CAPITOLO 29

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RYLAND

Anni fa,non era strano percepire e vedere l'assenza di mio padre. Faceva parte del suo lavoro e stava via per un lungo periodo prima di tornare a casa e stare un po' con noi,con la sua famiglia,con sua moglie,la luce dei suoi occhi e con i suoi figli,la sua più grande ricchezza.

Non gliene avevo mai fatto una colpa,il suo lavoro faceva parte di lui e se non gli fosse piaciuto così tanto,ero certa avrebbe mollato quasi subito e sarebbe tornato a casa. Ma mio padre era una persona determinata,aveva scelto la sua strada appena diciottenne,si era arruolato e nel breve periodo in licenza,aveva conosciuto la mamma e se n'era innamorato.

Avevano gestito la distanza come fosse nulla,avevano gestito periodi difficili senza battere ciglio e questo solo perché erano innamorati,erano persi l'un per l'altro,erano una cosa sola e niente avrebbe potuto mettersi tra loro. Ho sempre amato il loro rapporto,ho sempre pensato che quello che hanno vissuto non poteva essere reale,quel tipo di legame non era una sciocchezza e avevo sempre sperato,alla fine,di poter avere anche una piccola parte,di quel loro legame,da condividere con un'altra persona.

Però,la me adolescente,non avrebbe mai pensato che la sua vita si sarebbe ridotta a un cumulo di dolore e sofferenza,non avrebbe mai immaginato che si sarebbe sentita schiacciata da tutto e che tutto si sarebbe complicato. Adesso,quando guardò i miei genitori,so per certo che niente di quello che hanno loro,potrò mai avere. So per certo che non sarei in grado di amare qualcuno,perché amare significava voler essere amati,dopotutto,e io sapevo di non meritare di essere amata.

Perché quando ricordo di essermene andata via,quando le cose si erano fatte troppo difficili,ricordo a me stessa di aver fatto un errore e quindi non me lo sarei mai perdonata. Chi razza di figlia decide di lasciare la propria casa,decide di abbandonare i suoi amici,decide di abbandonare suo padre e sua madre solo perché non riesce più a respirare? Io,ed ero stata una maledetta stronza.

Ognuno reagisce al dolore in modo diverso,era vero,ma io più che mai avevo sbagliato e ancora una volta,quando ricordo questo,penso sempre che lo rifarei,lo rifarei ancora una volta se avessi la stessa possibilità. Non so bene l'aggettivo che userei per definire il mio cazzo di comportamento ma una che si avvicina molto ai miei pensieri è questa: codarda.

Si,lo ero stata e indubbiamente lo sono ancora. Codarda da non accettare la situazione. Ma come ho detto,ognuno reagisce al dolore in modo diverso e questo era stato il mio. Mio padre finalmente lo aveva capito e credo anche mio fratello. La mamma no,la mamma non lo pensava perché lei non ricordava nulla di me,di tutti.

Il lieve dolore al petto di era fatto risentire perché nell'aria percepivo il profumo della mamma. Papà stava uscendo dalla loro camera e la valigia strisciava ai suoi piedi.
Nella sua uniforme era perfetto,mio padre era perfetto.

Ancora non riesco a capire come abbia potuto accettare il mio comportamento senza farmi una lavata di capo degna di nota. Non meritavo il suo essere buono e comprensivo,meritavo solo il peggio,da lui e da tutti. Invece a nessuno sembrava fosse la cosa giusta,mi ero subita diversi rimproveri da Brandy,da Ariel e perfino da Simone,ma mai una volta che avessero alzato la voce è avessero fatto sentire tutto il loro sdegno per me.

-"Chiamami per qualsiasi cosa,non ti dimenticare di spegnere le luci nel giardino prima di andare a letto,non dimenticare di chiudere tutte le porte con i bulloni e non dimenticare di spegnere i fornelli qualora..."-.

-"Papà,non ho mai lascito i fornelli accesi e non ho neanche mai lasciato una porta aperta"-. Incrocio le braccia sul bancone della cucina.
-"Sei agitato?"-.

-"Si nota?"-.

-"Nhaa,vai tranquillo"-.

-"Il tuo sarcasmo è ammirevole,figlia"-.

NON RIESCO AD ODIARTI Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora