i wanna make things right

222 23 5
                                    

Gus guida in silenzio, tenendo gli occhi fissi sulla strada illuminata dai lampioni, mentre io mi metto comoda sul sedile del passeggero e mi lascio cullare dai piccoli movimenti oscillatori provocati dal manto stradale leggermente irregolare. A ciò, si aggiunge anche il fatto che i viaggi serali in macchina per me sono sempre incredibilmente soporiferi: il risultato di tutti questi fattori porta inevitabilmente le mie palpebre a farsi subito sempre più pesanti e finisco così per addormentarmi nel giro di pochi minuti, nonostante la curiosità di sapere dove stiamo andando.

"Baby". La voce di Gus mi riporta alla realtà, strappandomi dalle braccia di Morfeo: "Siamo arrivati".
Mi stiracchio e mi stropiccio delicatamente gli occhi, poi entrambi scendiamo quasi contemporaneamente dalla macchina. Mi guardo attorno e riconosco immediatamente il posto: "Perché siamo a Santa Monica?", domando aggrottando la fronte, con la voce ancora impastata dal sonno.

Facciamo pochi passi per arrivare alla spiaggia, poi ci sediamo direttamente sulla sabbia fredda. Non è molto tardi, saranno al massimo le nove o le dieci di sera, ma in giro c'è sorprendentemente davvero poca gente.

"Mi ci hai portato tu qui la prima volta". Gus si decide finalmente a parlare, tenendo gli occhi fissi sul mare a pochi metri da noi.
"Lo so, me lo ricordo".
Con il dito, traccio dei disegni astratti sulla sabbia e inspiro a pieni polmoni l'aria che profuma di salsedine. Guardo Gus seduto accanto a me, mi sembra quasi un'altra persona rispetto ad oggi pomeriggio: gli effetti delle pillole, a quanto pare, sono spariti con la stessa rapidità con cui si sono palesati e mi pare decisamente meno nervoso. Forse parlare con Tracy e stare da solo l'ha aiutato, senza dubbio lo vedo decisamente più propenso a parlare rispetto a diverse ore fa.

"Domattina chiamo Axel", esordisce, con voce calma: "Ho detto che non l'avrei fatto perché ero incazzato, ma so che è la cosa giusta da fare".
Tiro involontariamente un sospiro di sollievo, mi fa davvero piacere sentirlo finalmente parlare in questi termini: "Okay", rispondo solo.

Seppure ci sarebbero un'infinità di cose da aggiungere, nessuno dei due continua a parlare, ci limitiamo a restare zitti ed a guardare la luna riflettersi sull'acqua. Non so per quanto tempo restiamo immobili in questa posizione, ma poi ad un tratto Gus riprende la parola: "Se ho fatto quel che ho fatto, è solo perché ho avuto paura", ammette, sollevando il cappuccio della felpa sulla testa.
"Paura? E di cosa?", domando, aggrottando le sopracciglia.
"Non lo so, tra di noi stava andando tutto bene prima di quel bacio. È stato una doccia ghiacciata per me e, anche se so che non è colpa tua, non mi aspettavo potesse succedere. Mi chiedevo se ti avesse risvegliato qualche sentimento, se ti avesse fatto realizzare che forse eri stata troppo precipitosa a tornare subito con me... non lo so, temevo che avresti potuto cambiare idea su di noi".

Sono contenta abbia tirato fuori lui l'argomento, sinceramente anche io volevo parlarne, dal momento che oggi mi sono fatta un discreto quantitativo di paranoie a riguardo: adesso posso finalmente dare loro libero sfogo, nella speranza che vengano però contraddette.

"Gus, ora che l'entusiasmo dell'inizio è passato e vedi le cose più chiaramente, credi che io sia stata frettolosa a lasciare Axel per te?".
Nel pronunciare queste parole, sento lo stomaco contorcersi su se stesso come se dovessi vomitare ma, in realtà, non mangio nulla da stamattina a colazione, quindi credo proprio che non ci sia proprio nulla da buttare fuori.

"Non ho mai detto questo", chiarisce subito Peep, scuotendo la testa con decisione: "L'entusiasmo dell'inizio, o come cazzo vuoi chiamarlo, non è mai passato. Te lo giuro, ti sembrerà impossibile, ma ogni volta che ti guardo ridere, sento ancora le stesse emozioni della prima volta. Come quando ti ho incontrata da Starbucks, ti ricordi? Tu eri alla cassa ed io ero venuto a pagare per me ed i miei amici, mi guardavi tutta imbarazzata e io cercavo qualsiasi scusa per poter attaccare bottone con te. Hai letto dallo scontrino l'importo che ti dovevo per la colazione e avevi sul viso un sorriso che... dio mio, anche se mi avessi chiesto diecimila dollari per due cappuccini, giuro che li avrei pagati senza battere ciglio. Quando ti ho rivista fuori dal Viper mentre fumavi con la tua amica, ho provato la stessa identica sensazione di quella mattina in caffetteria e la provo ogni fottuto giorno, da allora".

Gus parla a raffica, pronuncia una parola dopo l'altra in un vero e proprio flusso di coscienza e butta fuori tutto come un fiume che sta esondando dai propri argini. Lo ascolto senza guardarlo e approfitto del buio per nascondere un sorriso che mi si è disegnato sul viso.

"Oggi, mentre litigavamo, potrei averti detto delle cose, ad esempio che non ho niente da perdere, che non mi importa di nulla e che so che prima o poi mi lascerai per il tuo ex... ma in realtà non è quello che penso, piuttosto è ciò cui ho paura. Sono stato un idiota a picchiare il tuo ex? Sì, eccome. Non sono fiero di ciò che ho fatto, né di come mi sono comportato dopo; è solo che le mie paranoie hanno letteralmente preso il sopravvento. Ne ho parlato anche con Tracy e lui mi ha fatto capire che ero solo troppo incazzato per ragionare e vedere le cose con la giusta lucidità, ho avuto la mente annebbiata da una paura irrazionale e sono stato un vero sfigato a fare così".

Mi volto finalmente a guardarlo e mi accorgo che i suoi occhi brillano nel buio, a causa delle lacrime che hanno creato un velo nel suo sguardo. Avvolgo le braccia attorno al suo bicipite, come se fossi un koala aggrappato al tronco di un albero, poi appoggio la testa sulla sua spalla.

"È tutto okay", sussurro piano, chiudendo gli occhi: "L'importante è che tu abbia capito".
Gus sembra non esserne convinto del tutto: "Sicura?".
"Siamo bravi a sistemare le cose, lo sai anche tu, no?", lo rassicuro. Sollevo lo sguardo su di lui e lo becco mentre si sta asciugando alla svelta una lacrima.
"Lo so", dice, dispiaciuto: "Ma a volte mi sembra di fare solo casini".

Sollevo la testa e mi posiziono in modo da incastrare il mio sguardo con il suo, non voglio che ci sia spazio per i fraintendimenti o le incomprensioni questa volta: "Gus, smettila". Gli prendo il viso tra le mani accarezzandolo con dolcezza, poi gli stampo un piccolo bacio sulla punta del naso: "Ti amo".

Lui mi sorride tirando un impercettibile sospiro di sollievo, scostandomi i capelli dal volto e giocando con una ciocca ribelle. Seppure non stia dicendo nulla, riesco a leggere nel suo sguardo una miriade di frasi che scalpitano per uscire: certe volte le parole sono inutili e i silenzi riescono ad essere molto più eloquenti.

"Comunque", bisbiglio, per cercare di alleggerire un po' i toni: "Se devo essere sincera, un po' lo sei un casino, però... sai com'è. Mi piace non sapere se domani dovrò andare a recuperarti in una Centrale di Polizia, oppure se mi sveglierò da sola perchè tu sei fuggito in Europa... insomma, questo genere di cose, che rendono la relazione un po' frizzantina".
Scoppiamo entrambi a ridere, poi lui commenta la mia battuta tirandomi un buffetto sulla coscia: "Stronza".

The last thing  I wanna do - parte 2 // LIL PEEPDove le storie prendono vita. Scoprilo ora