeno un confronto diretto, un addio. Credo sia il mio più grande rimpianto".
"Sì, è stato difficile da accettare", ammetto, facendo un sorrisetto di circostanza.
"E' l'unica cosa che cambierei di tutto quello che ho fatto: ti affronterei di persona e non scapperei come un ladro, lasciandoti solo una stupida lettera. Immagino tu l'abbia fatta in mille pezzi, tanto eri incazzata con me".
"No, in verità ce l'ho ancora". La mia rivelazione sembra spiazzarlo, mi guarda con un'espressione decisamente sorpresa e le sopracciglia sollevate: "Dici davvero?".
Annuisco, tenendo gli occhi fissi sul cielo che si sta dipingendo con i colori dell'alba, mentre sento il suo sguardo addosso.

The last thing  I wanna do - parte 2 // LIL PEEPDove le storie prendono vita. Scoprilo ora